Benedetto XVI
Benedetto XVI negli Usa. I discorsi
Mercoledì 16 aprile, giorno del suo ’81° compleanno, Benedetto XVI, ha celebratato in privato la Santa Messa nella Cappella della Nunziatura Apostolica di Washington, prima di recarsi in auto alla Casa Bianca, residenza ufficiale e privata del Presidente degli Stati Uniti d’America.Al Suo arrivo, il Papa è stato accolto dal Presidente degli Stati Uniti, Georges W. Bush, e dalla First Lady. Oltre alle Autorità politiche e civili statunitensi, erano presenti alla Cerimonia di benvenuto, che si svolge nel South lawn della Casa Bianca, i Cardinali degli U.S.A., il Praesidium della Conferenza dei Vescovi cattolici degli Stati Uniti d’America, i due Vescovi Ausiliari di Washington ed il Vescovo di Arlington, Mons. Paul Stephen Loverde. Dopo il discorso del Presidente Georges W. Bush, il Papa ha pronuncia in inglese il discorso che riportiamo di seguito nella traduzione italiana:
Signor Presidente,
grazie per le gentili espressioni di benvenuto formulatemi a nome del popolo degli Stati Uniti d’America. Apprezzo profondamente il Suo invito a visitare questo grande Paese. La mia venuta coincide con un momento importante della vita della Comunità cattolica in America, cioè la celebrazione del secondo centenario della elevazione a metropolia arcidiocesana della prima diocesi del Paese, Baltimora, e la fondazione delle sedi di New York, Boston, Filadelfia e Louisville. Sono inoltre felice di essere ospite di tutti gli Americani. Vengo come amico e annunciatore del Vangelo, come uno che rispetta grandemente questa vasta società pluralistica. I cattolici americani hanno offerto, e continuano ad offrire, un eccellente contributo alla vita del loro Paese. Nell’accingermi a dare inizio alla mia visita, confido che la mia presenza possa essere fonte di rinnovamento e di speranza per la Chiesa negli Stati Uniti e rafforzi la determinazione dei cattolici a contribuire ancor più responsabilmente alla vita della Nazione, della quale sono fieri di essere cittadini.
Sin dagli albori della Repubblica, la ricerca di libertà dell’America è stata guidata dal convincimento che i principi che governano la vita politica e sociale sono intimamente collegati con un ordine morale, basato sulla signoria di Dio Creatore. Gli estensori dei documenti costitutivi di questa Nazione si basarono su tale convinzione, quando proclamarono la “verità evidente per se stessa” che tutti gli uomini sono creati eguali e dotati di inalienabili diritti, fondati sulla legge di natura e sul Dio di questa natura. Il cammino della storia americana evidenzia le difficoltà, le lotte e la grande determinazione intellettuale e morale che sono state necessarie per formare una società che incorporasse fedelmente tali nobili principi. Lungo quel processo, che ha plasmato l’anima della Nazione, le credenze religiose furono un’ispirazione costante e una forza orientatrice, come ad esempio nella lotta contro la schiavitù e nel movimento per i diritti civili. Anche nel nostro tempo, particolarmente nei momenti di crisi, gli Americani continuano a trovare la propria energia nell’aderire a questo patrimonio di condivisi ideali ed aspirazioni.
Nei prossimi giorni, attendo con gioia di incontrare non soltanto la comunità cattolica d’America, ma anche altre comunità cristiane e rappresentanze delle molte tradizioni religiose presenti in questo Paese. Storicamente, non solo i cattolici, ma tutti i credenti hanno qui trovato la libertà di adorare Dio secondo i dettami della loro coscienza, essendo al tempo stesso accettati come parte di una confederazione nella quale ogni individuo ed ogni gruppo può far udire la propria voce. Ora che la Nazione deve affrontare sempre più complesse questioni politiche ed etiche, confido che gli americani potranno trovare nelle loro credenze religiose una fonte preziosa di discernimento ed un’ispirazione per perseguire un dialogo ragionevole, responsabile e rispettoso nello sforzo di edificare una società più umana e più libera.
La libertà non è solo un dono, ma anche un appello alla responsabilità personale. Gli americani lo sanno per esperienza – quasi ogni città di questo Paese possiede i suoi monumenti che rendono omaggio a quanti hanno sacrificato la loro vita in difesa della libertà, sia nella propria terra che altrove. La difesa della libertà chiama a coltivare la virtù, l’autodisciplina, il sacrificio per il bene comune ed un senso di responsabilità nei confronti dei meno fortunati. Esige inoltre il coraggio di impegnarsi nella vita civile, portando nel pubblico ragionevole dibattito le proprie credenze religiose e i propri valori più profondi. In una parola, la libertà è sempre nuova. Si tratta di una sfida posta ad ogni generazione, e deve essere costantemente vinta a favore della causa del bene (cfr Spe salvi, 24). Pochi hanno compreso ciò così lucidamente come Papa Giovanni Paolo II, di venerata memoria. Nel riflettere sulla vittoria spirituale della libertà sul totalitarismo nella sua natia Polonia e in Europa orientale, egli ci ricordò come la storia evidenzi, in tante occasioni, che “in un mondo senza verità, la libertà perde il proprio fondamento” e una democrazia senza valori può perdere la sua stessa anima (cfr Centesimus annus, 46). Queste parole profetiche fanno eco in qualche modo alla convinzione del Presidente Washington, espressa nel suo discorso d’addio, che la religione e la moralità costituiscono “sostegni indispensabili” per la prosperità politica.
La Chiesa, per parte sua, desidera contribuire alla costruzione di un mondo sempre più degno della persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1, 26-27). Essa è convinta che la fede getta una luce nuova su tutte le cose, e che il Vangelo rivela la nobile vocazione e il sublime destino di ogni uomo e di ogni donna (cfr Gaudium et spes, 10). La fede, inoltre, ci offre la forza per rispondere alla nostra alta vocazione e la speranza che ci ispira ad operare per una società sempre più giusta e fraterna. La democrazia può fiorire soltanto, come i vostri Padri fondatori ben sapevano, quando i leader politici e quanti essi rappresentano sono guidati dalla verità e portano la saggezza, generata dal principio morale, nelle decisioni che riguardano la vita e il futuro della Nazione.
Da ben oltre un secolo, gli Stati Uniti d’America hanno svolto un ruolo importante nella comunità internazionale. Venerdì prossimo, a Dio piacendo, avrò l’onore di rivolgere la parola all’Organizzazione delle Nazioni Unite, dove spero di incoraggiare gli sforzi in atto per rendere quella istituzione una voce ancor più efficace per le legittime aspettative di tutti i popoli del mondo. A questo riguardo, nel 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, l’esigenza di una solidarietà globale è più urgente che mai, se si vuole che tutti possano vivere in modo adeguato alla loro dignità, come fratelli e sorelle che abitano in una stessa casa, attorno alla mensa che la bontà di Dio ha preparato per tutti i suoi figli. L’America si è sempre dimostrata generosa nel venire incontro ai bisogni umani immediati, promuovendo lo sviluppo e offrendo sollievo alle vittime delle catastrofi naturali. Ho fiducia che tale preoccupazione per l’ampia famiglia umana continuerà a trovare espressione nel sostenere gli sforzi pazienti della diplomazia internazionale volti a risolvere i conflitti e a promuovere il progresso. Così, le generazioni future saranno in grado di vivere in un mondo dove la verità, la libertà e la giustizia possano fiorire un mondo dove la dignità e i diritti dati da Dio ad ogni uomo, donna e bambino, vengano tenuti in considerazione, protetti e promossi efficacemente.
Signor Presidente, cari amici: mentre mi accingo a dar inizio alla visita negli Stati Uniti, voglio esprimere ancora una volta la mia gratitudine per l’invito formulatomi, la gioia di essere in mezzo a voi, e la mia fervente preghiera che Dio Onnipotente confermi questa Nazione e il suo popolo nelle vie della giustizia, della prosperità e della pace. Dio benedica l’America!
Alle ore 17.30 di mercoledì 16 aprile Benedetto XVI ha presieduto al “National Shrine of the Immaculate Conception” la Celebrazione dei Vespri per l’incontro con u Vescovi degli Stati Uniti d’America. Dopo la recita dei Vespri del giorno, il Papa ha pronuncia in inglese il discorso che riportiamo di seguito, unitamente alle risposte alle domande dei Vescovi e alle parole finali:
Venerati Fratelli nell’Episcopato,
grande è la mia gioia nel salutarvi oggi, all’inizio della mia visita in questo Paese, e ringrazio il Cardinale George per le gentili parole rivoltemi a nome vostro. Desidero ringraziare ognuno di voi, specialmente gli Officiali della Conferenza Episcopale, per l’impegnativo lavoro che hanno affrontato nella preparazione di questo viaggio. Il mio grato apprezzamento va inoltre allo staff e ai volontari del Santuario Nazionale, i quali ci hanno qui accolto questa sera. I cattolici d’America sono noti per la loro leale devozione alla Sede di Pietro. La mia visita pastorale qui è un’occasione per rafforzare ulteriormente i vincoli di comunione che ci uniscono. Abbiamo iniziato con la celebrazione della Preghiera Serale in questa Basilica dedicata all’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, santuario di speciale significato per i cattolici americani, proprio nel cuore della vostra Capitale. Uniti in preghiera con Maria, Madre di Gesù, amorevolmente affidiamo al nostro Padre celeste il Popolo di Dio in ogni parte degli Stati Uniti.
Per le comunità cattoliche di Boston, New York, Filadelfia e Louisville, questo è un anno di celebrazioni particolari, dato che segna il bicentenario dell’erezione di queste Chiese locali a Diocesi. Mi unisco a voi nel rendere grazie per i molti celesti doni concessi alla Chiesa in tali luoghi nei trascorsi due secoli. Dato che l’anno corrente segna pure il bicentenario dell’erezione della sede fondatrice, Baltimora, ad arcidiocesi, questo mi offre l’opportunità di ricordare con ammirazione e gratitudine la vita e il ministero di John Carroll, primo Vescovo di Baltimora e degno Pastore della comunità cattolica nella vostra Nazione resasi da poco indipendente. I suoi instancabili sforzi per diffondere il Vangelo nel vasto territorio affidato alle sue cure posero le basi della vita ecclesiale nel vostro Paese e permisero alla Chiesa in America di crescere verso la maturazione. Oggi la comunità cattolica che servite è una delle più vaste del mondo ed una delle più influenti. Quanto importante è dunque far sì che la vostra luce brilli di fronte ai vostri concittadini e al mondo “perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5, 16).
Molte delle persone nei confronti delle quali John Carroll e i suoi confratelli Vescovi esercitarono il ministero due secoli orsono erano giunte da terre lontane. La diversità della loro provenienza è riflessa nella ricca varietà della vita ecclesiale dell’odierna America. Cari Fratelli Vescovi, desidero incoraggiare voi e le vostre comunità a continuare ad accogliere gli immigranti che si uniscono alle vostre file oggi, a condividere le loro gioie e speranze, a sostenerli nelle loro sofferenze e prove, e ad aiutarli a prosperare nella loro nuova casa. Questo, d’altra parte, è ciò che fecero i vostri concittadini per generazioni. Sin dagli inizi, essi hanno aperto le porte agli affaticati, ai poveri, alle “masse che si accalcavano alla ricerca di respirare nella libertà” (cfr Sonetto inciso sulla Statua della Libertà). Queste erano le persone che l’America ha fatto proprie.
Fra quanti vennero qui per costruirsi una nuova vita, molti furono capaci di far buon uso delle risorse e delle opportunità che vi trovarono, e di raggiungere un alto livello di prosperità. In verità, i cittadini di questo Paese sono conosciuti per la loro grande vitalità e creatività. Essi sono pure conosciuti per la loro generosità. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle, nel settembre del 2001, ed ancora dopo l’uragano Katrina nel 2005, gli americani hanno mostrato la loro prontezza a venire in aiuto dei loro fratelli e sorelle che erano nel bisogno. A livello internazionale, il contributo offerto dal popolo d’America alle operazioni di soccorso e di salvataggio dopo lo tsunami del dicembre del 2004 è un’ulteriore dimostrazione di tale compassione. Permettetemi di esprimere particolare apprezzamento per le innumerevoli forme di assistenza umanitaria offerta dai cattolici americani attraverso le Caritas cattoliche ed altre agenzie. La loro generosità ha dato frutti nell’attenzione verso i poveri e i bisognosi, come pure nell’energia manifestata nella costruzione della rete nazionale di parrocchie cattoliche, di ospedali, scuole e università. Tutto ciò offre solido motivo per rendere grazie.
L’America è anche una terra di grande fede. La vostra gente è ben conosciuta per il fervore religioso ed è fiera di appartenere ad una comunità orante. Ha fiducia in Dio e non esita ad introdurre nei discorsi pubblici ragioni morali radicate nella fede biblica. Il rispetto per la libertà di religione è profondamente radicato nella coscienza americana, un dato di fatto che ha contribuito a far sì che questo Paese attraesse generazioni di immigranti alla ricerca di una casa dove poter liberamente rendere culto a Dio secondo i propri convincimenti religiosi.
In questo contesto, prendo atto volentieri della presenza fra di voi di Vescovi da tutte le venerabili Chiese orientali in comunione con il Successore di Pietro: li saluto con speciale gioia. Cari Fratelli, vi chiedo di rassicurare le vostre comunità del mio profondo affetto e dell’incessante preghiera, sia per loro come pure per i molti fratelli e sorelle rimasti nella loro terra d’origine. La vostra presenza in questo Paese è memoria della coraggiosa testimonianza per Cristo di tanti membri delle vostre comunità, spesso tra le sofferenze, nelle rispettive Patrie. Ciò è anche un grande arricchimento per la vita ecclesiale in America, poiché offre una vivida espressione della cattolicità della Chiesa e della varietà delle sue tradizioni liturgiche e spirituali.
È in questo suolo fertile, nutrito da così numerose differenti fonti, che voi, venerati Fratelli nell’Episcopato, siete chiamati oggi a spargere la semente del Vangelo. Questo mi conduce a domandarmi come, nel ventunesimo secolo, un Vescovo possa adempiere al meglio alla chiamata di “fare nuova ogni cosa in Cristo, nostra speranza”? Come può egli condurre il suo popolo “all’incontro con il Dio vivente”, sorgente di quella speranza che trasforma la vita di cui parla il Vangelo? (cfr Spe salvi, 4). Forse egli ha bisogno anzitutto di abbattere alcune barriere che impediscono tale incontro. Anche se è vero che questo Paese è contrassegnato da un genuino spirito religioso, la sottile influenza del secolarismo può tuttavia segnare il modo in cui le persone permettono che la fede influenzi i propri comportamenti. È forse coerente professare la nostra fede in chiesa alla domenica e poi, lungo la settimana, promuovere pratiche di affari o procedure mediche contrarie a tale fede? È forse coerente per cattolici praticanti ignorare o sfruttare i poveri e gli emarginati, promuovere comportamenti sessuali contrari all’insegnamento morale cattolico, o adottare posizioni che contraddicono il diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale? Occorre resistere ad ogni tendenza a considerare la religione come un fatto privato. Solo quando la fede permea ogni aspetto della vita, i cristiani diventano davvero aperti alla potenza trasformatrice del Vangelo.
Per una società ricca, un ulteriore ostacolo ad un incontro con il Dio vivente sta nella sottile influenza del materialismo, che può purtroppo molto facilmente concentrare l’attenzione sul “cento volte tanto” promesso da Dio in questa vita, a spese della vita eterna che egli promette per il tempo che verrà (Mc 10,30). Le persone hanno oggi bisogno di essere richiamate allo scopo ultimo dell’esistenza. Hanno bisogno di riconoscere che dentro di loro vi è una profonda sete di Dio. Hanno bisogno di avere l’opportunità di attingere al pozzo del suo amore infinito. È facile essere ammaliati dalle possibilità quasi illimitate che la scienza e la tecnica ci offrono; è facile compiere l’errore di pensare di poter ottenere con i nostri propri sforzi l’adempimento dei bisogni più profondi. Questa è un’illusione. Senza Dio, il quale ci dona ciò che da soli non possiamo raggiungere (cfr Spe salvi, 31), le nostre vite sono in definitiva vuote. Le persone hanno bisogno di essere continuamente richiamate a coltivare una relazione con lui, che è venuto affinché avessimo la vita in abbondanza (cfr Gv 10,10). Lo scopo di ogni nostra attività pastorale e catechetica, l’oggetto della nostra predicazione, il centro stesso del nostro ministero sacramentale deve esser quello di aiutare le persone a stabilire ed alimentare una simile relazione vitale con “Cristo Gesù, nostra speranza” (1 Tm 1,1).
In una società che dà molto valore alla libertà personale e all’autonomia, è facile perdere di vista la nostra dipendenza dagli altri, come pure le responsabilità che noi abbiamo nei loro confronti. Questa accentuazione dell’individualismo ha influenzato persino la Chiesa (cfr Spe salvi, 13-15), dando origine ad una forma di pietà che talvolta sottolinea il nostro rapporto privato con Dio a scapito della chiamata ad esser membri di una comunità redenta. Eppure sin dall’inizio, Dio vide che “non è bene che l’uomo sia solo” (Gn 2,18). Siamo stati creati come esseri sociali che trovano compimento soltanto nell’amore verso Dio e verso il prossimo. Se vogliamo veramente tenere fisso lo sguardo su di lui, sorgente della nostra gioia, dobbiamo farlo come membri del Popolo di Dio (cfr Spe salvi, 14). Se ciò sembrasse andar contro la cultura odierna, sarebbe semplicemente un’ulteriore prova dell’urgente necessità di una rinnovata evangelizzazione della cultura.
Qui in America siete stati benedetti con un laicato cattolico di considerevole varietà culturale, che pone i propri multiformi doni al servizio della Chiesa e della società in generale. Esso guarda a voi per ricevere incoraggiamento, guida e indirizzo. In un’epoca satura di informazioni, l’importanza di offrire una solida formazione della fede non rischia di essere sopravalutata. I cattolici americani hanno riservato per tradizione un alto valore all’educazione religiosa, sia nelle scuole che nell’insieme dei programmi di formazione per adulti: occorre mantenere ed espandere. I numerosi uomini e donne che generosamente si dedicano alle opere caritative devono essere aiutati a rinnovare il loro impegno mediante una “formazione del cuore”: un “incontro con Dio in Cristo che susciti in loro l’amore ed apra il loro animo agli altri” (Deus caritas est, 31). In un’epoca in cui i progressi nelle scienze mediche portano nuova speranza a molti, possono essere suscitate sfide etiche in antecedenza inimmaginabili. Ciò rende più importante che mai assicurare una solida formazione negli insegnamenti morali della Chiesa a quei cattolici che sono impegnati nella sfera della salute. Una saggia guida è necessaria in tutti questi campi di apostolato, perché possano portare frutti abbondanti. Se essi vogliono veramente promuovere il bene integrale della persona, devono essi stessi essere resi nuovi in Cristo nostra speranza.
Quali annunciatori del Vangelo e guide della comunità cattolica, voi siete chiamati anche a partecipare allo scambio di idee nella pubblica arena, per aiutare a modellare atteggiamenti culturali adeguati. In un contesto in cui la libertà di parola è apprezzata e un dibattito robusto ed onesto viene incoraggiato, la vostra è una voce rispettata che molto ha da offrire alla discussione sulle questioni sociali e morali dell’attualità. Nel far sì che il Vangelo venga udito in modo chiaro, voi non soltanto formate le persone della vostra comunità, ma, nell’ambito della più vasta platea della comunicazione di massa, aiutate a diffondere il messaggio della speranza cristiana in tutto il mondo.
