Vita Chiesa
Benedetto XVI, nuovo libro su Gesù. Ecco le anticipazioni
(Fonte: ASCA) – La Libreria Editrice Vaticana ha distribuito oggi tre brani del prossimo libro di papa Benedetto XVI sulla vita di Gesù, intitolato «Gesù di Nazareth. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione», che verrà presentato ufficialmente il 10 marzo. I tre brani anticipati sono «Il mistero del traditore», tratto dal capitolo sulla «Lavanda dei piedi» e dedicato al tradimento di Giuda e al suo «pentimento»; «La data dell’ultima cena», tratto dal capitolo «L’Ultima Cena», in cui il pontefice riflette sulle discrepanze della cronologia delle ultime ore della vita di Gesù tra il Vangelo di Giovanni e quelli di Marco, Luca e Matteo; e «Gesù davanti a Pilato», trattato dal capitolo «Il processo a Gesù», in cui papa Ratzinger si sofferma sull’interrogatorio condotto su Gesù da Pilato e sulla decisione di quest’ultimo di condannarlo. La decisione di pubblicare i tre brani è stata presa d’intesa con l’editore Herder di Friburgo che ha curato l’edizione principe del volume. Il libro uscirà in contemporanea inizialmente in sette lingue: tedesco, italiano, inglese, spagnolo, francese, portoghese e polacco. Ecco una sintesi delle tre anticipazioni.
SOLA POTENZA MILITARE NON PUÒ MAI STABILIRE PACE
“Con la potenza militare, da sola, non si può stabilire nessuna pace”, afferma papa Benedetto XVI nel brano dedicato ad un’ampia analisi del processo e della condanna di Gesù. Quando Gesù, nell’interrogatorio subito da Ponzio Pilato di cui riferisce il Vangelo di Giovanni afferma di essere «re», egli rivendica una «regalità e un regno» totalmente diversi da quelli a cui erano abituati i governanti dell’epoca, «con l’annotazione concreta che per il giudice romano deve essere decisiva: nessuno combatte per questa regalità. Se il potere, e precisamente il potere militare, è caratteristico per la regalità e il regno – niente di ciò si trova in Gesù. Per questo non esiste neanche una minaccia per gli ordinamenti romani. Questo regno è non violento. Non dispo ne di alcuna legione».
Il regno di Gesù è fondato sulla “verità”. Ma in che modo la verità può essere fondamento di un “potere”?, si chiede papa Ratzinger. “Verità ed opinione errata, verità e menzogna – scrive il pontefice – nel mondo sono continuamente mescolate in modo quasi inestricabile. La verità in tutta la sua grandezza e purezza non appare. Il mondo è ‘vero’ nella misura in cui rispecchia Dio, il senso della creazione, la Ragione eterna da cui è scaturito… In questo senso, la verità è il vero ‘re’ che a tutte le cose dà la loro luce e la loro grandezza… Diciamolo pure: la non-redenzione del mondo consiste, appunto, nella non-decifrabilità della creazione, nella non-riconoscibilità della verità, una situazione che poi conduce inevitabilmente al dominio del pragmatismo, e in questo modo fa sì che il potere dei forti diventi il dio di questo mondo”. E se oggi la scienza sembra aver reso il mondo intellegibile e quindi aver rivelato la ‘verita” su di esso, Benedetto XVI ribatte che è solo la “verità funzionale sull’uomo” a essere “diventata visibile. Ma la verità su lui stesso – su chi egli sia, di dove venga, per quale scopo esista, che cosa sia il be- ne o il male – quella, purtroppo, non si può leggere in tal modo. Con la crescente conoscenza della verità funzionale sembra piuttosto andare di pari passo una crescente cecità per ‘la verita” stessa – per la domanda su ciò che è la nostra vera realtà e ciò che è il nostro vero scopo”.