L’influenza della Chiesa nel pubblico dibattito, è chiaro, si effettua a molti livelli diversi. Negli Stati Uniti, come altrove, vi sono attualmente molte leggi già in vigore o in discussione che suscitano preoccupazione dal punto di vista della moralità e la comunità cattolica, sotto la vostra guida, deve offrire una testimonianza chiara ed unitaria su tali materie. Ancor più importante, tuttavia, è l’apertura graduale delle menti e dei cuori della comunità più ampia alla verità morale: qui c’è ancora molto da fare. In questo ambito è cruciale il ruolo dei fedeli laici nell’agire come “lievito” nella società. Tuttavia, non si deve dare per scontato che tutti i cittadini cattolici pensino secondo l’insegnamento della Chiesa circa le questioni etiche fondamentali di oggi. Ancora una volta è vostro dovere far sì che la formazione morale offerta ad ogni livello della vita ecclesiale rifletta l’autentico insegnamento del Vangelo della vita.
A tale proposito, un argomento di profonda preoccupazione per noi tutti è la situazione della famiglia all’interno della società. È vero: il Cardinale George ha prima ricordato come voi abbiate posto il rafforzamento del matrimonio e della vita familiare fra le priorità della vostra attenzione nei prossimi anni. Nel Messaggio di quest’anno per la Giornata Mondiale per la Pace, ho parlato del contributo essenziale che una vita familiare sana offre alla pace entro e fra le Nazioni. Nella casa della famiglia sperimentiamo “alcune componenti fondamentali della pace: la giustizia e l’amore tra fratelli e sorelle, la funzione dell’autorità espressa dai genitori, il servizio amorevole ai membri più deboli perché piccoli o malati o anziani, l’aiuto vicendevole nelle necessità della vita, la disponibilità ad accogliere l’altro e, se necessario, a perdonarlo” (n. 3). La famiglia è inoltre il luogo primario dell’evangelizzazione, nella trasmissione della fede, nell’aiutare i giovani ad apprezzare l’importanza della pratica religiosa e dell’osservanza della domenica. Come non essere sconcertati nell’osservare il rapido declino della famiglia quale elemento basilare della Chiesa e della società? Il divorzio e l’infedeltà sono in aumento, e molti giovani uomini e donne scelgono di ritardare il matrimonio o addirittura di ignorarlo completamente. Per alcuni giovani cattolici il vincolo sacramentale del matrimonio appare scarsamente distinguibile da un legame civile, o è percepito addirittura come un semplice accordo per vivere con un’altra persona in modo informale e senza stabilità. In conseguenza si vede un allarmante decremento di matrimoni cattolici negli Stati Uniti insieme ad un aumento di coabitazioni, nelle quali il reciproco donarsi degli sposi al modo di Cristo, mediante il sigillo di una pubblica promessa di vivere le esigenze di un impegno indissolubile per l’intera esistenza, è semplicemente assente. In tali circostanze viene negato ai figli l’ambiente sicuro di cui hanno bisogno per crescere come esseri umani, e vengono pure negati alla società quegli stabili pilastri che sono necessari, se si vuole mantenere la coesione e il centro morale della comunità.
Come il mio predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, insegnava, “il primo responsabile della pastorale familiare nella Diocesi è il Vescovo egli deve consacrare interessamento, sollecitudine, tempo, personale, risorse; soprattutto, però, appoggio personale alle famiglie ed a quanti lo aiutano nella pastorale della famiglia” (Familiaris consortio, 73). È vostro compito proclamare con forza gli argomenti di fede e ragione che parlano dell’istituto del matrimonio, compreso come impegno per la vita fra un uomo e una donna, aperto alla trasmissione della vita. Tale messaggio dovrebbe risuonare di fronte alle persone di oggi, poiché è essenzialmente un “sì” incondizionato e senza riserve alla vita, un “sì” all’amore e un “sì” alle aspirazioni del cuore della nostra comune umanità, mentre ci sforziamo di portare a compimento il nostro profondo desiderio di intimità con gli altri e con il Signore.
Fra i segni contrari al Vangelo della vita che si possono trovare in America, ma anche altrove, ve n’è uno che causa profonda vergogna: l’abuso sessuale dei minori. Molti di voi mi hanno parlato dell’enorme dolore che le vostre comunità hanno sofferto quando uomini di Chiesa hanno tradito i loro obblighi e compiti sacerdotali con un simile comportamento gravemente immorale. Mentre cercate di eliminare questo male ovunque esso capiti, siate sicuri del sostegno orante del Popolo di Dio in tutto il mondo. Giustamente voi date priorità alla manifestazione di compassione e sostegno alle vittime: è responsabilità che vi viene da Dio, quali Pastori, quella di fasciare le ferite causate da ogni violazione della fiducia, di favorire la guarigione, di promuovere la riconciliazione e di accostare con amorevole preoccupazione quanti sono stati così seriamente danneggiati.
La risposta a simile situazione non è stata facile e, come indicato dal Presidente della vostra Conferenza Episcopale, è stata “talvolta gestita in pessimo modo”. Ora che la dimensione e la gravità del problema sono compresi più chiaramente, avete potuto adottare misure di rimedio e disciplinari più adeguate e promuovere un ambiente sicuro che offre maggiore protezione ai giovani. Mentre si deve ricordare che la stragrande maggioranza dei sacerdoti e dei religiosi in America svolgono un’eccellente opera nel recare il messaggio liberante del Vangelo alle persone affidate alle loro premure pastorali, è di vitale importanza che i soggetti vulnerabili siano sempre protetti da quanti potrebbero causare ferite. A tale proposito, i vostri sforzi per alleviare e proteggere stanno portando grande frutto non soltanto nei confronti di quanti sono posti direttamente sotto la vostra cura pastorale, ma anche dell’intera società.
Se vogliamo che raggiungano il loro pieno scopo, tuttavia, occorre che le misure e le strategie da voi adottate siano poste in un contesto più ampio. I bambini hanno diritto di crescere con una sana comprensione della sessualità e il ruolo che le è proprio nelle relazioni umane. Ad essi dovrebbero essere risparmiate le manifestazioni degradanti e la volgare manipolazione della sessualità oggi così prevalente; essi hanno il diritto di essere educati negli autentici valori morali radicati nella dignità della persona umana. Ciò ci riporta alla considerazione sulla centralità della famiglia e sulla necessità di promuovere il Vangelo della vita. Che cosa significa parlare della protezione dei bimbi quando la pornografia e la violenza possono essere guardate in così tante case attraverso i mass media ampiamente disponibili oggi? Dobbiamo con urgenza riaffermare i valori che sorreggono la società, così da offrire a giovani e adulti una solida formazione morale. Tutti hanno un ruolo da svolgere in tale compito, non solo i genitori, le guide religiose, gli insegnanti e i catechisti, ma anche l’informazione e l’industria dell’intrattenimento. Sì, ogni membro della società può contribuire a questo rinnovamento morale e trarre beneficio da esso. Prendersi cura davvero dei giovani e del futuro della nostra civiltà significa riconoscere la nostra responsabilità di promuovere e di vivere quegli autentici valori morali che soli rendono capace la persona umana di prosperare. È vostro compito di pastori che hanno come modello Cristo, il Buon Pastore, di proclamare in modo forte e chiaro tale messaggio e di affrontare pertanto il peccato d’abuso entro il più vasto contesto dei comportamenti sessuali. Inoltre, nel riconoscere il problema e nell’affrontarlo quando accade in un contesto ecclesiale, voi potete offrire un orientamento agli altri, dato che questa piaga si trova non solo dentro le vostre Diocesi, ma in ogni settore della società. Essa esige una risposta determinata e collettiva.
Pure i sacerdoti hanno bisogno della vostra guida e della vostra vicinanza durante questo tempo difficile. Essi hanno sperimentato la vergogna per ciò che è accaduto e molti di loro percepiscono di avere perduto parte di quella fiducia che una volta avevano. Non sono pochi quelli che sperimentano una vicinanza a Cristo nella sua Passione, mentre si sforzano di affrontare le conseguenze della crisi presente. Il Vescovo, come padre, fratello e amico dei suoi sacerdoti, li può aiutare a trarre frutto spirituale da questa unione con Cristo, rendendoli consci della consolante presenza del Signore nel mezzo delle loro sofferenze, ed incoraggiandoli a camminare con il Signore nel sentiero della speranza (cfr Spe salvi, 39). Come osservava il Papa Giovanni Paolo II sei anni orsono, “dobbiamo aver fiducia che questo tempo di prova porterà una purificazione dell’intera comunità cattolica”,che condurrà “ad un sacerdozio più santo, ad un episcopato più santo e ad una Chiesa più santa” (Messaggio ai Cardinali degli Stati Uniti, 23 aprile 2002, 4). Vi sono molti segni che, nel periodo successivo, una tale purificazione ha davvero avuto luogo. La costante presenza di Cristo nel mezzo delle nostre sofferenze sta gradualmente trasformando le nostre tenebre in luce: ogni cosa viene fatta nuova veramente in Cristo Gesù, nostra speranza.
In questo momento parte vitale del vostro compito è di rafforzare i rapporti con i vostri sacerdoti, specialmente in quei casi in cui è sorta tensione fra preti e Vescovi in conseguenza della crisi. È importante che continuiate a dimostrare nei loro confronti la vostra preoccupazione, il vostro sostegno e la vostra guida attraverso l’esempio. Così di certo li aiuterete ad incontrare il Dio vivente e li orienterete verso quella speranza che trasforma l’esistenza della quale parla il Vangelo. Se voi stessi vivrete in un modo che si configura strettamente a Cristo, il Buon Pastore, che diede la vita per le sue pecore, ispirerete i vostri fratelli sacerdoti a dedicarsi nuovamente al servizio del gregge con la generosità che caratterizzò Cristo. In verità, una concentrazione più chiara sull’imitazione di Cristo nella santità di vita è ciò che abbisogna, se vogliamo andare avanti. Dobbiamo riscoprire la gioia di vivere un’esistenza incentrata su Cristo, coltivando le virtù ed immergendoci nella preghiera. Quando i fedeli sanno che il loro pastore è uomo che prega e dedica la propria vita al loro servizio, rispondono con quel calore ed affetto che nutre e sostiene la vita dell’intera comunità.
Il tempo trascorso nella preghiera non è mai gettato via, per quanto siano importanti i doveri che ci pressano da ogni dove. L’adorazione di Cristo nostro Signore nel Santissimo Sacramento prolunga ed intensifica quell’unione a lui che si costituisce mediante la Celebrazione eucaristica (cfr Sacramentum caritatis, 66). La contemplazione dei misteri del Rosario sprigiona tutta la loro forza salvifica conformandoci, unendoci e consacrandoci a Gesù Cristo (cfr Rosarium Virginis Mariae, 11.15). La fedeltà alla Liturgia delle Ore assicura che l’intero nostro giorno sia santificato, ricordandoci continuamente la necessità di restare concentrati nel compiere l’opera di Dio, nonostante tutte le urgenze o le distrazioni che possono sorgere nei confronti degli obblighi da compiere. In tale maniera, la devozione ci aiuta a parlare e ad agire in persona Christi, ad insegnare, governare e santificare i fedeli nel nome di Gesù, recando la sua riconciliazione, la sua guarigione ed il suo amore a tutti i suoi amati fratelli e sorelle. Questa radicale configurazione a Cristo Buon Pastore è al centro del nostro ministero pastorale e se apriamo noi stessi, mediante la preghiera, alla potenza dello Spirito, Egli ci elargirà i doni di cui abbiamo bisogno per compiere il nostro formidabile dovere, tanto da non dover mai preoccuparci “di come o di che cosa parlare” (Mt 10,19).
Nel concludere questo mio discorso rivolto a voi questa sera, affido in maniera tutta particolare la Chiesa che è nel vostro Paese alla materna sollecitudine e all’intercessione di Maria Immacolata, Patrona degli Stati Uniti. Possa lei, che ha portato nel proprio grembo la speranza di tutte le Nazioni, intercedere per il popolo di questa Nazione, affinché tutti siano resi nuovi in Cristo Gesù, il Figlio suo. Cari Fratelli Vescovi, assicuro a ciascuno di voi qui presente la mia profonda amicizia e la mia partecipazione alle vostre preoccupazioni pastorali. A voi tutti, al clero, ai religiosi ed ai fedeli laici imparto cordialmente la Benedizione Apostolica, pegno di gioia e di pace in Cristo Risorto.
RISPOSTE DEL PAPA ALLE DOMANDE DEI VESCOVI
1. Viene chiesto al Santo Padre di esprimere la propria valutazione sulla sfida del secolarismo in aumento nella vita pubblica e sul relativismo nella vita intellettuale, come pure i Suoi suggerimenti su come affrontare tali sfide dal punto di vista pastorale, per poter compiere l’opera di evangelizzazione più efficacemente.
Ho affrontato brevemente questo tema nel mio discorso. Ritengo significativo il fatto che qui in America, a differenza di molti luoghi in Europa, la mentalità secolare non si è posta come intrinsecamente opposta alla religione. All’interno del contesto della separazione fra Chiesa e Stato, la società americana è sempre stata segnata da un fondamentale rispetto della religione e del suo ruolo pubblico e, se si vuol dar credito ai sondaggi, il popolo americano è profondamente religioso. Ma non è sufficiente contare su questa religiosità tradizionale e comportarsi come se tutto fosse normale, mentre i suoi fondamenti vengono lentamente erosi. Un impegno serio nel campo dell’evangelizzazione non può prescindere da una diagnosi profonda delle sfide reali che il Vangelo ha di fronte nella cultura contemporanea americana.
Naturalmente, ciò che è essenziale è una corretta comprensione della giusta autonomia dell’ordine secolare, un’autonomia che non può essere disgiunta da Dio Creatore e dal suo piano di salvezza (cfr Gaudium et spes, 36). Forse il tipo di secolarismo dell’America pone un problema particolare: mentre permette di credere in Dio e rispetta il ruolo pubblico della religione e delle Chiese, sottilmente tuttavia riduce la credenza religiosa al minimo comune denominatore. La fede diviene accettazione passiva che certe cose “là fuori” sono vere, ma senza rilevanza pratica per la vita quotidiana. Il risultato è una crescente separazione della fede dalla vita: il vivere “come se Dio non esistesse”. Ciò è aggravato da un approccio individualistico ed eclettico alla fede e alla religione: lungi dall’approccio cattolico del “pensare con la Chiesa”, ogni persona crede di avere un diritto di individuare e scegliere, mantenendo i vincoli sociali ma senza una conversione integrale, interiore alla legge di Cristo. Di conseguenza, piuttosto che essere trasformati e rinnovati nell’animo, i cristiani sono facilmente tentati di conformarsi allo spirito del secolo (cfr Rm 12,2). L’abbiamo constatato in maniera acuta nello scandalo dato da cattolici che promuovono un presunto diritto all’aborto.
Ad un livello più profondo, il secolarismo sfida la Chiesa a riaffermare e a perseguire ancor più attivamente la sua missione nel e al mondo. Come è stato reso chiaro dal Concilio, i laici a questo riguardo hanno una responsabilità particolare. Sono convinto che ciò di cui vi è bisogno sia un maggior senso del rapporto intrinseco fra il Vangelo e la legge naturale da una parte, e il perseguimento dall’altra dell’autentico bene umano, come viene incarnato nella legge civile e nelle decisioni morali personali. In una società che giustamente tiene in alta considerazione la libertà personale, la Chiesa deve promuovere ad ogni livello i suoi insegnamenti nella catechesi, nella predicazione, nell’istruzione seminaristica ed universitaria un’apologetica tesa ad affermare la verità della rivelazione cristiana, l’armonia tra fede e ragione, ed una sana comprensione della libertà, vista in termini positivi come liberazione sia dalle limitazioni del peccato che per una vita autentica e piena. In una parola, il Vangelo dev’esser predicato ed insegnato come un modo di vita integrale, che offre una risposta attraente e veritiera, intellettualmente e praticamente, ai problemi umani reali. La “dittatura del relativismo”, alla fin fine, non è nient’altro che una minaccia alla libertà umana, la quale matura soltanto nella generosità e nella fedeltà alla verità.
Si potrebbe dire molto di più, naturalmente, su questo argomento: lasciatemi concludere, tuttavia, dicendo che io credo che la Chiesa in America, in questo preciso momento della sua storia, ha di fronte a sé la sfida di ritrovare la visione cattolica della realtà e di presentarla in maniera coinvolgente e con fantasia ad una società che fornisce ogni genere di ricette per l’auto realizzazione umana. Penso in particolare al nostro bisogno di parlare al cuore dei giovani, i quali, nonostante la costante esposizione a messaggi contrari al Vangelo, continuano ad aver sete di autenticità, di bontà, di verità. Molto resta ancora da fare a livello della predicazione e della catechesi nelle parrocchie e nelle scuole, se si vuole che l’evangelizzazione rechi frutto per il rinnovamento della vita ecclesiale in America.
2. Il Santo Padre viene interrogato riguardo ad “un certo silenzioso processo” mediante il quale i cattolici abbandonano la pratica della fede, talvolta mediante una decisione esplicita, ma più spesso quietamente e gradualmente allontanandosi dalla partecipazione alla Messa e dall’identificazione con la Chiesa.
Certamente molto di tutto ciò dipende dal progressivo ridursi di una cultura religiosa, talvolta paragonata in modo dispregiativo ad un “ghetto”, che potrebbe rafforzare la partecipazione e l’identificazione con la Chiesa. Come ho appena detto, una delle grandi sfide che stanno di fronte alla Chiesa in questo Paese è quella di coltivare un’identità cattolica basata non tanto su elementi esterni, quanto piuttosto su un modo di pensare e di agire radicato nel Vangelo ed arricchito in base alla tradizione vivente della Chiesa.
Il tema coinvolge chiaramente fattori come l’individualismo religioso e lo scandalo. Ma andiamo al cuore della questione: la fede non può sopravvivere se non è nutrita, se non “opera per mezzo della carità” (Gal 5,6). La gente ha oggi difficoltà ad incontrare Dio nelle nostre chiese? La nostra predicazione ha forse perso il proprio sale? Non potrebbe ciò essere dovuto al fatto che molti hanno dimenticato, o addirittura mai imparato, come pregare nella e con la Chiesa?
Non parlo qui di persone che lasciano la Chiesa alla ricerca di “esperienze” religiose soggettive; questo è un tema pastorale da affrontare nei termini propri. Penso che stiamo parlando di persone che sono cadute fuori strada senza aver coscientemente rigettato la fede in Cristo, ma che, per una qualche ragione, non hanno ricevuto forza vitale dalla liturgia, dai Sacramenti, dalla predicazione. Eppure la fede cristiana, come sappiamo, è essenzialmente ecclesiale, e senza un vincolo vivo con la comunità, la fede dell’individuo non crescerà mai sino a maturità. Per tornare alla questione appena discussa: il risultato può essere un’apostasia silenziosa.
Lasciatemi perciò fare due brevi osservazioni sul problema del “processo di abbandono”, che spero stimoleranno ulteriori riflessioni.
Per prima cosa, come sapete, diviene sempre più difficile nelle società occidentali parlare in maniera sensata di “salvezza”. Eppure la salvezza la liberazione dalla realtà del male e il dono di una vita nuova e libera in Cristo è al cuore stesso del Vangelo. Dobbiamo riscoprire, come ho già detto, modi nuovi e avvincenti per proclamare questo messaggio e risvegliare una sete di quella pienezza che soltanto Cristo può dare. È nella liturgia della Chiesa, e soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, che queste realtà vengono manifestate nel modo più potente e vengono vissute nell’esistenza dei credenti; forse abbiamo ancora molto da fare per realizzare la visione del Concilio circa la liturgia, come esercizio del sacerdozio comune e come slancio per un fruttuoso apostolato nel mondo.
In secondo luogo, dobbiamo riconoscere con preoccupazione la quasi completa eclissi di un senso escatologico in molte delle nostre società tradizionalmente cristiane. Come sapete, ho sollevato tale problema nell’enciclica Spe salvi. Basti dire che fede e speranza non sono limitate a questo mondo: come virtù teologali esse ci uniscono al Signore e ci portano verso il compimento non soltanto del nostro destino ma anche di quello di tutta la creazione. La fede e la speranza sono l’ispirazione e la base dei nostri sforzi per prepararci alla venuta del Regno di Dio. Nel cristianesimo non vi può essere posto per una religione puramente privata: Cristo è il Salvatore del mondo e, quali membra del suo Corpo e partecipi dei suoi munera profetico, sacerdotale e regale, non possiamo separare il nostro amore per Lui dall’impegno dell’edificazione della Chiesa e dell’ampliamento del Regno. Nella misura in cui la religione diventa un affare puramente privato, essa perde la sua stessa anima.
Lasciatemi concludere, affermando l’ovvio. I campi sono a tutt’oggi pronti per la mietitura (cfr Gv 4,35); Dio continua a far crescere la messe (cfr 1 Cor 3,6). Possiamo e dobbiamo credere, insieme col defunto Papa Giovanni Paolo II, che Dio sta preparando una nuova primavera per la cristianità (cfr Redemptoris missio, 86). Ciò di cui c’è maggior bisogno, in questo specifico tempo della storia della Chiesa in America, è il rinnovamento di quello zelo apostolico che ispiri i suoi pastori in maniera attiva a cercare gli smarriti, a fasciare quanti sono stati feriti e a rafforzare i deboli (cfr Ez 34,16). E ciò, come ho detto, esige nuovi modi di pensare basati su una sana diagnosi delle sfide odierne ed un impegno per l’unità nel servizio alla missione della Chiesa verso le generazioni presenti.
3. Viene chiesto al Santo Padre di esprimere una sua valutazione sul declino delle vocazioni, nonostante il numero crescente della popolazione cattolica, e sulle ragioni della speranza offerte dalle qualità personali e dalla sete di santità che caratterizzano i candidati che decidono di proseguire.
Siamo sinceri: la capacità di coltivare le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa è un segno sicuro della salute di una Chiesa locale. Non c’è spazio per alcun compiacimento a questo riguardo. Dio continua a chiamare i giovani, ma spetta a noi incoraggiare una risposta generosa e libera a quella chiamata. D’altra parte, nessuno di noi può prendere tale grazia come scontata.
Nel Vangelo, Gesù ci dice di pregare perché il Signore della messe mandi operai; egli ammette pure che gli operai sono pochi al confronto dell’abbondanza della messe (cfr Mt 9,37-38). Sembrerà strano, ma io spesso penso che la preghiera l’unum necessarium è l’unico aspetto delle vocazioni che sia efficace e noi tendiamo spesso a dimenticarlo o a sottovalutarlo!
Non parlo soltanto di preghiera per le vocazioni. La preghiera stessa, nata nelle famiglie cattoliche, nutrita da programmi di formazione cristiana, rafforzata dalla grazia dei Sacramenti, è il mezzo principale mediante il quale veniamo a conoscere la volontà di Dio per la nostra vita. Nella misura in cui insegniamo ai giovani a pregare, e a pregare bene, noi cooperiamo alla chiamata di Dio. I programmi, i piani e i progetti hanno il loro posto, ma il discernimento di una vocazione è anzitutto il frutto di dialogo intimo fra il Signore e i suoi discepoli. I giovani, se sanno pregare, possono essere fiduciosi di sapere che cosa fare della chiamata di Dio.
È stato notato che vi è una sete crescente di santità in molti giovani oggi e che, anche se in numero sempre minore, quanti vanno avanti dimostrano un grande idealismo e offrono molte promesse. È importante ascoltarli, comprendere le loro esperienze ed incoraggiarli ad aiutare i coetanei a vedere il bisogno di sacerdoti e religiosi impegnati, come pure a vedere la bellezza di una vita di sacrificio e di servizio al Signore e alla sua Chiesa. A mio giudizio, molto è richiesto ai direttori e formatori delle vocazioni: ai candidati, oggi più che mai, bisogna offrire una sana formazione intellettuale e umana che li ponga in grado non soltanto di rispondere alle domande reali e ai bisogni dei contemporanei, ma anche di maturare nella loro conversione e di perseverare nella vocazione attraverso un impegno che duri per la vita intera. Quali Vescovi, siete coscienti del sacrificio che viene richiesto quando vi domandano di sollevare dagli impegni uno dei vostri preti migliori per lavorare in seminario. Vi esorto a rispondere con generosità per il bene della Chiesa intera.
Da ultimo, penso che sappiate per esperienza che molti dei vostri fratelli sacerdoti sono felici nella loro vocazione. Ciò che dissi nel mio discorso sull’importanza dell’unità e della collaborazione con il presbiterio si applica anche in questo campo. Vi è la necessità per tutti noi di lasciare le sterili divisioni, i disaccordi e i preconcetti e di ascoltare insieme la voce dello Spirito che guida la Chiesa verso un futuro di speranza. Ciascuno di noi sa quanto importante è stata la fraternità sacerdotale nella propria vita; essa non è soltanto un possesso prezioso, ma anche una risorsa immensa per il rinnovamento del sacerdozio e la crescita di nuove vocazioni. Desidero concludere incoraggiandovi a creare opportunità di un dialogo ancora maggiore e di incontri fraterni fra i vostri sacerdoti, specialmente quelli giovani. Sono convinto che ciò porterà frutto per il loro arricchimento, per l’aumento del loro amore al sacerdozio e alla Chiesa, come pure per l’efficacia del loro apostolato.
Con queste poche osservazioni, vi incoraggio ancora una volta nel vostro ministero nei confronti dei fedeli affidati alle vostre premure pastorali e vi affido all’amorevole intercessione di Maria Immacolata, Madre della Chiesa.
PAROLE DEL SANTO PADRE AL TERMINE DELL’INCONTRO
Prima di andarmene, vorrei soffermarmi per un istante e prendere atto dell’immensa sofferenza sopportata dal Popolo di Dio nell’Arcidiocesi di New Orleans per effetto dell’uragano Katrina, come anche del suo coraggio nell’affrontare l’opera della ricostruzione. Desidero fare dono all’Arcivescovo Alfred Hughes di un calice, nella speranza che esso sia accolto come segno della mia orante solidarietà verso i fedeli dell’Arcidiocesi e della mia personale gratitudine per l’infaticabile operosità che egli e gli Arcivescovi Philip Hannan e Francis Schulte hanno dimostrato nei riguardi del gregge affidato alle loro cure.
Il 17 aprile Benedetto XVI ha presieduto, alle 10, presso il “Nationals Stadium”, la celebrazione Messa per i fedeli dell’arcidiocesi di Washington. Nel corso della Messa, introdotto dal saluto dell’Arcivescovo di Washington, il Papa ha pronunciato in inglese l’omelia che riportiamo di seguito nella traduzione italiana:
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
“Pace a voi!” (Gv 20, 19). Con queste parole, le prime rivolte dal Signore risorto ai suoi discepoli, saluto tutti voi nella gioia di questo tempo pasquale. Prima di tutto, ringrazio Iddio per la grazia di essere in mezzo a voi. Sono particolarmente riconoscente all’Arcivescovo Wuerl per le sue gentili parole di benvenuto.
La nostra Santa Messa di oggi riconduce la Chiesa che è negli Stati Uniti alle sue radici nel vicino Maryland e ricorda il 200
Nell’esercizio del mio ministero di Successore di Pietro sono venuto in America per confermare voi, cari fratelli e sorelle, nella fede degli Apostoli (cfr Lc 22,32). Sono venuto per proclamare nuovamente, come san Pietro proclamò nel giorno di Pentecoste, che Gesù Cristo è Signore e Messia, risuscitato da morte, seduto alla destra del Padre nella gloria e costituito giudice dei vivi e dei morti (cfr At 2, 14ss). Sono venuto per ripetere l’urgente esortazione degli Apostoli alla conversione per il perdono dei peccati e per implorare dal Signore una nuova effusione dello Spirito Santo sulla Chiesa in questo Paese. Come abbiamo sentito in questo tempo pasquale, la Chiesa è nata mediante il pentimento e la fede nel Signore risorto – doni dati dallo Spirito. In ogni epoca essa è spinta dallo stesso Spirito a portare a uomini e donne di ogni razza, lingua e popolo (cfr Ap 5,9) la buona novella della nostra riconciliazione con Dio in Cristo.
Le letture della Messa di oggi ci invitano a considerare la crescita della Chiesa in America come un capitolo nella storia più grande dell’espansione della Chiesa in seguito alla discesa dello Spirito Santo a Pentecoste. In queste letture vediamo il legame inscindibile tra il Signore risorto, il dono dello Spirito per il perdono dei peccati e il mistero della Chiesa. Cristo ha costituito la sua Chiesa sul fondamento degli Apostoli (cfr Ap 21,14) quale visibile comunità strutturata, che è insieme comunione spirituale, corpo mistico animato dai molteplici doni dello Spirito e sacramento di salvezza per l’umanità intera (cfr Lumen gentium, 8). In ogni tempo e luogo la Chiesa è chiamata a crescere nell’unità mediante una costante conversione verso Cristo, la cui opera redentrice viene proclamata dai Successori degli Apostoli e celebrata nei sacramenti. Questa unità, d’altra parte, comporta un’espansione continua, perché lo Spirito sprona i credenti a proclamare “le grandi opere di Dio” e ad invitare tutte le genti ad entrare nella comunità di quanti sono salvati mediante il sangue di Cristo e hanno ricevuto la nuova vita nel suo Spirito.
Prego, poi, affinché questo anniversario significativo nella vita della Chiesa negli Stati Uniti e la presenza del Successore di Pietro in mezzo a voi siano per tutti i cattolici un’occasione per riaffermare la loro unità nella fede apostolica, per offrire ai loro contemporanei una ragione convincente della speranza che li ispira (cfr 1 Pt 3,15) e per essere rinnovati nello zelo missionario a servizio dell’espansione del Regno di Dio.
Il mondo ha bisogno della testimonianza! Chi può negare che il momento presente costituisca una svolta non solo per la Chiesa in America, ma anche per la società nel suo insieme? È un tempo pieno di grandi promesse, poiché vediamo la famiglia umana in vari modi avvicinarsi di più diventando sempre più interdipendente. Allo stesso tempo, tuttavia, vediamo segni evidenti di un crollo preoccupante negli stessi fondamenti della società: segni di alienazione, rabbia e contrapposizione in molti nostri contemporanei; crescente violenza, indebolimento del senso morale, involgarimento nelle relazioni sociali e accresciuta dimenticanza di Cristo e di Dio. Anche la Chiesa vede segni di immense promesse nelle tante sue parrocchie solide e nei movimenti vivaci, nell’entusiasmo per la fede dimostrato da tanti giovani, nel numero di coloro che ogni anno abbracciano la fede cattolica e in un interesse sempre più grande per la preghiera e per la catechesi. Allo stesso tempo essa percepisce, in modo spesso doloroso, la presenza di divisione e polarizzazione al suo interno, e fa pure la sconcertante scoperta che tanti battezzati, invece di agire come lievito spirituale nel mondo, sono inclini ad abbracciare atteggiamenti contrari alla verità del Vangelo.
“Signore, manda il tuo Spirito e rinnova la faccia della terra!” (cfr Sal 104,30). Le parole dell’odierno Salmo responsoriale sono una preghiera che, in ogni tempo e luogo, sale dal cuore della Chiesa. Ricordano a noi che lo Spirito Santo è stato effuso come primizia di una nuova creazione, di “nuovi cieli e una nuova terra” (cfr 2 Pt 3,13; Ap 21, 1), in cui regnerà la pace di Dio e la famiglia umana sarà riconciliata nella giustizia e nell’amore. Abbiamo sentito san Paolo dirci che tutta la creazione “geme” fino ad oggi, aspettando quella vera libertà, che è il dono di Dio per i suoi figli (cfr Rm 8,21-22), una libertà che ci mette in grado di vivere in conformità con la sua volontà. Preghiamo oggi insistentemente, perché la Chiesa in America sia rinnovata in questo stesso Spirito e sostenuta nella sua missione di annunciare il Vangelo a un mondo che ha nostalgia di una libertà genuina (cfr Gv 8,32), di una felicità autentica e del compiersi delle sue aspirazioni più profonde!
Desidero a questo punto rivolgere una parola particolare di gratitudine e di incoraggiamento a tutti coloro che hanno raccolto la sfida del Concilio Vaticano II, ripetuta tante volte da Papa Giovanni Paolo II, e hanno dedicato la loro vita alla nuova evangelizzazione. Ringrazio i miei confratelli Vescovi, sacerdoti e diaconi, religiosi e religiose, genitori, insegnanti e catechisti. La fedeltà e il coraggio, con cui la Chiesa in questo Paese riuscirà ad affrontare le sfide di una cultura sempre più secolarizzata e materialistica dipenderà in gran parte dalla vostra fedeltà personale nel trasmettere il tesoro della nostra fede cattolica. I giovani hanno bisogno di essere aiutati nel discernere la via che conduce alla vera libertà: la via di una sincera e generosa imitazione di Cristo, la via della dedizione alla giustizia e alla pace. Sono stati fatti molti progressi nello sviluppo di programmi solidi per la catechesi, ma molto di più rimane ancora da fare per formare i cuori e le menti dei giovani nella conoscenza e nell’amore del Signore. Le sfide che ci vengono incontro richiedono un’istruzione ampia e sana nella verità della fede. Ma richiedono anche di coltivare un modo di pensare, una “cultura” intellettuale che sia genuinamente cattolica, fiduciosa nell’armonia profonda tra fede e ragione, e preparata a portare la ricchezza della visione della fede a contatto con le questioni urgenti che riguardano il futuro della società americana.
Cari amici, la mia visita negli Stati Uniti intende essere una testimonianza a “Cristo nostra speranza”. Gli americani sono sempre stati un popolo della speranza: i vostri antenati sono venuti in questo Paese con l’aspettativa di trovare una nuova libertà e nuove opportunità, mentre la vastità del territorio inesplorato ispirava loro la speranza di essere capaci di cominciare completamente da capo creando una nuova nazione su nuovi fondamenti. Certo, questa attesa non è stata l’esperienza di tutti gli abitanti di questo Paese; basti pensare alle ingiustizie sofferte dalle native popolazioni americane e da quanti dall’Africa furono portati qui forzatamente come schiavi. Ma la speranza, la speranza nel futuro fa profondamente parte del carattere americano. E la virtù cristiana della speranza la speranza riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, la speranza che purifica e corregge in modo soprannaturale le nostre aspirazioni orientandole verso il Signore e il suo piano di salvezza questa speranza ha anche caratterizzato, e continua a caratterizzare, la vita della comunità cattolica in questo Paese.
È nel contesto di questa speranza nata dall’amore e dalla fedeltà di Dio che io prendo atto del dolore che la Chiesa in America ha provato come conseguenza dell’abuso sessuale di minorenni. Nessuna mia parola potrebbe descrivere il dolore ed il danno recati da tale abuso. È importante che a quanti hanno sofferto sia riservata un’amorevole attenzione pastorale. Né posso descrivere in modo adeguato il danno verificatosi all’interno della comunità della Chiesa. Sono già stati fatti grandi sforzi per affrontare in modo onesto e giusto questa tragica situazione e per assicurare che i bambini che il nostro Signore ama così profondamente (cfr Mc 10,14) e che sono il nostro tesoro più grande possano crescere in un ambiente sicuro. Queste premure per proteggere i bambini devono continuare. Ieri ho parlato con i vostri Vescovi di questa cosa. Oggi incoraggio ognuno di voi a fare quanto gli è possibile per promuovere il risanamento e la riconciliazione e per aiutare quanti sono stati feriti. Inoltre vi chiedo di amare i vostri sacerdoti e di confermarli nel lavoro eccellente che fanno. E soprattutto pregate affinché lo Spirito Santo effonda i suoi doni sulla Chiesa, i doni che conducono alla conversione, al perdono e alla crescita nella santità.
San Paolo, come abbiamo sentito nella seconda lettura, parla di una specie di preghiera che sale dalle profondità dei nostri cuori con sospiri troppo profondi per essere espressi in parole, con “gemiti” (Rm 8,26) suggeriti dallo Spirito. È questa una preghiera che anela, nel mezzo del castigo, al compiersi delle promesse di Dio. È una preghiera d’inesauribile speranza, ma anche di paziente perseveranza e, non di rado, accompagnata dalla sofferenza per la verità. Mediante questa preghiera partecipiamo al mistero della stessa debolezza e sofferenza di Cristo, mentre confidiamo fermamente nella vittoria della sua Croce. Che la Chiesa in America, con questa preghiera, abbracci sempre di più la via della conversione e della fedeltà alle esigenze del Vangelo! E che tutti i cattolici sperimentino la consolazione della speranza e i doni di gioia e forza elargiti dallo Spirito.
Nel brano evangelico di oggi il Signore risorto fa agli Apostoli il dono dello Spirito Santo e concede loro l’autorità di perdonare i peccati. Mediante l’invincibile potere della grazia di Cristo, affidato a fragili ministri umani, la Chiesa rinasce continuamente e a ciascuno di noi viene data la speranza di un nuovo inizio. Confidiamo nel potere dello Spirito di ispirare conversione, di risanare ogni ferita, di superare ogni divisione e di suscitare vita e libertà nuove! Quanto bisogno abbiamo di tali doni! E quanto sono a portata di mano, particolarmente nel Sacramento della penitenza! La forza liberatrice di questo Sacramento, nel quale la nostra sincera confessione del peccato incontra la parola misericordiosa di perdono e di pace da parte di Dio, ha bisogno di essere riscoperta e fatta propria da ogni cattolico. In gran parte il rinnovamento della Chiesa in America e nel mondo dipende dal rinnovamento della prassi della penitenza e dalla crescita nella santità: ambedue vengono ispirate e realizzate da questo Sacramento.
“Nella speranza noi siamo stati salvati!” (Rm 8,24). Mentre la Chiesa negli Stati Uniti ringrazia per le benedizioni dei duecento anni passati, invito voi, le vostre famiglie e ogni parrocchia e comunità religiosa a confidare nel potere della grazia di creare un futuro promettente per il Popolo di Dio in questo Paese. Nel nome del Signore Gesù vi chiedo di sopprimere ogni divisione e di lavorare con gioia per preparare una via per Lui, nella fedeltà alla sua parola e nella costante conversione alla sua volontà. Soprattutto vi incito a continuare ad essere un lievito di speranza evangelica nella società americana, mirando a portare la luce e la verità del Vangelo nel compito di creare un mondo sempre più giusto e libero per le generazioni future.
Chi ha speranza deve vivere diversamente! (cfr Spe Salvi, 2). Che voi possiate, mediante le vostre preghiere, mediante la testimonianza della vostra fede, mediante la fecondità della vostra carità, indicare la via verso quel vasto orizzonte di speranza che Dio anche adesso sta aprendo per la sua Chiesa, anzi per l’umanità intera: la visione di un mondo riconciliato e rinnovato in Gesù Cristo, nostro Salvatore. A Lui ogni onore e gloria, ora e sempre. Amen!
* * *
Cari fratelli e sorelle di lingua spagnola:
desidero salutarvi con le stesse parole che il Cristo risorto rivolse agli apostoli: “Pace a voi!” (Gv 20,19). Che la gioia di sapere che il Signore ha trionfato sulla morte e sul peccato vi aiuti ad essere, là dove vi trovate, testimoni del suo amore e seminatori di quella speranza che Egli è venuto a portarci e che mai delude. Non lasciatevi vincere dal pessimismo, l’inerzia o i problemi. Innanzitutto, fedeli agli impegni assunti nel battesimo, approfondite ogni giorno la conoscenza di Cristo e lasciate che il vostro cuore sia conquistato dal suo amore e dal suo perdono.