“Anche oggi – nota papa Ratzinger -, nella disputa politica come nella discussione circa la formazione del diritto, per lo più si prova fastidio per essa. Ma senza la verità l’uomo non coglie il senso della sua vita, lascia, in fin dei conti, il campo ai più forti. ‘Redenzioné nel senso pieno della parola può consistere solo nel fatto che la verità diventi riconoscibile. Ed essa diventa riconoscibile, se Dio diventa riconoscibile”. Di qui, la riflessione del pontefice su Pilato: “la grande verità, di cui aveva parlato Gesù, gli è rimasta inaccessibile; la verità concreta di questo caso, però, Pilato la conosceva bene. Sapeva che questo Gesù non era un delinquente politico e che la regalità rivendicata da Lui non costituiva alcun pericolo politico – sapeva quindi che era da prosciogliere. Come prefetto egli rappresentava il diritto romano su cui si basava la pax romana – la pace dell’impero che abbracciava il mondo. Questa pace, da una parte, era assicurata mediante la potenza militare di Roma. Ma con la potenza militare, da sola, non si può stabilire nessuna pace”. Infatti, scive il papa, “la pace si fonda sulla giustizia. La forza di Roma era il suo sistema giuridico, l’ordine giuridico, sul quale gli uomini potevano contare. Pilato – lo ripetiamo – conosceva la verità di cui si trattava in questo caso e sapeva quindi che cosa la giustizia richiedeva da lui”.
TRAGEDIA DI GIUDA E’ NON CREDERE A PERDONO DOPO TRADIMENTO
La tragedia di Giuda Iscariota non consiste solo nel suo aver tradito Gesù ma anche nel fatto che, pur essendosi pentito del suo gesto, “non riesce più a credere ad un perdono”, scrive il papa in un brano del suo nuovo libro. “La seconda sua tragedia, dopo il tradimento, è che non riesce più a credere ad un perdono. Il suo pentimento diventa disperazione – scrive il pontefice nel volume che verrà presentato il prossimo 10 marzo -. Egli vede ormai solo se stesso e le sue tenebre, non vede più la luce di Gesù – quella luce che può illuminare e superare anche le tenebre. Ci fa così vedere il modo errato del pentimento: un pentimento che non riesce più a sperare, ma vede ormai solo il proprio buio, è distruttivo e non è un vero pentimento. Fa parte del giusto pentimento la certezza della speranza – una certezza che nasce dalla fede nella potenza maggiore della Luce fattasi carne in Gesù”.
Papa Ratzinger sottolinea anche che, con il tradimento di Giuda, “la rottura dell’amicizia giunge fin nella comunità sacramentale della Chiesa, dove sempre di nuovo ci sono persone che prendono ‘il suo pané e lo tradiscono”. “La sofferenza di Gesù – nota il pontefice -, la sua agonia, perdura sino alla fine del mondo, ha scritto Pascal in base a tali considerazioni (cfr Pensées, VII 553). Possiamo esprimerlo anche dal punto di vista opposto: Gesù in quell’ora si è caricato del tradimento di tutti i tempi, della sofferenza che viene in ogni tempo dall’essere traditi, sopportando così fino in fondo le miserie della storia”. Benedetto XVI mette anche il risalto che il Vangelo di Giovanni non cerchi di dare “alcuna interpretazione psicologica dell’agire di Giuda”. Questo significa che “ciò che a Giuda è accaduto per Giovanni non è più psicologicamente spiegabile. è finito sotto il dominio di qualcun altro: chi rompe l’amicizia con Gesù, chi si scrolla di dosso il suo ‘dolce giogo’, non giunge alla libertà, non diventa libero, ma diventa invece schiavo di altre potenze – o piuttosto: il fatto che egli tradisce questa amicizia deriva ormai dall’intervento di un altro potere, al quale si è aperto”.
ULTIMA CENA NON è PASQUA EBRAICA MA PASQUA DI GESÙ
Nel suo ultimo libro papa Benedetto XVI affronta anche il tema della discrepanza tra la cronologia delle ultime ore della vita di Gesù offerta dal Vangelo di Giovanni e quella dei Vangeli di Marco, Luca e Matteo, e propende per dare ragione al primo. La questione può essere riassunta in questi termini: l’ultima cena è una celebrazione della Pasqua ebraica, portando il processo e la crocifissione di Gesù proprio nel giorno di Pasqua, come sembra essere nei Vangeli sinottici, o precede quella festività, portando la morte di Gesù in croce a corrispondere significativamente con l’immolamento degli agnelli nel Tempio prima della Pasqua, come suggersice Giovanni?