La Chiesa negli Stati Uniti, accogliendo nel suo grembo tanti suoi figli emigranti, è andata crescendo grazie anche alla vitalità della testimonianza di fede dei fedeli di lingua spagnola. Per questo il Signore vi chiama a perseverare nel contribuire al futuro della Chiesa in questo Paese e alla diffusione del Vangelo. Solo se rimarrete uniti a Cristo e tra di voi, la vostra testimonianza evangelizzatrice sarà credibile e si esprimerà in copiosi frutti di pace e di riconciliazione in mezzo a un mondo molte volte segnato da divisioni e scontri. La Chiesa attende molto da voi. Non la deludete nel vostro generoso impegno. “Ciò che avete ricevuto gratuitamente, gratuitamente donatelo! (Mt 10,8). Amen.
Nel pomeriggio del 17 aprile Benedetto XVI ha raggiunto in auto la “Catholic University of America” di Washington, fondata dall’episcopato statunitense nel 1807. Il Papa è stato accolto dall’Arcivescovo di Washington, dal Rettore e dal Presidente del Board dell’Università, mons. William E. Lori, che lo ha accompagnato nella Sala Conferenze dove erano riuniti 235 Rettori di Università e College cattolici, 195 Responsabili diocesani per l’insegnamento, oltre a rappresentanti di docenti e studenti cattolici. Dopo l’indirizzo di omaggio del Rettore, mons. David M. O’Connell, C.M., il Papa ha pronunciato in inglese il discorso che riportiamo di seguito nella traduzione italiana:
“Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene” (Rm 10, 15-17). Con queste parole di Isaia, citate da San Paolo, saluto calorosamente ciascuno di voi portatori di sapienza e attraverso di voi tutto il personale, gli studenti e le famiglie delle molte e svariate istituzioni formative che voi rappresentate. È un vero piacere per me incontrarvi e condividere con voi alcune riflessioni circa la natura e l’identità dell’educazione cattolica oggi. Desidero in particolare ringraziare P. Davide O’Connell, Presidente e Rettore della Catholic University of America. Ho molto apprezzato, caro Presidente, le Sue gentili parole di benvenuto. La prego di estendere l’espressione della mia cordiale gratitudine all’intera comunità facoltà, personale e studenti di questa Università.
Il compito educativo è parte integrante della missione che la Chiesa ha di proclamare la Buona Novella. In primo luogo e soprattutto ogni istituzione educativa cattolica è un luogo in cui incontrare il Dio vivente, il quale in Gesù Cristo rivela la forza trasformatrice del suo amore e della sua verità (cfr Spe salvi, 4). Questa relazione suscita il desiderio di crescere nella conoscenza e nella comprensione di Cristo e del suo insegnamento. In questo modo coloro che lo incontrano sono portati dalla potenza del Vangelo a condurre una nuova vita caratterizzata da tutto ciò che è bello, buono e vero; una vita di testimonianza cristiana nutrita e rafforzata entro la comunità dei discepoli di Nostro Signore, la Chiesa.
La dinamica tra incontro personale, conoscenza e testimonianza cristiana è parte integrante della diakonia della verità che la Chiesa esercita in mezzo all’umanità. La rivelazione di Dio offre ad ogni generazione la possibilità di scoprire la verità ultima sulla propria vita e sul fine della storia. Questo compito non è mai facile: coinvolge l’intera comunità cristiana e motiva ogni generazione di educatori cristiani a garantire che il potere della verità di Dio permei ogni dimensione delle istituzioni che essi servono. In questo modo, la Buona Novella di Cristo è messa in condizione di operare, guidando sia l’insegnante che lo studente verso la verità oggettiva che, trascendendo il particolare e il soggettivo, rimanda all’universale e all’assoluto che ci abilita a proclamare con fiducia la speranza che non delude (cfr Rm 5,5). Contro i conflitti personali, la confusione morale e la frammentazione della conoscenza, i nobili scopi della formazione accademica e dell’educazione, fondati sull’unità della verità e sul servizio alla persona e alla comunità, diventano uno speciale potente strumento di speranza.
Cari amici, la storia di questa Nazione offre numerosi esempi dell’impegno della Chiesa a questo riguardo. Di fatto, la comunità cattolica in questo Paese ha fatto dell’educazione una delle sue più importanti priorità. Questa impresa non si è realizzata senza grandi sacrifici. Figure eminenti come Santa Elizabeth Ann Seton e altri fondatori e fondatrici, con grande tenacia e preveggenza hanno guidato l’istituzione di ciò che costituisce oggi una ragguardevole rete di scuole parrocchiali che contribuiscono al benessere della Chiesa e della Nazione. Alcuni, come Santa Katharine Drexel, hanno dedicato la loro vita all’educazione di coloro che altri avevano trascurato – nel suo caso, Afro-americani e Americani Nativi. Innumerevoli Sorelle, Fratelli e Sacerdoti di Congregazioni religiose, insieme con genitori altruisti, hanno aiutato, attraverso le Scuole cattoliche, generazioni di immigrati a sollevarsi dalla miseria e a prendere il loro posto nella società odierna.
Questo sacrificio continua anche oggi. È un eccellente apostolato della speranza il cercare di farsi carico delle necessità materiali, intellettuali e spirituali di oltre tre milioni di ragazzi e studenti. Questo offre anche all’intera comunità cattolica un’opportunità altamente encomiabile di contribuire generosamente alla necessità finanziarie delle nostre istituzioni. Occorre assicurare loro la possibilità di perdurare nel lungo periodo. In effetti, deve essere fatto tutto il possibile, in collaborazione con la comunità più vasta, per assicurare che esse siano accessibili a persone di ogni strato sociale ed economico. A nessun bambino o bambina deve essere negato il diritto di una educazione nella fede, che di rimando nutre lo spirito della nazione.
Alcuni pongono oggi in questione l’impegno della Chiesa nell’educazione, chiedendosi se le sue risorse non potrebbero essere meglio impiegate altrove. Certo in una nazione come questa, lo Stato provvede ampie opportunità per l’educazione e attira donne e uomini dediti e generosi verso questa onorata professione. È opportuno, quindi, riflettere su ciò che è specifico delle nostre istituzioni cattoliche. Come possono esse contribuire al bene della società attraverso la missione primaria della Chiesa che è di evangelizzare?
Tutte le attività della Chiesa scaturiscono dalla sua consapevolezza di essere portatrice di un messaggio che ha la sua origine in Dio stesso: nella sua bontà e sapienza, Dio ha scelto di rivelare se stesso e di far conoscere il proposito nascosto della sua volontà (cfr Ef 1,9; Dei Verbum, 2). Il desiderio di Dio di farsi conoscere e l’innato desiderio di ogni essere umano di conoscere la verità forniscono il contesto della ricerca umana sul significato della vita. Questo incontro unico è sostenuto entro la nostra comunità cristiana: chi cerca la verità diventa uno che vive di fede (cfr Fides et ratio, 31). Ciò può essere descritto come un movimento dall'”io” al “noi”, che porta il singolo ad essere annoverato entro il popolo di Dio.
La stessa dinamica di identità comunitaria a chi io appartengo? vivifica l’ethos delle nostre istituzioni cattoliche. L’identità di un’Università o di una Scuola cattolica non è semplicemente una questione di numero di studenti cattolici. È una questione di convinzione crediamo noi veramente che solo nel mistero del Verbo fatto carne diventa veramente chiaro il mistero dell’uomo (cfr Gaudium et spes, 22)? Siamo noi veramente pronti ad affidare il nostro intero io intelletto e volontà, mente e cuore a Dio? Accettiamo noi la verità che Cristo rivela? Nelle nostre università e scuole la fede è “tangibile”? Le viene data fervida espressione nella liturgia, nei sacramenti, mediante la preghiera, gli atti di carità, la sollecitudine per la giustizia e il rispetto per la creazione di Dio? Solo in questo modo noi rendiamo realmente testimonianza sul senso di chi noi siamo e di ciò che noi sosteniamo.
Da questa prospettiva si può riconoscere che la contemporanea “crisi di verità” è radicata in una “crisi di fede”. Solo mediante la fede noi possiamo dare liberamente il nostro assenso alla testimonianza di Dio e riconoscerlo come il trascendente garante della verità che egli rivela. Ancora una volta, noi vediamo perché il promuovere l’intimità personale con Gesù Cristo e la testimonianza comunitaria alla sua verità che è amore è indispensabile nelle istituzioni formative cattoliche. Di fatto tutti noi vediamo, e osserviamo con preoccupazione, la difficoltà o la riluttanza che molte persone hanno oggi nell’affidare se stesse a Dio. È un fenomeno complesso, questo, sul quale rifletto continuamente. Mentre abbiamo cercato con diligenza di coinvolgere l’intelligenza dei nostri giovani, forse abbiamo trascurato la loro volontà. Di conseguenza, noi osserviamo con ansia che la nozione di libertà viene distorta. La libertà non è facoltà di disimpegno daimpegno per una partecipazione all’Essere stesso. Di conseguenza, l’autentica libertà non può mai essere raggiunta nell’allontanamento da Dio. Una simile scelta significherebbe ultimamente trascurare la genuina verità di cui abbisogniamo per capire noi stessi. Perciò una particolare responsabilità per ciascuno di voi, e per i vostri colleghi, è di suscitare tra i vostri giovani il desiderio di un atto di fede, incoraggiandoli ad impegnarsi per la vita ecclesiale che fluisce da questo atto di fede. È qui che la libertà raggiunge la certezza della verità. Nella scelta di vivere secondo tale verità, noi abbracciamo la pienezza della vita di fede che ci è data nella Chiesa.
Chiaramente, pertanto, l’identità cattolica non dipende dalle statistiche. Neppure può essere semplicemente equiparata con l’ortodossia del contenuto dei corsi. Ciò richiede ed ispira molto di più: e cioè che ogni aspetto delle vostre comunità di studio si riverberi nella vita ecclesiale di fede. Solo nella fede la verità può farsi incarnata e la ragione veramente umana, capace di dirigere la volontà lungo il sentiero della libertà (cfr Spe salvi, 23). In questo modo le nostre istituzioni offrono un vitale contributo alla missione della Chiesa e servono efficacemente la società. Esse diventano luoghi in cui l’attiva presenza di Dio negli affari umani è riconosciuta e ogni giovane persona scopre la gioia di entrare nell'”essere per gli altri” di Cristo (cfr ibid., 28).
La missione, primaria nella Chiesa, di evangelizzare, nella quale le istituzioni educative giocano un ruolo cruciale, è in consonanza con l’aspirazione fondamentale della nazione di sviluppare una società veramente degna della dignità della persona umana. A volte, tuttavia, il valore del contributo della Chiesa al forum pubblico è posto in questione. È perciò importante ricordare che la verità della fede e quella della ragione non si contraddicono mai tra loro (cfr Concilio Ecumenico Vaticano I, Costituzione dogmatica sulla Fede cattolica Dei Filius, IV: DS 3017; S.Agostino, Contra Academicos, III, 20,43). La missione della Chiesa, di fatto, la coinvolge nella lotta che l’umanità sostiene per raggiungere la verità. Nell’esprimere la verità rivelata essa serve tutti i membri della società purificando la ragione, assicurando che essa rimanga aperta alla considerazione delle verità ultime. Attingendo alla divina sapienza, essa getta luce sulla fondazione della moralità e dell’etica umana, e ricorda a tutti i gruppi nella società che non è la prassi a creare la verità ma è la verità che deve servire come base della prassi. Lungi dal minacciare la tolleranza della legittima diversità, un simile contributo illumina la verità stessa che rende raggiungibile il consenso, ed aiuta a mantenere ragionevole, onesto ed affidabile il pubblico dibattito. Similmente la Chiesa mai si stanca di sostenere le categorie morali essenziali del giusto e dell’ingiusto, senza le quali la speranza può solo appassire, aprendo la strada a freddi calcoli pragmatici utilitaristici che riducono la persona a poco più di una pedina su di un’ideale scacchiera.
Rispetto al forum educativo, la diakonia della verità assume un elevato significato nelle società in cui l’ideologia secolaristica pone un cuneo tra verità e fede. Questa divisione ha portato alla tendenza di eguagliare verità e conoscenza e ad adottare una mentalità positivistica che, rigettando la metafisica, nega i fondamenti della fede e rigetta la necessità di una visione morale. Verità significa di più che conoscenza: conoscere la verità ci porta a scoprire il bene. La verità parla all’individuo nella sua interezza, invitandoci a rispondere con tutto il nostro essere. Questa visione ottimistica è fondata nella nostra fede cristiana, perché in tale fede è donata la visione del Logos, la creatrice Ragione di Dio, che nell’Incarnazione si è rivelata come Divinità essa stessa. Lungi dall’essere solo una comunicazione di dati fattuali “informativa” la verità amante del Vangelo è creativa e capace di cambiare la vita è “performativa” (cfr Spe salvi, 2). Con fiducia gli educatori cristiani possono liberare i giovani dai limiti del positivismo e risvegliare la loro recettività nei confronti della verità, di Dio e della sua bontà. In questo modo voi aiuterete anche a formare la loro coscienza che, arricchita dalla fede, apre un sicuro cammino verso la pace interiore e il rispetto per gli altri.
Non costituisce una sorpresa, tuttavia, se non tanto le nostre stesse comunità ecclesiali ma la società in generale ha intense aspettative di educatori cattolici. Questo pone su di voi una responsabilità e vi offre un’opportunità. Un numero sempre maggiore di persone in particolare di genitori riconosce il bisogno di eccellenza nella formazione umana dei loro figli. Come Mater et Magistra, la Chiesa condivide la loro preoccupazione. Quando nulla aldilà dell’individuo è riconosciuto come definitivo, il criterio ultimo di giudizio diventa l’io e la soddisfazione dei desideri immediati dell’individuo. L’obiettività e la prospettiva, che derivano soltanto dal riconoscimento dell’essenziale dimensione trascendente della persona umana, possono andare perdute. All’interno di un simile orizzonte relativistico gli scopi dell’educazione vengono inevitabilmente ridotti. Lentamente si afferma un abbassamento dei livelli. Osserviamo oggi una certa timidezza di fronte alla categoria del bene e un’inconsulta caccia di novità in passerella come realizzazione della libertà. Siamo testimoni della convinzione che ogni esperienza sia di uguale valore e della riluttanza ad ammettere imperfezioni ed errori. E particolarmente inquietante è la riduzione della preziosa e delicata area dell’educazione sessuale alla gestione del “rischio”, priva di ogni riferimento alla bellezza dell’amore coniugale.
Come possono rispondere gli educatori cristiani? Questi pericolosi sviluppi pongono in evidenza la particolare urgenza di ciò che potremmo chiamare “carità intellettuale”. Questo aspetto della carità chiede all’educatore di riconoscere che la profonda responsabilità di condurre i giovani alla verità non è che un atto di amore. In verità, la dignità dell’educazione risiede nel promuovere la vera perfezione e la gioia di coloro che devono essere guidati. In pratica, la “carità intellettuale” sostiene l’essenziale unità della conoscenza contro la frammentazione che consegue quando la ragione è staccata dal perseguimento della verità. Ciò guida i giovani verso la profonda soddisfazione di esercitare la libertà in relazione alla verità, e ciò spinge a formulare la relazione tra la fede e i vari aspetti della vita familiare e civile. Una volta che la passione per la pienezza e l’unità della verità è stata risvegliata, i giovani sicuramente gusteranno la scoperta che la questione su ciò che essi possono conoscere li apre alla vasta avventura di ciò che essi dovrebbero fare. Qui essi sperimenteranno “in chi” e “in che cosa” è possibile sperare e saranno ispirati a recare il loro contributo alla società in un modo che genera speranza negli altri.
Cari amici, desidero concludere attirando l’attenzione specificamente sull’eminente importanza della vostra competenza e della vostra testimonianza all’interno delle nostre Università e Scuole cattoliche. Innanzitutto, consentitemi di ringraziarvi per la vostra dedizione e generosità. Conosco fin dai tempi in cui ero professore ed ho poi udito dai vostri Vescovi ed Officiali della Congregazione per l’Educazione Cattolica che la reputazione delle Istituzioni educative nel vostro Paese è largamente dovuta a voi ed ai vostri predecessori. I vostri disinteressati contributi dalla ricerca esterna alla dedizione di coloro che lavorano all’interno degli Istituti scolastici servono sia il vostro Paese che la Chiesa. Per questo vi esprimo la mia profonda gratitudine.
A proposito dei membri delle Facoltà nei Collegi universitari cattolici, desidero riaffermare il grande valore della libertà accademica. In virtù di questa libertà voi siete chiamati a cercare la verità ovunque l’attenta analisi dell’evidenza vi conduce. Tuttavia è anche il caso di ricordare che ogni appello al principio della libertà accademica per giustificare posizioni che contraddicono la fede e l’insegnamento della Chiesa ostacolerebbe o addirittura tradirebbe l’identità e la missione dell’Università, una missione che sta al cuore del munus docendi della Chiesa e non è in qualche modo autonoma o indipendente da essa.
Insegnanti ed amministratori, sia nelle Università che nelle Scuole, hanno il dovere e il privilegio di assicurare che gli studenti ricevano un’istruzione nella dottrina e nella pratica cattolica. Questo richiede che la testimonianza pubblica al modo d’essere di Cristo, come risulta dal Vangelo ed è proposto dal Magistero della Chiesa, modelli ogni aspetto della vita istituzionale sia all’interno che all’esterno delle aule scolastiche. Prendere la distanza da questa visione indebolisce l’identità cattolica e, lungi dal far avanzare la libertà, inevitabilmente conduce alla confusione sia morale che intellettuale e spirituale.
Desidero anche esprimere una particolare parola di incoraggiamento agli insegnanti di catechesi sia laici che religiosi, i quali si battono per assicurare che i giovani diventino quotidianamente più capaci di apprezzare il dono della fede. L’educazione religiosa è uno stimolante apostolato e ci sono molti segni di un desiderio tra i giovani di conoscere meglio la fede e di praticarla con determinazione. Se si vuole che questo risveglio cresca, è necessario che gli insegnanti abbiano una chiara e precisa comprensione della specifica natura e del ruolo dell’educazione cattolica. Essi devono anche essere pronti a guidare l’impegno posto dall’intera comunità scolastica nell’assistere i nostri giovani e le loro famiglie a sperimentare l’armonia tra fede, vita e cultura.
Qui desidero rivolgere uno speciale appello ai religiosi, alle religiose ed ai sacerdoti: non abbandonate l’apostolato scolastico; anzi, rinnovate la vostra dedizione alle scuole, specialmente a quelle che sono nelle aree più povere. Nei luoghi dove vi sono molte fallaci promesse che attraggono i giovani lontano dal sentiero della verità e della genuina libertà, la testimonianza dei consigli evangelici resa dalla persona consacrata è un dono insostituibile. Incoraggio i religiosi presenti a porre rinnovato entusiasmo nella promozione delle vocazioni. Sappiate che la vostra testimonianza in favore dell’ideale della consacrazione e della missione in mezzo ai giovani è una sorgente di grande ispirazione nella fede per loro e per le loro famiglie.
A voi tutti io dico: siate testimoni di speranza! Alimentate la vostra testimonianza con la preghiera. Rendete conto della speranza che caratterizza le vostre vite (cfr 1 Pt 3,15), vivendo la verità che voi proponete ai vostri studenti. Aiutateli a conoscere e ad amare quell’Uno che avete incontrato, la cui verità e bontà voi avete sperimentato con gioia. Con sant’Agostino diciamo: “Noi che parliamo e voi che ascoltate riconosciamoci come fedeli discepoli di un unico Maestro” (Serm., 23,2). Con questi sentimenti di comunione volentieri imparto a voi, ai vostri colleghi e studenti ed alle vostre famiglie l’Apostolica Benedizione.
Dopo l’incontro con il mondo universitario cattolico Benedetto XVI si è trasferito al “Pope John Paul II Cultural Center” di Washington per incontrare i Rappresentanti di altre Religioni. Al Suo ingresso il Papa è stato accolto dal Rettore del Centro Culturale, ha incontratoi circa 200 rappresentanti appartenenti a cinque Comunità religiose: ebrei, musulmani, indù, buddisti e giainisti. Dopo il saluto di Mons. Richard J. Sklba, Vescovo Ausiliare di Milwaukee e Incaricato per l’Ecumenismo ed il Dialogo Interreligioso della Conferenza Episcopale statunitense, il Papa ha pronunciato in inglese il discorso che riportiamo di seguito nella traduzione italiana:
Cari amici,
sono lieto di avere l’occasione di incontrarmi oggi con voi. Ringrazio il Vescovo Sklba per le sue parole di benvenuto e saluto cordialmente tutti voi qui convenuti in rappresentanza delle diverse religioni presenti negli Stati Uniti d’America. Molti di voi hanno gentilmente accettato l’invito a comporre le riflessioni contenute nel programma di oggi. Per le vostre profonde parole su come ognuna delle vostre tradizioni dà testimonianza alla pace, vi sono particolarmente grato. Grazie a voi tutti.
Questo Paese ha una lunga storia di collaborazione tra le diverse religioni, in molti campi della vita pubblica. Servizi di preghiera interreligiosa nel corso della festa nazionale del Ringraziamento, iniziative comuni in attività caritative, una voce condivisa su importanti questioni pubbliche: questi sono alcuni modi in cui i membri di diverse religioni si incontrano per migliorare la reciproca comprensione e promuovere il bene comune. Incoraggio tutti i gruppi religiosi in America a perseverare nella loro collaborazione ed arricchire così la vita pubblica con i valori spirituali che animano la vostra azione nel mondo.
Il luogo in cui siamo ora raccolti è stato fondato appositamente per la promozione di questo tipo di collaborazione. Infatti, il Pope John Paul II Cultural Center si propone di offrire una voce cristiana alla “ricerca umana di significato e di scopo nella vita” in un mondo di “comunità religiose, etniche e culturali diverse” (Mission Statement). Questa istituzione ci ricorda la convinzione di questa nazione che tutti gli uomini dovrebbero essere liberi di perseguire la felicità in un modo compatibile con la loro natura di creature dotate di ragione e di libera volontà.
Gli americani hanno sempre apprezzato la possibilità di render culto liberamente e in conformità con la loro coscienza. Alexis de Tocqueville, lo storico francese e osservatore delle cose americane, era affascinato da questo aspetto della Nazione. Egli ha sottolineato che questo è un paese in cui la religione e la libertà sono “intimamente legate” nel contribuire ad una democrazia stabile che favorisca le virtù sociali e la partecipazione alla vita comunitaria di tutti i suoi cittadini. Nelle aree urbane, è comune per le persone provenienti da entroterra culturali e religioni diverse impegnarsi ogni giorno l’uno accanto all’altro negli ambienti commerciali, sociali ed educativi. Oggi giovani cristiani, ebrei, musulmani, indù, buddisti, e bambini di tutte le religioni nelle aule di tutto il Paese siedono fianco a fianco imparando gli uni con gli altri e gli uni dagli altri. Questa diversità dà luogo a nuove sfide che suscitano una più profonda riflessione sui principi fondamentali di una società democratica. Possano altri prendere coraggio dalla vostra esperienza, rendendosi conto che una società unita può derivare da una pluralità di popoli “E pluribus unum – da molti, uno” -, a condizione che tutti riconoscano la libertà religiosa come un diritto civile fondamentale (cfr Dignitatis humanae, 2).
Il compito di difendere la libertà religiosa non è mai completato. Nuove situazioni e nuove sfide invitano i cittadini e leader a riflettere su come le loro decisioni rispettino questo diritto umano fondamentale. Tutelare la libertà religiosa entro la norma della legge non garantisce che i popoli, in particolare le minoranze, siano risparmiate da ingiuste forme di discriminazione e di pregiudizio. Questo richiede uno sforzo costante da parte di tutti i membri della società al fine di garantire che ai cittadini sia offerta l’opportunità di esercitare il culto pacificamente e di trasmettere il loro patrimonio religioso ai loro figli.
La trasmissione delle tradizioni religiose alle generazioni che si succedono non solo aiuta a preservare un patrimonio, ma sostiene anche e alimenta nel presente la cultura che le circonda. Lo stesso vale per il dialogo tra le religioni; sia coloro che vi partecipano che la società ne traggono arricchimento. Nella misura in cui cresciamo nella comprensione gli uni degli altri, vediamo che condividiamo una stima per i valori etici, raggiungibili dalla ragione umana, che sono venerati da tutte le persone di buona volontà. Il mondo chiede insistentemente una comune testimonianza di questi valori. Invito pertanto tutte le persone religiose a considerare il dialogo non solo come un mezzo per rafforzare la comprensione reciproca, ma anche come un modo per servire in maniera più ampia la società. Testimoniando quelle verità morali che essi hanno in comune con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, i gruppi religiosi eserciteranno un influsso positivo sulla più ampia cultura e ispireranno i vicini, i colleghi di lavoro e i concittadini ad unirsi nel compito di rafforzare legami di solidarietà. Per usare le parole del Presidente Franklin Delano Roosevelt, “alla nostra terra non potrebbe oggi succedere cosa più grande di una rinascita dello spirito di fede”.
Un esempio concreto del contributo che le comunità religiose possono offrire alla società civile sono le scuole confessionali. Queste istituzioni arricchiscono i bambini sia intellettualmente che spiritualmente. Guidati dai loro insegnanti a scoprire la dignità donata da Dio ad ogni essere umano, i giovani imparano a rispettare le credenze e le pratiche religiose altrui, aumentando la vita civile di una nazione.
Quale enorme responsabilità hanno i leaders religiosi! Essi devono permeare la società con un profondo timore e rispetto per la vita umana e la libertà; garantire che la dignità umana sia riconosciuta e apprezzata; facilitare la pace e la giustizia; insegnare ai bambini ciò che è giusto, buono e ragionevole!
Vi è un altro punto su cui desidero soffermarmi qui. Ho notato un crescente interesse tra i governi a sponsorizzare programmi destinati a promuovere il dialogo interreligioso e interculturale. Si tratta di lodevoli iniziative. Allo stesso tempo, la libertà religiosa, il dialogo interreligioso e la fede mirano a qualcosa di più di un consenso volto a individuare vie per attuare strategie concrete per far progredire la pace. L’obiettivo più ampio di dialogo è quello di scoprire la verità. Qual è l’origine e il destino del genere umano? Che cosa sono bene e male? Che cosa ci attende alla fine della nostra esistenza terrena? Solo affrontando queste questioni più profonde potremo costruire una solida base per la pace e la sicurezza della famiglia umana: “dove e quando l’uomo si lascia illuminare dallo splendore della verità, intraprende quasi naturalmente il cammino della pace” (Messaggio 2006 per la Giornata Mondiale della Pace, 3).
Viviamo in un’epoca nella quale queste domande sono troppo spesso messe ai margini. Tuttavia, esse non potranno mai essere cancellate dal cuore umano. Nel corso della storia, gli uomini e le donne hanno cercato di collegare la loro inquietudine con questo mondo che passa. Nella tradizione giudaico-cristiana, i Salmi sono pieni di queste espressioni: “In me languisce il mio spirito” (Sal 143,4; cfr Sal 6,7; 31,11; 32,4; 38,8; 77,3); “Perché ti rattristi, anima mia, perché su di me gemi?” (Sal 42,6). La risposta è sempre di fede: “Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio” (ibidemSal 62,6). I leaders spirituali hanno un particolare dovere, e potremmo dire una speciale competenza, a porre in primo piano le domande più profonde alla coscienza umana, a risvegliare l’umanità davanti al mistero dell’esistenza umana, a fare spazio in un mondo frenetico alla riflessione e alla preghiera.
Messi di fronte a questi interrogativi più profondi riguardanti l’origine e il destino del genere umano, i cristiani propongono Gesù di Nazareth. Egli è questa è la nostra fede – il Logos eterno, che si è fatto carne per riconciliare l’uomo con Dio e rivelare la ragione che sta alla base di tutte le cose. E’ Lui che noi portiamo nel forum del dialogo interreligioso. L’ardente desiderio di seguire le sue orme spinge i cristiani ad aprire le loro menti e i loro cuori al dialogo (cfr Lc 10, 25-37; Gv 4, 7-26).
Cari amici, nel nostro tentativo di scoprire i punti di comunanza, forse abbiamo evitato la responsabilità di discutere le nostre differenze con calma e chiarezza. Mentre uniamo sempre i nostri cuori e le menti nella ricerca della pace, dobbiamo anche ascoltare con attenzione la voce della verità. In questo modo, il nostro dialogo non si ferma ad individuare un insieme comune di valori, ma si spinge innanzi ad indagare il loro fondamento ultimo. Non abbiamo alcun motivo di temere, perché la verità ci svela il rapporto essenziale tra il mondo e Dio. Siamo in grado di percepire che la pace è un “dono celeste”, che ci chiama a conformare la storia umana all’ordine divino. Sta qui la “verità della pace” (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2006)
Come abbiamo visto allora, il più importante obiettivo del dialogo interreligioso richiede una chiara esposizione delle nostre rispettive dottrine religiose. A questo proposito, collegi, università e centri di studio sono importanti luoghi per un sincero scambio di idee religiose. La Santa Sede, da parte sua, cerca di portare avanti questo importante lavoro attraverso il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, il Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica, e varie Università Pontificie.
Cari amici, lasciate che il nostro sincero dialogo e la nostra cooperazione ispirino tutte le persone a meditare le domande più profonde circa la loro origine e il loro destino. Possano i seguaci di tutte le religioni stare uniti nel difendere e promuovere la vita e la libertà religiosa in tutto il mondo. Dedicandoci generosamente a questo sacro compito – attraverso il dialogo e innumerevoli piccoli atti di amore, di comprensione e compassione- possiamo essere strumenti di pace per l’intera famiglia umana. Pace a voi tutti!
Nel pomeriggio del 18 aprile Benedetto XVI ha fatto visita alla “Park East Synagogue” di New York. All’ingresso della sinagoga il Papa è stato accolto dal Rabbino Arthur Schneier. Nel corso della visita, che avveniva a poche ore dall’inizio della celebrazione della festa di Pesah introdotto dal saluto del Rabbino Schneier, Benedetto XVI ha pronunciato in inglese queste parole:
Cari Amici,
estendo uno speciale saluto di pace alla comunità ebraica degli Stati Uniti e di tutto il mondo, mentre vi preparate a celebrare la festività annuale della Pesah. La mia visita in questo Paese coincide con questa festa, e mi permette di incontrarvi di persona e di assicurarvi la mia preghiera mentre fate memoria dei segni e dei prodigi che Dio ha operato per liberare il suo popolo eletto. A motivo della nostra comune eredità spirituale, ho il piacere di affidarvi questo messaggi come segno della nostra speranza che si fonda sull’Onnipotente e sulla sua misericordia.
MESSAGGIO ALLA COMUNITÀ EBRAICA IN OCCASIONE DELLA FESTA DI PESAH
La visita negli Stati Uniti mi offre l’occasione per estendere un caloroso e cordiale saluto ai miei fratelli e sorelle ebrei in questo Paese e in tutto il mondo. Un saluto che è tanto più spiritualmente intenso a motivo dell’avvicinarsi della grande festa di Pesah. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne (Esodo 12,14). Anche se la celebrazione cristiana della Pasqua differisce in vari aspetti dalla vostra celebrazione di Pesah, noi la comprendiamo e sperimentiamo in continuità con la narrazione biblica delle grandi opere che il Signore ha compiuto per il suo popolo.
In occasione della vostra più solenne celebrazione, mi sento a voi particolarmente vicino, proprio per ciò che Nostra Aetate invita i Cristiani a ricordare sempre: che cioè la Chiesa ha ricevuto la rivelazione dell’Antico Testamento tramite quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia si è degnato di stringere l’Antica Alleanza e che si nutre dalla radice del buon ulivo su cui sono stati innestati i rami dell’oleastro dei Gentili (n. 4). Nel rivolgermi a voi, desidero riaffermare l’insegnamento del Concilio Vaticano II sulle relazioni cattolico-ebraiche e reiterare l’impegno della Chiesa per il dialogo che nei trascorsi quarant’anni ha cambiato in modo fondamentale e migliorato i nostri rapporti.
A motivo di questa crescita nella fiducia e nell’amicizia, Cristiani ed Ebrei possono insieme sperimentare nella gioia il carattere profondamente spirituale della Pasqua, un memoriale di libertà e di redenzione. Ogni anno, quando ascoltiamo la storia della Pasqua noi ritorniamo alla notte benedetta della liberazione. Questo tempo santo dell’anno dovrebbe essere un richiamo per entrambe le comunità a perseguire la giustizia, la misericordia, la solidarietà verso lo straniero, la vedova e l’orfano, come comandò Mosè: Ma ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore tuo Dio; perciò ti comando di fare questa cosa (Deuteronomio 24, 18).
Al Sèder della Pasqua voi richiamate i santi patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe e le sante donne di Israele, Sara, Rebecca, Rachele e Lia, l’inizio della lunga generazione di figli e figlie dell’Alleanza. Con il passare del tempo l’Alleanza assume un valore sempre più universale, quando la promessa fatta ad Abramo prende forma: Io ti benedirò e renderò grande il tuo nome, e diventerai una benedizione…. In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra (Genesi 12, 2-3). In effetti, secondo il profeta Isaia, la speranza della redenzione si estende all’intera umanità: Verranno molti popoli e diranno: venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri’ (Isaia 2, 3). In questo orizzonte escatologico viene offerta una reale prospettiva di fraternità universale sul cammino della giustizia e della pace, per preparare la via del Signore (cfr Isaia 62, 10).
Cristiani ed Ebrei condividono questa speranza; infatti, noi siamo, effettivamente, come affermano i profeti, prigionieri della speranza (Zaccaria 9, 12). Questo vincolo permette a noi Cristiani di celebrare al vostro fianco, anche se in un modo nostro specifico, la Pasqua della morte e della risurrezione di Cristo, che noi consideriamo inseparabile dal vostro, avendo Gesù stesso detto: la salvezza viene dai Giudei (Giovanni 4, 22). La nostra Pasqua e il vostro Pesah, sebbene distinti e differenti, ci uniscono nella comune speranza centrata su Dio e sulla Sua misericordia. Questo ci sprona a cooperare gli uni con gli altri e con tutti gli uomini e le donne di buona volontà per rendere migliore questo mondo per tutti, in attesa del compimento delle promesse di Dio.
Con rispetto e amicizia, chiedo, pertanto, alla Comunità ebraica di accettare i miei auguri di Pesah in uno spirito di apertura alle reali possibilità di cooperazione che vediamo davanti a noi, mentre contempliamo le urgenti necessità del nostro mondo e guardiamo con compassione alle sofferenze di milioni di nostri fratelli e sorelle ovunque. Naturalmente, la nostra condivisa speranza per la pace nel mondo abbraccia il Medio Oriente e la Terra Santa in particolare. Possa la memoria delle misericordie di Dio, che Ebrei e Cristiani celebrano in questo tempo di festa, ispirare tutti i responsabili per il futuro di quella Regione – dove gli eventi legati alla rivelazione di Dio avvennero realmente – a rinnovati sforzi e specialmente a nuovi atteggiamenti e ad una nuova purificazione dei cuori!
Nel mio cuore, ripeto con voi il salmo dell’Hallel pasquale, invocando abbondanti benedizioni divine su di voi:
Nella mattina di venerdì 18 aprile, dopo aver celebrato la Santa Messa in privato nella Cappella della Nunziatura Apostolica di Washington, Benedetto XVI è poi partito dall’aeroporto della “Andrews Air Force Base” per l’aeroporto internazionale John Fitzgerald Kennedy di New York. Qui il Papa è stato accolto dall’Arcivescovo di New York, Card. Edward Michael Egan; dall’Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’ONU, l’Arcivescovo Celestino Migliore; dal Vescovo di Brooklyn, Mons. Nicholas A. Di Marzio; dal Vescovo di Rockville Center, Mons. William Francis Murphy; dal Sindaco di New York, Michael Bloomberg, e da alcune altre Autorità civili. In elicottero il Papa si è poi trasferito a Manhattan per poi raggiungere in auto la Sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Qui alle 10.45 è stato accolto dal Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-moon e dal Presidente dell’Assemblea Generale, Kerim Srgjan. Dopo l’incontro privato con il Segretario Generale, Benedetto XVI ha rivolto ai Rappresentanti delle Nazioni nell’Aula dell’Assemblea Generale il discorso in francese che riportiamo di seguito nella sua traduzione italiana:
nel dare inizio al mio discorso a questa Assemblea, desidero anzitutto esprimere a Lei, Signor Presidente, la mia sincera gratitudine per le gentili parole a me dirette. Uguale sentimento va anche al Segretario Generale, il Signor Ban Ki-moon, per avermi invitato a visitare gli uffici centrali dell’Organizzazione e per il benvenuto che mi ha rivolto. Saluto gli Ambasciatori e i Diplomatici degli Stati Membri e quanti sono presenti: attraverso di voi, saluto i popoli che qui rappresentate. Essi attendono da questa Istituzione che porti avanti l’ispirazione che ne ha guidato la fondazione, quella di un centro per l’armonizzazione degli atti delle Nazioni nel perseguimento dei fini comuni, la pace e lo sviluppo (cfr Carta delle Nazioni Unite, art. 1.2-1.4). Come il Papa Giovanni Paolo II disse nel 1995, l’Organizzazione dovrebbe essere centro morale, in cui tutte le nazioni del mondo si sentano a casa loro, sviluppando la comune coscienza di essere, per così dire, una famiglia di nazioni’ (Messaggio all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel 50° anniversario della fondazione, New York, 5 ottobre 1995, 14).
Mediante le Nazioni Unite, gli Stati hanno dato vita a obiettivi universali che, pur non coincidendo con il bene comune totale dell’umana famiglia, senza dubbio rappresentano una parte fondamentale di quel bene stesso. I principi fondativi dell’Organizzazione – il desiderio della pace, la ricerca della giustizia, il rispetto della dignità della persona, la cooperazione umanitaria e l’assistenza – esprimono le giuste aspirazioni dello spirito umano e costituiscono gli ideali che dovrebbero sottostare alle relazioni internazionali. Come i miei predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II hanno osservato da questo medesimo podio, si tratta di argomenti che la Chiesa Cattolica e la Santa Sede seguono con attenzione e con interesse, poiché vedono nella vostra attività come problemi e conflitti riguardanti la comunità mondiale possano essere soggetti ad una comune regolamentazione. Le Nazioni Unite incarnano l’aspirazione ad un grado superiore di orientamento internazionale (Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 43), ispirato e governato dal principio di sussidiarietà, e pertanto capace di rispondere alle domande dell’umana famiglia mediante regole internazionali vincolanti ed attraverso strutture in grado di armonizzare il quotidiano svolgersi della vita dei popoli. Ciò è ancor più necessario in un tempo in cui sperimentiamo l’ovvio paradosso di un consenso multilaterale che continua ad essere in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi, mentre i problemi del mondo esigono interventi nella forma di azione collettiva da parte della comunità internazionale.