Per papa Ratzinger, oggi “si vede sempre più chiaramente che la cronologia giovannea è storicamente più probabile di quella sinottica” perché “processo ed esecuzione capitale nel giorno di festa sembrano poco immaginabili”. Questa risposta lascia però aperta una questione: “L’ultima cena di Gesù appare così strettamente legata alla tradizione della Pasqua che la negazione del suo carattere pasquale risulta problematica”. Il pontefice risolve la questione richiamandosi allo studio di John P. Meier. Scrive papa Ratzinger: “Gesù era consapevole della sua morte imminente. Egli sapeva che non avrebbe più potuto mangiare la Pasqua. In questa chiara consapevolezza invitò i suoi ad un’ultima cena di carattere molto particolare, una cena che non apparteneva a nessun determinato rito giudaico, ma era il suo congedo, in cui Egli dava qualcosa di nuovo, donava se stesso come il vero Agnello, istituendo così la sua Pasqua”. “Una cosa è evidente nell’intera tradizione – prosegue il papa -: l’essenziale di questa cena di congedo non è stata l’antica Pasqua, ma la novità che Gesù ha realizzato in questo contesto. Anche se questo convivio di Gesù con i Dodici non è stata una cena pasquale secondo le prescrizioni rituali del giudaismo, in retrospettiva si è resa evidente la connessione interiore dell’insieme con la morte e risurrezione di Gesù: era la Pasqua di Gesù”. “In questo senso – aggiunge – Egli ha celebrato la Pasqua e non l’ha celebrata… l’antico non era stato negato, ma solo così portato al suo senso pieno”. “In base a ciò – conclude papa Ratzinger – si può capire come l’ultima cena di Gesù, che non era solo un preannuncio, ma nei Doni eucaristici comprendeva anche un’anticipazione di croce e risurrezione, ben presto venisse considerata come Pasqua – come la sua Pasqua. E lo era veramente”.
NON TUTTI EBREI A ACCUSARE GESÙ MA ARISTOCRAZIA TEMPIO
Quando i Vangeli dicono che furono i “Giudei” ad accusare Gesù e a chiederne la condanna a morte, questo non significa che si tratti di tutto il “popolo di Israele”, afferma Benedetto XVI. “Domandiamoci anzitutto – si chiede il papa -: chi erano precisamente gli accusatori? Chi ha insistito per la condanna di Gesù a morte? Nelle risposte dei Vangeli vi sono differenze su cui dobbiamo riflettere. Secondo Giovanni, essi sono semplicemente i ‘Giudei’. Ma questa espressione – sottolinea papa Ratzinger -, in Giovanni, non indica affatto – come il lettore moderno forse tende ad interpretare – il popolo d’Israele come tale, ancor meno essa ha un carattere ‘razzista'”. Nel Vangelo di Marco, invece, si parla di “una quantità di gente, la ‘massa'”, da identificare con i sostenitori di Barabba. “In ogni caso – precisa il papa – con ciò non è indicato ‘il popolo’ degli Ebrei come tale”. Quando Matteo fa riferimento a “tutto il popolo”, per il pontefice, “sicuramente non esprime un fatto storico” mentre “il vero gruppo degli accusatori sono i circoli contemporanei del tempio e, nel contesto dell’amnistia pasquale, si associa ad essi la ‘massà dei sostenitori di Barabba”.
PILATO MISE PACE DAVANTI A GIUSTIZIA PER CONDANNARE GESÙ
Per Benedetto XVI, Ponzio Pilato era convinto della innocenza di Gesù ma decise di mettere la “pace”, assicurata dalla stabilità delle istituzioni e della forza militare dell’impero romano, alla “giustizia”. Analizzando il processo e la condanna di Gesù nel suo ultimo libro «Gesù di Nazareth. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione», in uscita il prossimo 10 marzo, il pontefice afferma: “Alla fine vinse in lui (Pilato, ndr) l’interpretazione pragmatica del diritto: più importante della verità del caso è la forza pacificante del diritto… Un’assoluzione dell’innocente poteva recare danno non solo a lui personalmente – il timore per questo fu certamente un motivo determinante per il suo agire -, ma poteva anche provocare ulteriori dispiaceri e disordini che, proprio nei giorni della Pasqua, erano da evitare. La pace fu in questo caso per lui più importante della giustizia. Doveva passare in seconda linea non soltanto la grande ed inaccessibile verità, ma anche quella concreta del caso: credette di adempiere in questo modo il vero senso del diritto – la sua funzione pacificatrice. Così forse calmò la sua coscienza. Per il momento tutto sembrò andar bene. Gerusalemme rimase tranquilla. Il fatto, però, che la pace, in ultima analisi, non può essere stabilita contro la verità, doveva manifestarsi più tardi”.