Certo, questioni di sicurezza, obiettivi di sviluppo, riduzione delle ineguaglianze locali e globali, protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima, richiedono che tutti i responsabili internazionali agiscano congiuntamente e dimostrino una prontezza ad operare in buona fede, nel rispetto della legge e nella promozione della solidarietà nei confronti delle regioni più deboli del pianeta. Penso in particolar modo a quei Paesi dell’Africa e di altre parti del mondo che rimangono ai margini di un autentico sviluppo integrale, e sono perciò a rischio di sperimentare solo gli effetti negativi della globalizzazione. Nel contesto delle relazioni internazionali, è necessario riconoscere il superiore ruolo che giocano le regole e le strutture intrinsecamente ordinate a promuovere il bene comune, e pertanto a difendere la libertà umana. Tali regole non limitano la libertà; al contrario, la promuovono, quando proibiscono comportamenti e atti che operano contro il bene comune, ne ostacolano l’effettivo esercizio e perciò compromettono la dignità di ogni persona umana. Nel nome della libertà deve esserci una correlazione fra diritti e doveri, con cui ogni persona è chiamata ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte, fatte in conseguenza dell’entrata in rapporto con gli altri. Qui il nostro pensiero si rivolge al modo in cui i risultati delle scoperte della ricerca scientifica e tecnologica sono stati talvolta applicati. Nonostante gli enormi benefici che l’umanità può trarne, alcuni aspetti di tale applicazione rappresentano una chiara violazione dell’ordine della creazione, sino al punto in cui non soltanto viene contraddetto il carattere sacro della vita, ma la stessa persona umana e la famiglia vengono derubate della loro identità naturale. Allo stesso modo, l’azione internazionale volta a preservare l’ambiente e a proteggere le varie forme di vita sulla terra non deve garantire soltanto un uso razionale della tecnologia e della scienza, ma deve anche riscoprire l’autentica immagine della creazione. Questo non richiede mai una scelta da farsi tra scienza ed etica: piuttosto si tratta di adottare un metodo scientifico che sia veramente rispettoso degli imperativi etici.
Il riconoscimento dell’unità della famiglia umana e l’attenzione per l’innata dignità di ogni uomo e donna trovano oggi una rinnovata accentuazione nel principio della responsabilità di proteggere. Solo di recente questo principio è stato definito, ma era già implicitamente presente alle origini delle Nazioni Unite ed è ora divenuto sempre più caratteristica dell’attività dell’Organizzazione. Ogni Stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura che dall’uomo. Se gli Stati non sono in grado di garantire simile protezione, la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici previsti dalla Carta delle Nazioni Unite e da altri strumenti internazionali. L’azione della comunità internazionale e delle sue istituzioni, supposto il rispetto dei principi che sono alla base dell’ordine internazionale, non deve mai essere interpretata come un’imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità. Al contrario, è l’indifferenza o la mancanza di intervento che recano danno reale. Ciò di cui vi è bisogno e una ricerca più profonda di modi di prevenire e controllare i conflitti, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione ed incoraggiamento anche ai più flebili segni di dialogo o di desiderio di riconciliazione.
Il principio della responsabilità di proteggere era considerato dall’antico ius gentium quale fondamento di ogni azione intrapresa dai governanti nei confronti dei governati: nel tempo in cui il concetto di Stati nazionali sovrani si stava sviluppando, il frate domenicano Francisco de Vitoria, a ragione considerato precursore dell’idea delle Nazioni Unite, aveva descritto tale responsabilità come un aspetto della ragione naturale condivisa da tutte le Nazioni, e come il risultato di un ordine internazionale il cui compito era di regolare i rapporti fra i popoli. Ora, come allora, tale principio deve invocare l’idea della persona quale immagine del Creatore, il desiderio di una assoluta ed essenziale libertà. La fondazione delle Nazioni Unite, come sappiamo, coincise con il profondo sdegno sperimentato dall’umanità quando fu abbandonato il riferimento al significato della trascendenza e della ragione naturale, e conseguentemente furono gravemente violate la libertà e la dignità dell’uomo. Quando ciò accade, sono minacciati i fondamenti oggettivi dei valori che ispirano e governano l’ordine internazionale e sono minati alla base quei principi cogenti ed inviolabili formulati e consolidati dalle Nazioni Unite. Quando si è di fronte a nuove ed insistenti sfide, è un errore ritornare indietro ad un approccio pragmatico, limitato a determinare un terreno comune, minimale nei contenuti e debole nei suoi effetti.
Il riferimento all’umana dignità, che è il fondamento e l’obiettivo della responsabilità di proteggere, ci porta al tema sul quale siamo invitati a concentrarci quest’anno, che segna il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Il documento fu il risultato di una convergenza di tradizioni religiose e culturali, tutte motivate dal comune desiderio di porre la persona umana al cuore delle istituzioni, leggi e interventi della società, e di considerare la persona umana essenziale per il mondo della cultura, della religione e della scienza. I diritti umani sono sempre più presentati come linguaggio comune e sostrato etico delle relazioni internazionali. Allo stesso tempo, l’universalità, l’indivisibilità e l’interdipendenza dei diritti umani servono tutte quali garanzie per la salvaguardia della dignità umana. È evidente, tuttavia, che i diritti riconosciuti e delineati nella Dichiarazione si applicano ad ognuno in virtù della comune origine della persona, la quale rimane il punto più alto del disegno creatore di Dio per il mondo e per la storia. Tali diritti sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà. Rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere ad una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e persino religiosi differenti. Non si deve tuttavia permettere che tale ampia varietà di punti di vista oscuri il fatto che non solo i diritti sono universali, ma lo è anche la persona umana, soggetto di questi diritti.
La vita della comunità, a livello sia interno che internazionale, mostra chiaramente come il rispetto dei diritti e le garanzie che ne conseguono siano misure del bene comune che servono a valutare il rapporto fra giustizia ed ingiustizia, sviluppo e povertà, sicurezza e conflitto. La promozione dei diritti umani rimane la strategia più efficace per eliminare le disuguaglianze fra Paesi e gruppi sociali, come pure per un aumento della sicurezza. Certo, le vittime degli stenti e della disperazione, la cui dignità umana viene violata impunemente, divengono facile preda del richiamo alla violenza e possono diventare in prima persona violatrici della pace. Tuttavia il bene comune che i diritti umani aiutano a raggiungere non si può realizzare semplicemente con l’applicazione di procedure corrette e neppure mediante un semplice equilibrio fra diritti contrastanti. Il merito della Dichiarazione Universale è di aver permesso a differenti culture, espressioni giuridiche e modelli istituzionali di convergere attorno ad un nucleo fondamentale di valori e, quindi, di diritti. Oggi però occorre raddoppiare gli sforzi di fronte alle pressioni per reinterpretare i fondamenti della Dichiarazione e di comprometterne l’intima unità, così da facilitare un allontanamento dalla protezione della dignità umana per soddisfare semplici interessi, spesso interessi particolari. La Dichiarazione fu adottata come comune concezione da perseguire (preambolo) e non può essere applicata per parti staccate, secondo tendenze o scelte selettive che corrono semplicemente il rischio di contraddire l’unità della persona umana e perciò l’indivisibilità dei diritti umani.
L’esperienza ci insegna che spesso la legalità prevale sulla giustizia quando l’insistenza sui diritti umani li fa apparire come l’esclusivo risultato di provvedimenti legislativi o di decisioni normative prese dalle varie agenzie di coloro che sono al potere. Quando vengono presentati semplicemente in termini di legalità, i diritti rischiano di diventare deboli proposizioni staccate dalla dimensione etica e razionale, che è il loro fondamento e scopo. Al contrario, la Dichiarazione Universale ha rafforzato la convinzione che il rispetto dei diritti umani è radicato principalmente nella giustizia che non cambia, sulla quale si basa anche la forza vincolante delle proclamazioni internazionali. Tale aspetto viene spesso disatteso quando si tenta di privare i diritti della loro vera funzione in nome di una gretta prospettiva utilitaristica. Dato che i diritti e i conseguenti doveri seguono naturalmente dall’interazione umana, è facile dimenticare che essi sono il frutto di un comune senso della giustizia, basato primariamente sulla solidarietà fra i membri della società e perciò validi per tutti i tempi e per tutti i popoli. Questa intuizione fu espressa sin dal quinto secolo da Agostino di Ippona, uno dei maestri della nostra eredità intellettuale, il quale ebbe a dire riguardo al Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a teche tale massima non può in alcun modo variare a seconda delle diverse comprensioni presenti nel mondo (De doctrina christiana, III, 14). Perciò, i diritti umani debbono esser rispettati quali espressione di giustizia e non semplicemente perché possono essere fatti rispettare mediante la volontà dei legislatori.
Signore e Signori, mentre la storia procede, sorgono nuove situazioni e si tenta di collegarle a nuovi diritti. Il discernimento, cioè la capacità di distinguere il bene dal male, diviene ancor più essenziale nel contesto di esigenze che riguardano le vite stesse e i comportamenti delle persone, delle comunità e dei popoli. Affrontando il tema dei diritti, dato che vi sono coinvolte situazioni importanti e realtà profonde, il discernimento è al tempo stesso una virtù indispensabile e fruttuosa.
Il discernimento, dunque, mostra come l’affidare in maniera esclusiva ai singoli Stati, con le loro leggi ed istituzioni, la responsabilità ultima di venire incontro alle aspirazioni di persone, comunità e popoli interi può talvolta avere delle conseguenze che escludono la possibilità di un ordine sociale rispettoso della dignità e dei diritti della persona. D’altra parte, una visione della vita saldamente ancorata alla dimensione religiosa può aiutare a conseguire tali fini, dato che il riconoscimento del valore trascendente di ogni uomo e ogni donna favorisce la conversione del cuore, che poi porta ad un impegno di resistere alla violenza, al terrorismo ed alla guerra e di promuovere la giustizia e la pace. Ciò fornisce inoltre il contesto proprio per quel dialogo interreligioso che le Nazioni Unite sono chiamate a sostenere, allo stesso modo in cui sostengono il dialogo in altri campi dell’attività umana. Il dialogo dovrebbe essere riconosciuto quale mezzo mediante il quale le varie componenti della società possono articolare il proprio punto di vista e costruire il consenso attorno alla verità riguardante valori od obiettivi particolari. È proprio della natura delle religioni, liberamente praticate, il fatto che possano autonomamente condurre un dialogo di pensiero e di vita. Se anche a tale livello la sfera religiosa è tenuta separata dall’azione politica, grandi benefici ne provengono per gli individui e per le comunità. D’altro canto, le Nazioni Unite possono contare sui risultati del dialogo fra religioni e trarre frutto dalla disponibilità dei credenti a porre le propri esperienze a servizio del bene comune. Loro compito è quello di proporre una visione della fede non in termini di intolleranza, di discriminazione e di conflitto, ma in termini di rispetto totale della verità, della coesistenza, dei diritti e della riconciliazione.
Ovviamente i diritti umani debbono includere il diritto di libertà religiosa, compreso come espressione di una dimensione che è al tempo stesso individuale e comunitaria, una visione che manifesta l’unità della persona, pur distinguendo chiaramente fra la dimensione di cittadino e quella di credente. L’attività delle Nazioni Unite negli anni recenti ha assicurato che il dibattito pubblico offra spazio a punti di vista ispirati ad una visione religiosa in tutte le sue dimensioni, inclusa quella rituale, di culto, di educazione, di diffusione di informazioni, come pure la libertà di professare o di scegliere una religione. È perciò inconcepibile che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi la loro fede per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti. I diritti collegati con la religione sono quanto mai bisognosi di essere protetti se vengono considerati in conflitto con l’ideologia secolare prevalente o con posizioni di una maggioranza religiosa di natura esclusiva. Non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve esser tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale. In verità, già lo stanno facendo, ad esempio, attraverso il loro coinvolgimento influente e generoso in una vasta rete di iniziative, che vanno dalle università, alle istituzioni scientifiche, alle scuole, alle agenzie di cure mediche e ad organizzazioni caritative al servizio dei più poveri e dei più marginalizzati. Il rifiuto di riconoscere il contributo alla società che è radicato nella dimensione religiosa e nella ricerca dell’Assoluto per sua stessa natura, espressione della comunione fra persone privilegerebbe indubbiamente un approccio individualistico e frammenterebbe l’unità della persona.
La mia presenza in questa Assemblea è un segno di stima per le Nazioni Unite ed è intesa quale espressione della speranza che l’Organizzazione possa servire sempre più come segno di unità fra Stati e quale strumento di servizio per tutta l’umana famiglia. Essa mostra pure la volontà della Chiesa Cattolica di offrire il contributo che le è proprio alla costruzione di relazioni internazionali in un modo che permetta ad ogni persona e ad ogni popolo di percepire di poter fare la differenza. La Chiesa opera inoltre per la realizzazione di tali obiettivi attraverso l’attività internazionale della Santa Sede, in modo coerente con il proprio contributo nella sfera etica e morale e con la libera attività dei propri fedeli. Indubbiamente la Santa Sede ha sempre avuto un posto nelle assemblee delle Nazioni, manifestando così il proprio carattere specifico quale soggetto nell’ambito internazionale. Come hanno recentemente confermato le Nazioni Unite, la Santa Sede offre così il proprio contributo secondo le disposizioni della legge internazionale, aiuta a definirla e ad essa fa riferimento.
Le Nazioni Unite rimangono un luogo privilegiato nel quale la Chiesa è impegnata a portare la propria esperienza in umanità, sviluppata lungo i secoli fra popoli di ogni razza e cultura, e a metterla a disposizione di tutti i membri della comunità internazionale. Questa esperienza ed attività, dirette ad ottenere la libertà per ogni credente, cercano inoltre di aumentare la protezione offerta ai diritti della persona. Tali diritti sono basati e modellati sulla natura trascendente della persona, che permette a uomini e donne di percorrere il loro cammino di fede e la loro ricerca di Dio in questo mondo. Il riconoscimento di questa dimensione va rafforzato se vogliamo sostenere la speranza dell’umanità in un mondo migliore, e se vogliamo creare le condizioni per la pace, lo sviluppo, la cooperazione e la garanzia dei diritti delle generazioni future.
Nella mia recente Enciclica Spe salvi, ho sottolineato che la sempre nuova faticosa ricerca di retti ordinamenti per le cose umane è compito di ogni generazione (n. 25). Per i cristiani tale compito è motivato dalla speranza che scaturisce dall’opera salvifica di Gesù Cristo. Ecco perché la Chiesa è lieta di essere associata all’attività di questa illustre Organizzazione, alla quale è affidata la responsabilità di promuovere la pace e la buona volontà in tutto il mondo. Cari amici, vi ringrazio per l’odierna opportunità di rivolgermi a voi e prometto il sostegno delle mie preghiere per il proseguimento del vostro nobile compito.
Prima di congedarmi da questa illustre Assemblea, vorrei rivolgere il mio augurio, nelle lingue ufficiali, a tutte le Nazioni che vi sono rappresentate:
Peace and Prosperity with God’s help!
Paix et prospérité, avec l’aide de Dieu!
Paz y prosperidad con la ayuda de Dios!
(segue la stessa invocazione in lingua araba, cinese e russa)
Grazie molte!
Signore e Signori,
qui, in un piccolo spazio in mezzo alla città indaffarata di New York, è collocata un’Organizzazione con una missione vasta come il mondo di promuovere la pace e la giustizia. Mi viene in mente un contrasto analogo quanto all’ordine di grandezza tra lo Stato della Città del Vaticano e il mondo, in cui la Chiesa esercita la sua missione universale e il suo apostolato. Gli artisti del XVI secolo che dipinsero le carte geografiche sulle pareti del Palazzo Apostolico ricordarono ai Papi la vasta estensione del mondo conosciuto. In quegli affreschi veniva offerto ai Successori di Pietro un segno tangibile dell’immenso raggio d’azione della missione della Chiesa in un tempo in cui la scoperta del Mondo Nuovo stava aprendo orizzonti imprevisti. Qui, in questo Palazzo di Vetro, l’arte in esposizione ha il suo modo proprio di richiamare alla nostra memoria le responsabilità dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Vediamo immagini degli effetti della guerra e della povertà, ci viene ricordato il dovere di impegnarci per un mondo migliore e proviamo gioia per la genuina molteplicità ed esuberanza della cultura umana, manifestata in questa vasta gamma di popoli e nazioni raccolti sotto la protezione della Comunità Internazionale.
Nell’occasione della mia visita, desidero rendere omaggio al contributo incalcolabile dato dal personale amministrativo e dai tanti impiegati delle Nazione Unite, che svolgono i loro compiti ogni giorno con così grande dedizione e professionalità qui a New York, in altri centri dell’ONU e in missioni particolari in tutto il mondo. A voi e a chi vi ha preceduto vorrei esprimere il mio apprezzamento personale e quello di tutta la Chiesa Cattolica. Ricordiamo specialmente i tanti civili e custodi della pace che hanno sacrificato la loro vita sul campo per il bene dei popoli che servono quarantadue di loro soltanto nel 2007. Ricordiamo anche la grande moltitudine di quanti dedicano la loro vita a lavori mai sufficientemente riconosciuti, svolti non di rado in condizioni difficili. A tutti voi traduttori, segretari, personale amministrativo di ogni genere, squadre di manutenzione e di sicurezza, operatori per lo sviluppo, custodi della pace e tanti altri il mio più sincero ringraziamento. Il lavoro da voi svolto mette l’Organizzazione in grado di una continua ricerca di nuove vie per raggiungere gli scopi per i quali è stata fondata.
Delle Nazione Unite si parla spesso come della famiglia delle nazioni. Ugualmente, si potrebbe descrivere la sede centrale qui a New York come un focolare domestico, un luogo di benvenuto e di sollecitudine per il bene dei membri della famiglia dappertutto. È un luogo eccellente, in cui promuovere la crescita della comprensione reciproca e della collaborazione tra i popoli. Con buona ragione, lo staff delle Nazioni Unite viene scelto entro una vasta gamma di culture e nazionalità. Il personale qui costituisce un microcosmo del mondo intero, in cui ogni singola persona reca un contributo indispensabile dal punto di vista del suo particolare patrimonio culturale e religioso. Gli ideali che hanno ispirato i fondatori di questa istituzione devono esprimersi, qui e in ognuna delle missioni dell’Organizzazione, nel rispetto e nell’accettazione vicendevoli, che sono i contrassegni di una famiglia prosperosa.
Nei dibattiti interni delle Nazioni Unite viene data una crescente importanza alla responsabilità di proteggere. Di fatto, questa comincia ad essere riconosciuta come la base morale per il diritto di un governo ad esercitare l’autorità. È anche una caratteristica che per natura appartiene alla famiglia, dove i membri più forti si prendono cura di quelli più deboli. Questa Organizzazione, sorvegliando in quale misura i governi corrispondano alla loro responsabilità di proteggere i loro cittadini, esercita un servizio importante in nome della comunità internazionale. Al livello del giorno dopo giorno, siete voi che, mediante la considerazione che dimostrate gli uni per gli altri sul posto di lavoro e mediante la vostra sollecitudine per i molti popoli alle cui necessità e aspirazioni servite con tutto ciò che fate, ponete i fondamenti sui quali si costruisce questo lavoro.
La Chiesa Cattolica, per mezzo dell’attività internazionale della Santa Sede e mediante le innumerevoli iniziative di cattolici laici, Chiese locali e comunità religiose, vi garantisce il suo sostegno per il vostro lavoro. Vi assicuro uno speciale ricordo per voi e per i vostri familiari nelle mie preghiere. Voglia Dio onnipotente benedirvi sempre e confortarvi con la sua grazia e la sua pace, affinché, mediante l’attenzione che offrite all’intera famiglia umana, possiate continuare a servire a Lui.
Grazie.
La mattina del 19 aprile Benedetto XVI ha celebrato la Messa, nel terzo anniversario della elezione a Sommo Pontefice, con i sacerdoti, i religiosi e le religiose nella Cattedrale di New York, dedicata a St. Patrick, Al Suo arrivo il Papa è stato accolto dall’Arcivescovo di New York, card. Edward M. Egan; dal Rettore della Cattedrale, mons. Robert T. Ritchie e dal Sindaco della città, Michael Bloomberg. Nel corso della Celebrazione, introdotta dal saluto dell’Arcivescovo di New York, il Papa ha pronunciato in inglese questa omelia:
Cari fratelli e sorelle in Cristo,
con grande affetto nel Signore saluto tutti voi che rappresentate i Vescovi, i sacerdoti e i diaconi, gli uomini e le donne di vita consacrata e i seminaristi degli Stati Uniti. Ringrazio il Cardinale Egan per il cordiale benvenuto e per gli auguri che ha espresso in vostro nome per questo inizio del quarto anno del mio Pontificato. Sono lieto di celebrare questa Messa con voi che siete stati scelti dal Signore, che avete risposto alla sua chiamata e che dedicate la vostra vita alla ricerca della santità, alla diffusione del Vangelo e all’edificazione della Chiesa nella fede, nella speranza e nell’amore.
Raccolti in questa cattedrale storica, come non pensare agli innumerevoli uomini e donne che ci hanno preceduti, che hanno lavorato per la crescita della Chiesa negli Stati Uniti, lasciandoci un patrimonio durevole di fede e di buone opere? Nella prima lettura di oggi abbiamo visto come gli Apostoli, nella forza dello Spirito Santo, uscirono dalla sala al piano superiore per annunziare le grandi opere di Dio a persone di ogni nazione e lingua. In questo Paese la missione della Chiesa ha sempre comportato un attrarre la gente di ogni nazione che è sotto il cielo (At 2,5) entro un’unità spirituale arricchendo il Corpo di Cristo con la molteplicità dei loro doni. Mentre ringraziamo per queste preziose benedizioni del passato e consideriamo le sfide del futuro, vogliamo implorare da Dio la grazia di una nuova Pentecoste per la Chiesa in America. Possano discendere su tutti i presenti lingue come di fuoco, fondendo l’amore ardente per Dio e il prossimo con lo zelo per la propagazione del Regno di Dio!
Nella seconda lettura di questa mattina, san Paolo ci ricorda che l’unità spirituale quell’unità che riconcilia ed arricchisce la diversità ha la sua origine e il suo modello supremo nella vita del Dio uno e trino. Come comunione di amore puro e libertà infinita, la Santissima Trinità fa nascere incessantemente vita nuova nell’opera di creazione e redenzione. La Chiesa come popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (cfr Lumen gentium, 4) è chiamata a proclamare il dono della vita, a proteggere la vita e a promuovere una cultura della vita. Qui, in questa cattedrale, il nostro pensiero va naturalmente alla testimonianza eroica per il Vangelo della vita offerta dai defunti Cardinali Cooke ed O’Connor. La proclamazione della vita, della vita in abbondanza, deve essere il cuore della nuova evangelizzazione. Poiché la vera vita la nostra salvezza può essere trovata solo nella riconciliazione, nella libertà e nell’amore che sono doni gratuiti di Dio.
È questo il messaggio di speranza che siamo chiamati ad annunziare e ad incarnare in un mondo in cui egocentrismo, avidità, violenza e cinismo così spesso sembrano soffocare la fragile crescita della grazia nel cuore della gente. Sant’Ireneo con grande penetrazione ha capito che l’esortazione di Mosè al popolo d’Israele: Scegli la vita! (Dt 30,19) era la ragione più profonda per la nostra obbedienza a tutti i comandamenti di Dio (cfr Adv. Haer. IV, 16, 2-5). Forse abbiamo perso di vista che in una società in cui la Chiesa a molti sembra essere legalista ed istituzionale, la nostra sfida più urgente è di comunicare la gioia che nasce dalla fede e l’esperienza dell’amore di Dio.
Sono particolarmente lieto che ci siamo radunati nella cattedrale di san Patrizio. Forse più di ogni altra chiesa negli Stati Uniti, questo luogo è conosciuto ed amato come una casa di preghiera per tutti i popoli (cfr Is 56,7; Mc 11,17). Ogni giorno migliaia di uomini, donne e bambini entrano per le sue porte e trovano la pace dentro le sue mura. L’Arcivescovo John Hughes che come ci ha ricordato il Cardinale Egan è stato il promotore della costruzione di questo venerabile edificio, volle erigerlo in puro stile gotico. Voleva che questa cattedrale ricordasse alla giovane Chiesa in America la grande tradizione spirituale di cui era erede, e che la ispirasse a portare il meglio di tale patrimonio nella edificazione del Corpo di Cristo in questo Paese. Vorrei richiamare la vostra attenzione su alcuni aspetti di questa bellissima struttura, che mi sembra possa servire come punto di partenza per una riflessione sulle nostre vocazioni particolari all’interno dell’unità del Corpo mistico.
Il primo aspetto riguarda le finestre con vetrate istoriate che inondano l’ambiente interno di una luce mistica. Viste da fuori, tali finestre appaiono scure, pesanti, addirittura tetre. Ma quando si entra nella chiesa, esse all’improvviso prendono vita; riflettendo la luce che le attraversa rivelano tutto il loro splendore. Molti scrittori qui in America possiamo pensare a Nathaniel Hawthorne hanno usato l’immagine dei vetri istoriati per illustrare il mistero della Chiesa stessa. È solo dal di dentro, dall’esperienza di fede e di vita ecclesiale che vediamo la Chiesa così come è veramente: inondata di grazia, splendente di bellezza, adorna dei molteplici doni dello Spirito. Ne consegue che noi, che viviamo la vita di grazia nella comunione della Chiesa, siamo chiamati ad attrarre dentro questo mistero di luce tutta la gente.
Non è un compito facile in un mondo che può essere incline a guardare la Chiesa, come quelle finestre istoriate, dal di fuori: un mondo che sente profondamente un bisogno di spiritualità, ma trova difficile entrare nel mistero della Chiesa. Anche per qualcuno di noi all’interno, la luce della fede può essere attenuata dalla routine e lo splendore della Chiesa essere offuscato dai peccati e dalle debolezze dei suoi membri. L’offuscamento può derivare anche dagli ostacoli incontrati in una società che a volte sembra aver dimenticato Dio ed irritarsi di fronte alle richieste più elementari della morale cristiana. Voi che avete consacrato la vostra vita a rendere testimonianza all’amore di Cristo e all’edificazione del suo Corpo sapete dal vostro contatto quotidiano con il mondo intorno a noi, quanto a volte si sia tentati di cedere alla frustrazione, alla delusione e addirittura al pessimismo circa il futuro. Con una parola: non è sempre facile vedere la luce dello Spirito intorno a noi, lo splendore del Signore risorto che illumina la nostra vita ed infonde nuova speranza nella sua vittoria sul mondo (cfr Gv 16,33).
La parola di Dio, tuttavia, ci ricorda che nella fede noi vediamo i cieli aperti e la grazia dello Spirito Santo illuminare la Chiesa e portare una speranza sicura al nostro mondo. Signore, mio Dio, canta il salmista, se mandi il tuo Spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra (Sal 104,30). Queste parole evocano la prima creazione, quando lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque (Gn 1,2). Ed esse spingono il nostro sguardo avanti verso la nuova creazione, a Pentecoste, quando lo Spirito Santo discese sugli Apostoli ed instaurò la Chiesa come primizia dell’umanità redenta (cfr Gv 20,22-23). Queste parole ci esortano ad una fede sempre più profonda nella potenza infinita di Dio di trasformare ogni situazione umana, di creare vita dalla morte e di rischiarare anche la notte più buia. E ci fanno pensare ad un’altra bellissima frase di sant’Ireneo: Dov’è la Chiesa, lì è lo Spirito di Dio; dov’è lo Spirito di Dio, lì è la Chiesa e ogni grazia (Adv. Haer. III, 24,1).
Ciò mi conduce ad un’altra riflessione sull’architettura di questa chiesa. Come tutte le cattedrali gotiche, essa è una struttura molto complessa, le cui proporzioni precise ed armoniose simboleggiano l’unità della creazione di Dio. Gli artisti medievali spesso rappresentavano Cristo, la Parola creatrice di Dio, come un geometra celeste, col compasso in mano, che ordina il cosmo con infinita sapienza e determinazione. Una simile immagine non ci fa forse venire in mente il nostro bisogno di vedere tutte le cose con gli occhi della fede, per poterle in questo modo comprendere nella loro prospettiva più vera, nell’unità del piano eterno di Dio? Ciò richiede, come sappiamo, una continua conversione e l’impegno di rinnovarci nello spirito della nostra mente (cfr Ef 4,23), per acquistare una mentalità nuova e spirituale. Esige anche lo sviluppo di quelle virtù che mettono ciascuno di noi in grado di crescere in santità e di portare frutti spirituali nel proprio stato di vita. Non è forse questa costante conversione intellettuale altrettanto necessaria quanto la conversione morale per la nostra crescita nella fede, per il nostro discernimento dei segni dei tempi e per il nostro contributo personale alla vita e la missione della Chiesa?
Una delle grandi delusioni che seguirono il Concilio Vaticano II, con la sua esortazione ad un più grande impegno nella missione della Chiesa per il mondo, penso, sia stata per tutti noi l’esperienza di divisione tra gruppi diversi, generazioni diverse e membri diversi della stessa famiglia religiosa. Possiamo andare avanti solo se insieme fissiamo il nostro sguardo su Cristo! Nella luce della fede scopriremo allora la sapienza e la forza necessarie per aprirci verso punti di vista che eventualmente non coincidono del tutto con le nostre idee o i nostri presupposti. Così possiamo valutare i punti di vista di altri, siano essi più giovani o più anziani di noi, e infine ascoltare ciò che lo Spirito dice a noi ed alla Chiesa (cfr Ap 2, 7). In questo modo ci muoveremo insieme verso quel vero rinnovamento spirituale che voleva il Concilio, un rinnovamento che, solo, può rinforzare la Chiesa nella santità e nell’unità indispensabili per la proclamazione efficace del Vangelo nel mondo di oggi.
Non è forse stata questa unità di visione e d’intenti radicata nella fede e nello spirito di continua conversione e personale sacrificio il segreto della crescita sorprendente della Chiesa in questo Paese? Basti pensare all’opera straordinaria di quel sacerdote americano esemplare, il venerabile Michael McGivney, la cui visione e zelo conducevano alla fondazione dei Knights of Columbus, o all’eredità spirituale di generazioni di religiose, religiosi e sacerdoti che silenziosamente hanno dedicato la loro vita al servizio del popolo di Dio in innumerevoli scuole, ospedali e parrocchie.
Qui, nel contesto del nostro bisogno di una prospettiva fondata sulla fede e di unità e collaborazione nel lavoro dell’edificazione della Chiesa, vorrei dire una parola circa l’abuso sessuale che ha causato tanta sofferenza. Ho già avuto modo di parlare di questo e del conseguente danno per la comunità dei fedeli. Qui desidero semplicemente assicurare a voi, cari sacerdoti e religiosi, la mia vicinanza spirituale, mentre cercate di rispondere con speranza cristiana alle continue sfide presentate da questa situazione. Mi unisco a voi pregando affinché questo sia un tempo di purificazione per ciascuno e per ogni singola Chiesa e comunità religiosa, sia un tempo di guarigione. Inoltre vi incoraggio a cooperare con i vostri Vescovi, che continuano a lavorare efficacemente per risolvere questo problema. Che il Signore Gesù Cristo conceda alla Chiesa in America un rinnovato senso di unità e di decisione, mentre tutti Vescovi, clero, religiosi, religiose e laici camminano nella speranza e nell’amore vicendevole e per la verità.
Cari amici, queste considerazioni mi conducono ad un’ultima osservazione riguardo a questa grande cattedrale in cui ci troviamo. L’unità di una cattedrale gotica, lo sappiamo, non è l’unità statica di un tempio classico, ma un’unità nata dalla tensione dinamica di forze diverse che spingono l’architettura in alto, orientandola verso il cielo. Anche qui possiamo vedere un simbolo dell’unità della Chiesa che è unità come san Paolo ci ha detto di un corpo vivo composto da molte membra diverse, ognuno con il proprio ruolo e la propria determinazione. Anche qui vediamo la necessità di riconoscere e rispettare i doni di ogni singolo membro del corpo come manifestazioni dello Spirito per l’utilità comune (1 Cor 12,7). Certo, nella struttura della Chiesa voluta da Dio occorre distinguere tra i doni gerarchici e quelli carismatici (cfr Lumen gentium, 4). Ma proprio la varietà e la ricchezza delle grazie concesse dallo Spirito ci invitano costantemente a discernere come questi doni debbano essere inseriti in modo giusto nel servizio della missione della Chiesa. Voi, cari sacerdoti, mediante l’ordinazione sacramentale siete stati conformati a Cristo, Capo del Corpo. Voi, cari diaconi, siete stati ordinati per il servizio di questo Corpo. Voi, cari religiosi e religiose, sia contemplativi che dediti all’apostolato, avete consacrato la vostra vita alla sequela del Maestro divino nell’amore generoso e nella piena fedeltà al suo Vangelo. Tutti voi che oggi riempite questa cattedrale, così come i vostri fratelli e sorelle anziani, malati o in pensione che uniscono le loro preghiere e i loro sacrifici al vostro lavoro, siete chiamati ad essere forze di unità all’interno del Corpo di Cristo. Mediante la vostra testimonianza personale e la vostra fedeltà al ministero o all’apostolato a voi affidato preparate la via allo Spirito. Poiché lo Spirito non cessa mai di effondere i suoi doni abbondanti, suscitare nuove vocazioni e nuove missioni e di guidare la Chiesa come il Signore ha promesso nel brano evangelico di stamattina alla verità tutta intera (cfr Gv 16, 13).
Volgiamo dunque il nostro sguardo in alto! E con grande umiltà e fiducia chiediamo allo Spirito di metterci in grado ogni giorno di crescere nella santità che ci renderà pietre vive nel tempio che Egli sta innalzando proprio adesso in mezzo al mondo. Se dobbiamo essere forze vere di unità, allora impegniamoci ad essere i primi a cercare una riconciliazione interiore mediante la penitenza! Perdoniamo i torti subiti e soffochiamo ogni sentimento di rabbia e di contesa! Impegniamoci ad essere i primi a dimostrare l’umiltà e la purità di cuore necessarie per avvicinarci allo splendore della verità di Dio! In fedeltà al deposito della fede affidato agli Apostoli (cfr 1 Tm 6,20), impegniamoci ad essere gioiosi testimoni della forza trasformatrice del Vangelo!
Cari fratelli e sorelle, in conformità con le tradizioni più nobili della Chiesa in questo Paese, siate anche i primi amici del povero, del profugo, dello straniero, del malato e di tutti i sofferenti! Agite come fari di speranza, irradiando la luce di Cristo nel mondo ed incoraggiando i giovani a scoprire la bellezza di una vita donata completamente al Signore e alla sua Chiesa! Rivolgo questo appello in modo speciale ai tanti seminaristi e giovani religiose e religiosi qui presenti. Ciascuno di voi ha un posto particolare nel mio cuore. Non dimenticate mai che siete chiamati a portare avanti, con tutto l’entusiasmo e la gioia che vi dona lo Spirito, un’opera che altri hanno cominciato, un patrimonio che un giorno anche voi dovrete passare ad una nuova generazione. Lavorate con generosità e gioia, perché Colui che servite è il Signore!
Parole improvvisate dal Santo Padre al termine della Santa Messa:
In questo momento posso solo ringraziarvi per il vostro amore alla Chiesa e a Nostro Signore; ringraziarvi perché donate il vostro amore anche al povero Successore di San Pietro. Cercherò di fare tutto il possibile per essere un degno successore del grande Apostolo, il quale pure era un uomo con i suoi difetti e i suoi peccati, ma che rimane alla fine la roccia per la Chiesa. E così anch’io con tutta la mia spirituale povertà posso essere, per questo tempo, in virtù della grazia del Signore, il Successore di Pietro.
Sono anche le vostre preghiere e il vostro amore che mi danno la certezza che il Signore mi aiuterà in questo mio ministero. Sono quindi profondamente grato per il vostro amore, per le vostre preghiere. La mia risposta in questo momento, per tutto quello che mi avete donato nel corso di questa visita, è la benedizione che ora vi imparto, al termine di questa bella Celebrazione.
Sabato 19 aprile, nel pomeriggio, il Papa si è recato nel seminario di Saint Joseph, Yonkers, New York, dove ha incontrato nella cappella un gruppo di bambini diversamente abili. A loro ha rivolto in inglese questo saluto:
sono molto lieto di avere questa opportunità di fermarmi alcuni momenti con voi. Ringrazio il Cardinale per il suo saluto e soprattutto ringrazio i vostri rappresentanti per le loro gentili espressioni e per il dono del vostro elaborato. Sappiate che è per me una grande gioia stare con voi. Vi prego di porgere il mio saluto ai vostri genitori e familiari, ai vostri insegnanti ed assistenti.
Dio vi ha benedetto con il dono della vita e vi ha dato anche altri talenti e qualità. Attraverso questi doni voi potete servire in molti modi Dio e la società. Sebbene il contributo di alcuni possa apparire grande e quello di altri più modesto, il valore della testimonianza dei nostri sforzi costituisce sempre per tutti un segno di speranza.
A volte è arduo trovare una ragione per quanto appare soltanto come una difficoltà da superare o un dolore da affrontare. Nonostante ciò la fede ci aiuta a spalancare l’orizzonte al di là di noi stessi e vedere la vita come Dio la vede. L’amore incondizionato di Dio, che raggiunge ogni individuo, è un indicatore di significato e di scopo per ogni uomo. Attraverso la sua Croce, Gesù ci fa veramente entrare nel suo amore salvifico (cfr Gv 12,32) e così facendo ci mostra la direzione la via della speranza che ci trasfigura, in modo che a nostra volta diventiamo per gli altri portatori di speranza e di amore.
Cari amici, vi incoraggio a pregare tutti i giorni per il nostro mondo. Vi sono tante intenzioni e tanta gente per cui potete pregare, compresi coloro che devono ancora arrivare a conoscere Gesù. E vi chiedo di pregare anche per me. Come sapete, ho appena compiuto un altro anno. Il tempo vola.
Grazie ancora a tutti voi, compresi i Giovani Cantori della Cattedrale di San Patrizio e i membri del Coro dei Sordi dell’Arcidiocesi. In segno di vigore e di pace e con grande affetto nel Signore, imparto a voi e alle vostre famiglie, ai vostri insegnanti ed assistenti la mia Benedizione Apostolica.
Concluso l’incontro in Cappella con i diversamente abili’, il Papa ha raggiunto il campo sportivo retrostante il Seminario di St. Joseph, dove lo attendevano circa 20 mila giovani e oltre 300 seminaristi provenienti dalle diocesi della East Coast. Dopo il saluto dell’Arcivescovo di New York, Card. Edward Egan, tre rappresentanti dei giovani hanno offerto al Papa pane, riso e mais, come doni simbolici della ricchezza delle loro diverse tradizioni. Il Papa ha quindi pronunciato in inglese il discorso che riportiamo qui di seguito:.
proclamate il Cristo Signore, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi! (1 Pt 3, 15). Con queste parole della Prima Lettera di Pietro saluto ciascuno di voi con cordiale affetto. Ringrazio il Cardinale Egan per le sue gentili parole di benvenuto e ringrazio anche i rappresentati scelti tra di voi per i loro gesti gioiosa accoglienza. Al Vescovo Walsh, Rettore del Saint Joseph Seminary, al personale e ai seminaristi rivolgo i miei saluti particolari ed esprimo la mia gratitudine.
Giovani amici, sono molto lieto di aver l’occasione di parlare con voi. Portate, per favore, i miei cordiali saluti ai membri delle vostre famiglie e ai vostri parenti, come anche agli insegnanti e al personale delle varie Scuole, Collegi ed Università a cui appartenete. So che molti hanno lavorato intensamente per garantire la realizzazione di questo nostro incontro. A loro sono molto riconoscente. Desidero anche esprimere il mio apprezzamento per il vostro canto di Happy Birthday! Grazie per questo gesto commovente; do a tutti voi un A plus (= Trenta e lode) per la vostra pronuncia tedesca! Stasera vorrei condividere con voi qualche pensiero sull’essere discepoli di Gesù Cristo in cammino sulle orme del Signore, la nostra vita diventa un viaggio della speranza.
Avete davanti le immagini di sei uomini e donne che sono cresciuti per condurre delle vite straordinarie. La Chiesa li onora come Venerabili, Beati o Santi: ognuno ha risposto alla chiamata di Dio ad una vita di carità e ognuno Lo ha servito qui nei vicoli, nelle strade e nei sobborghi di New York. Sono colpito da quanto eterogeneo sia il loro gruppo: poveri e ricchi, uomini laici e donne laiche una era sposa e madre benestante sacerdoti e suore, immigranti da lontano, la figlia di un guerriero Mohawk e una madre Algonquin, un altro era schiavo haitiano, e uno un intellettuale cubano.
Santa Elisabetta Anna Seton, santa Francesca Saveria Cabrini, San Giovanni Neumann, la beata Kateri Tekakwitha, il venerabile Pierre Toussaint e il Padre Felix Varela: ognuno di noi potrebbe essere tra di loro, perché non c’è uno stereotipo per questo gruppo, nessun modello uniforme. Ma uno sguardo più ravvicinato rivela che ci sono elementi comuni. Infiammate dall’amore di Gesù, le loro vite diventarono straordinari tragitti di speranza. Per alcuni ciò significò lasciare la Patria ed imbarcarsi per un pellegrinaggio di migliaia di chilometri. Per ciascuno fu un atto di abbandono in Dio nella fiducia che Egli è la destinazione finale di ogni pellegrino. E tutti offrivano una mano tesa di speranza a quanti incontravano per via, non di rado destando in loro una vita di fede. Attraverso orfanotrofi, scuole ed ospedali, prendendosi cura dei poveri, dei malati e degli emarginati, e mediante la testimonianza convincente che deriva dal camminare umilmente sulle orme di Gesù, queste sei persone aprirono la via della fede, speranza e carità ad innumerevoli persone, compresi forse gli stessi loro antenati.
E oggi? Chi porta la testimonianza della Buona Novella di Gesù sulle strade di New York, nei sobborghi inquieti al margine delle grandi città, nei luoghi dove i giovani si radunano alla ricerca di qualcuno di cui fidarsi? Dio è la nostra origine e la nostra destinazione, e Gesù è la via. Il percorso di questo viaggio serpeggia come quello dei nostri santi attraverso le gioie e le prove della normale vita quotidiana: all’interno delle vostre famiglie, nella scuola o nel collegio, durante le vostre attività per il tempo libero e nelle vostre comunità parrocchiali. Tutti questi luoghi sono segnati dalla cultura in cui state crescendo. Come giovani americani vi si offrono molte possibilità per lo sviluppo personale e siete stati educati con un senso di generosità, di servizio e di fairness. Ma non avete bisogno che io vi dica che ci sono anche difficoltà: comportamenti e modi di pensare che soffocano la speranza, strade che sembrano condurre alla felicità e alla soddisfazione, ma che finiscono solo in confusione e angoscia.
I miei anni da teenager sono stati rovinati da un regime infausto che pensava di possedere tutte le risposte; il suo influsso crebbe penetrando nelle scuole e negli organismi civili come anche nella politica e addirittura nella religione prima di essere pienamente riconosciuto per quel mostro che era. Esso mise Dio al bando, e così diventò inaccessibile per tutto ciò che era vero e buono. Molti dei vostri genitori e nonni vi avranno raccontato l’orrore della distruzione che seguì. Alcuni di loro, infatti, vennero in America proprio per sfuggire a tale terrore.
Ringraziamo Dio, perché oggi molti della vostra generazione sono in grado di godere le libertà che sono emerse grazie alla diffusione della democrazia e del rispetto dei diritti umani. Ringraziamo Dio per tutti coloro che si battono per assicurare che voi possiate crescere in un ambiente che coltiva ciò che è bello, buono e vero: i vostri genitori e nonni, i vostri insegnanti e sacerdoti, quelle autorità civili che cercano ciò che è retto e giusto.
Il potere distruttivo, tuttavia, rimane. Sostenere il contrario significherebbe ingannare se stessi. Ma esso non trionferà mai; è stato sconfitto. È questa l’essenza della speranza che ci distingue come cristiani; la Chiesa lo ricorda in modo molto drammatico durante il Triduo Pasquale e lo celebra con grande gioia nel Tempo Pasquale! Colui che ci indica la via oltre la morte è Colui che ci indica come superare distruzione e angoscia: è quindi Gesù il vero maestro di vita (cfr Spe salvi, 6). La sua morte e risurrezione significa che possiamo dire al Padre celeste: Tu hai rinnovato il mondo (Venerdì Santo, Preghiera dopo la comunione). E così, appena qualche settimana fa, durante la bellissima liturgia della Veglia Pasquale non era per disperazione o angoscia, ma con una fiducia piena di speranza, che abbiamo gridato a Dio in favore del nostro mondo: Disperdi le tenebre del nostro cuore! Disperdi le tenebre del nostro spirito! (cfr Preghiera durante l’accensione del cero pasquale).
Che cosa possono essere queste tenebre? Cosa succede quando le persone, soprattutto le più vulnerabili, incontrano il pugno chiuso della repressione o della manipolazione invece della mano tesa della speranza? Il primo gruppo di esempi appartiene al cuore. Qui, i sogni e desideri che i giovani perseguono possono essere così facilmente frantumati e distrutti. Penso a quanti sono colpiti dall’abuso della droga e degli stupefacenti, dalla mancanza di una casa e dalla povertà, dal razzismo, dalla violenza e dalla degradazione particolarmente ragazze e donne. Mentre le cause di tali situazioni problematiche sono complesse, tutte hanno in comune un atteggiamento mentale avvelenato che si manifesta nel trattare le persone come meri oggetti si afferma così un’insensibilità di cuore che prima ignora e poi deride la dignità data da Dio ad ogni persona umana. Simili tragedie mostrano anche che cosa avrebbe potuto essere e che cosa potrebbe essere ora, se lì altre mani le vostre mani si fossero tese o si tendessero verso di loro. Vi incoraggio ad invitare altri, soprattutto i vulnerabili e gli innocenti, ad associarsi a voi nel cammino della bontà e della speranza.
La seconda zona di tenebre quelle che colpiscono lo spirito rimane spesso non avvertita, e per questa ragione è particolarmente funesta. La manipolazione della verità distorce la nostra percezione della realtà ed intorbida la nostra immaginazione e le nostre aspirazioni. Ho già menzionato le tante libertà di cui voi per vostra fortuna potete godere. L’importanza fondamentale della libertà deve essere rigorosamente salvaguardata. Non è quindi sorprendente che numerosi individui e gruppi rivendichino ad alta voce in pubblico la loro libertà. Ma la libertà è un valore delicato. Può essere fraintesa o usata male così da non condurre alla felicità che tutti da essa ci aspettiamo, ma verso uno scenario buio di manipolazione, nel quale la nostra comprensione di noi stessi e del mondo si fa confusa o viene addirittura distorta da quanti hanno un loro progetto nascosto.
Avete notato quanto spesso la rivendicazione della libertà viene fatta, senza mai fare riferimento alla verità della persona umana? C’è chi oggi asserisce che il rispetto della libertà del singolo renda ingiusto cercare la verità, compresa la verità su che cosa sia bene. In alcuni ambienti il parlare di verità viene considerato fonte di discussioni o di divisioni e quindi da riservarsi piuttosto alla sfera privata. E al posto della verità o meglio, della sua assenza si è diffusa l’idea che, dando valore indiscriminatamente a tutto, si assicura la libertà e si libera la coscienza. È ciò che chiamiamo relativismo. Ma che scopo ha una libertà che, ignorando la verità, insegue ciò che è falso o ingiusto? A quanti giovani è stata offerta una mano che, nel nome della libertà o dell’esperienza, li ha guidati all’assuefazione agli stupefacenti, alla confusione morale o intellettuale, alla violenza, alla perdita del rispetto per se stessi, anzi alla disperazione e così, tragicamente, al suicidio? Cari amici, la verità non è un’imposizione. Né è semplicemente un insieme di regole. È la scoperta di Uno che non ci tradisce mai; di Uno del quale possiamo sempre fidarci. Nel cercare la verità arriviamo a vivere in base alla fede perché, in definitiva, la verità è una persona: Gesù Cristo. È questa la ragione per cui l’autentica libertà non è una scelta di disimpegno da. È una scelta di impegno per; niente di meno che uscire da se stessi e permettere di venire coinvolti nell’ essere per gli altri di Cristo (cfr Spe salvi, 28).
Come possiamo allora da credenti aiutare gli altri a camminare sulla via della libertà che porta al pieno appagamento e alla felicità duratura? Ritorniamo ancora ai santi. In che modo la loro testimonianza ha veramente liberato altri dalle tenebre del cuore e dello spirito? La risposta si trova nel nocciolo della loro fede della nostra fede. L’incarnazione, la nascita di Gesù ci dice che Dio, di fatto, cerca un posto fra noi. È pieno l’albergo, ma ciononostante Egli entra per la stalla, e ci sono delle persone che vedono la sua luce. Riconoscono per quello che è il mondo buio e chiuso di Erode e seguono invece il brillare della stella che li guida nel cielo notturno. E che cosa irradia? A questo punto potete ricordarvi della preghiera pronunciata nella santissima notte di Pasqua: O Padre, che per mezzo del tuo Figlio, luce del mondo, ci hai comunicato la luce della tua gloria, accendi in noi la fiamma viva della tua speranza! (cfr Benedizione del fuoco). E così, in una processione solenne con le nostre candele accese, ci siamo passati l’un l’altro la luce di Cristo. È la luce che sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti, dissipa l’odio, ci porta la pace e umilia la superbia del mondo (Exsultet). È questa la luce di Cristo all’opera. È questa la via dei santi. È la magnifica visione della speranza la luce di Cristo vi invita ad essere stelle-guida per gli altri, camminando sulla via di Cristo che è via di perdono, di riconciliazione, di umiltà, di gioia e di pace.
A volte, però, siamo tentati di chiuderci in noi stessi, di dubitare della forza dello splendore di Cristo, di limitare l’orizzonte della speranza. Prendete coraggio! Fissate lo sguardo sui nostri santi! La diversità delle loro esperienze della presenza di Dio ci suggerisce di scoprire nuovamente la larghezza e la profondità del cristianesimo. Lasciate che la vostra fantasia spazi liberamente lungo l’espansione illimitata degli orizzonti del discepolato cristiano. A volte siamo considerati persone che parlano soltanto di proibizioni. Niente potrebbe essere più lontano dalla verità! Un autentico discepolato cristiano è caratterizzato dal senso dello stupore. Stiamo davanti a quel Dio che conosciamo e amiamo come un amico, davanti alla vastità della sua creazione e alla bellezza della nostra fede cristiana.
Cari amici, l’esempio dei santi ci invita, poi, a considerare quattro aspetti essenziali del tesoro della nostra fede: preghiera personale e silenzio, preghiera liturgica, carità praticata e vocazioni.
La cosa più importante è che sviluppiate un rapporto personale con Dio. Questo rapporto si esprime nella preghiera. Dio, in virtù della propria natura, parla, ascolta e risponde. San Paolo, infatti, ci ricorda che possiamo e dobbiamo pregare incessantemente (cfr 1 Ts 5, 17). Lungi dal piegarci su noi stessi o dal sottrarci dagli alti e bassi della vita, per mezzo della preghiera ci volgiamo a Dio e, attraverso di Lui, ci volgiamo gli uni agli altri, includendo gli emarginati e quanti seguono vie diverse da quelle di Dio (cfr Spe salvi, 33). Come i santi ci insegnano in modo così vivace, la preghiera diventa speranza in atto. Cristo era il loro compagno costante, col quale conversavano ad ogni passo del loro cammino a servizio degli altri.
C’è un altro aspetto della preghiera che dobbiamo ricordare: la contemplazione nel silenzio. San Giovanni, ad esempio, ci dice che per cogliere la rivelazione di Dio bisogna prima ascoltare e poi rispondere annunciando ciò che abbiamo udito e visto (cfr 1 Gv 1, 2-3; Cost. Dei Verbum, 1). Abbiamo forse perso qualcosa dell’arte dell’ascoltare? Lasciate qualche spazio per sentire il sussurrio di Dio che vi chiama a procedere verso la bontà? Amici, non abbiate paura del silenzio e della quiete, ascoltate Dio, adoratelo nell’Eucaristia! Lasciate che la sua parola plasmi il vostro cammino come sviluppo della santità.
Nella liturgia troviamo l’intera Chiesa in preghiera. La parola liturgia significa la partecipazione del Popolo di Dio all’opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo che è la Chiesa (Sacrosanctum Concilium, 7). In che cosa consiste questa opera? Prima di tutto si riferisce alla Passione di Cristo, alla sua morte e risurrezione e alla sua ascensione ciò che chiamiamo Mistero pasquale. Si riferisce anche alla celebrazione stessa della liturgia. I due significati, infatti, sono inseparabilmente connessi, perché questa opera di Gesù è il vero contenuto della liturgia. Mediante la liturgia, l’opera di Gesù viene continuamente messa in contatto con la storia; con la nostra vita, per plasmarla. Qui captiamo un’ulteriore idea della grandezza della nostra fede cristiana. Ogni volta che vi radunate per la Santa Messa, quando andate a confessarvi, ogni volta che celebrate uno dei Sacramenti, Gesù è all’opera. Attraverso lo Spirito Santo vi attira verso di sé, dentro il suo amore sacrificale per il Padre, che diventa amore per tutti. Vediamo così che la liturgia della Chiesa è un ministero di speranza per l’umanità. La vostra partecipazione piena di fede è una speranza attiva che aiuta a tenere il mondo santi come peccatori aperto a Dio; è questa la vera speranza umana che noi offriamo a ciascuno (cfr Spe salvi, 34).
La vostra preghiera personale, i vostri tempi di contemplazione silenziosa e la vostra partecipazione alla liturgia della Chiesa vi porta più vicini a Dio e vi prepara pure a servire gli altri. I santi che ci accompagnano stasera ci mostrano che la vita di fede e di speranza è anche una vita di carità. Contemplando Gesù sulla croce, vediamo l’amore nella sua forma più radicale. Possiamo cominciare ad immaginare la via dell’amore sulla quale dobbiamo muoverci (cfr Deus caritas est, 12). Le occasioni per fare questo cammino sono abbondanti. Guardatevi attorno con gli occhi di Cristo, ascoltate con i suoi orecchi, intuite e pensate col suo cuore e il suo spirito. Siete pronti a dare tutto per la verità e la giustizia, come fece Lui? Molti degli esempi di sofferenza ai quali i nostri santi hanno risposto con compassione, si trovano tuttora qui in questa città e dintorni. E sono emerse nuove ingiustizie: alcune sono complesse e derivano dallo sfruttamento del cuore e dalla manipolazione dello spirito; anche il nostro comune ambiente di vita, la terra stessa, geme sotto il peso dell’avidità consumistica e lo sfruttamento irresponsabile. Dobbiamo ascoltare nel profondo. Dobbiamo rispondere con un’azione sociale rinnovata che nasca dall’amore universale che non conosce limiti. In questo modo siamo sicuri che le nostre opere di misericordia e giustizia diventano speranza in atto per gli altri.
Cari giovani, alla fine vorrei dire ancora una parola sulle vocazioni. Prima di tutto, i miei pensieri vanno ai vostri genitori, nonni e padrini. Essi sono stati i vostri primi educatori nella fede. Presentandovi per il Battesimo, essi hanno dato a voi la possibilità di ricevere il dono più grande della vostra vita. In quel giorno siete entrati nella santità di Dio stesso. Siete diventati figlie e figli adottivi del Padre. Siete stati incorporati in Cristo. Siete stati resi una dimora del suo Spirito. Preghiamo per le mamme e i papà in tutto il mondo, specialmente per quanti stanno lottando in ogni modo socialmente, materialmente, spiritualmente. Onoriamo la vocazione del matrimonio e la dignità della vita familiare. Vogliamo sempre riconoscere che sono le famiglie il luogo dove nascono le vocazioni.
Radunati qui nel Saint Joseph Seminary, saluto i seminaristi presenti e, di fatto, incoraggio tutti i seminaristi ovunque in America. Sono lieto di sapere che il vostro numero sta aumentando! Il Popolo di Dio si aspetta da voi che sarete sacerdoti santi, in un cammino quotidiano di conversione, ispirando negli altri il desiderio di entrare più profondamente nella vita ecclesiale di credenti. Vi esorto ad approfondire la vostra amicizia con Gesù, il Buon Pastore. Parlate con Lui cuore a cuore. Rigettate ogni tentazione di ostentazione, carrierismo o vanità. Tendete verso uno stile di vita caratterizzato veramente da carità, castità e umiltà, nell’imitazione di Cristo, l’eterno Sommo Sacerdote, di cui dovete diventare immagine vivente (cfr Pastores dabo vobis, 33). Cari seminaristi, io prego per voi ogni giorno. Ricordatevi che ciò che conta davanti al Signore è dimorare nel suo amore e irradiare il suo amore per gli altri.
Sorelle, fratelli e sacerdoti delle Congregazioni religiose contribuiscono largamente alla missione della Chiesa. La loro testimonianza profetica è caratterizzata da una profonda convinzione del primato con cui il Vangelo plasma la vita cristiana e trasforma la società. Oggi vorrei richiamare la vostra attenzione sul positivo rinnovamento spirituale che le Congregazioni stanno intraprendendo in relazione al loro carisma. La parola carisma significa un dono dato liberamente e gratuitamente. I carismi sono concessi dallo Spirito Santo che ispira fondatori e fondatrici e forma le Congregazioni con un conseguente patrimonio spirituale. La meravigliosa serie di carismi propri a ogni Istituto Religioso è un tesoro spirituale straordinario. La storia della Chiesa, infatti, è forse illustrata nel modo più bello mediante la storia delle sue scuole di spiritualità, la maggior parte delle quali risalgono alle vite sante di fondatori e fondatrici. Sono sicuro che, mediante la scoperta dei carismi che producono una tale vastità di sapienza spirituale, alcuni di voi giovani saranno attirati ad una vita di servizio apostolico o contemplativo. Non siate troppo timidi per parlare con frati, suore o sacerdoti religiosi sul carisma e sulla spiritualità della loro Congregazione. Non esiste nessuna comunità perfetta, ma è il discernimento della fedeltà ad un carisma fondatore, non a qualche persona particolare, che il Signore chiede da voi. Abbiate coraggio! Anche voi potete fare della vostra vita un’autodonazione per l’amore del Signore Gesù e, in Lui, di ogni membro della famiglia umana (cfr Vita consecrata, 3).
Amici, vi domando di nuovo, cosa dire del momento presente? Che cosa state cercando? Che cosa Dio suggerisce a voi? La speranza che mai delude è Gesù Cristo. I santi ci mostrano l’amore disinteressato del suo cammino. Come discepoli di Cristo, i loro tragitti straordinari si svilupparono all’interno di quella comunità della speranza che è la Chiesa. È dall’interno della Chiesa che anche voi troverete il coraggio ed il sostegno per camminare sulla via del Signore. Nutriti dalla preghiera personale, preparati nel silenzio, plasmati dalla liturgia della Chiesa, scoprirete la vocazione particolare che il Signore riserva per voi. Abbracciatela con gioia. Oggi i discepoli di Cristo siete voi. Irradiate la sua luce su questa grande città e oltre. Mostrate al mondo la ragione della speranza che è in voi. Parlate con gli altri della verità che vi rende liberi. Con questi sentimenti di grande speranza in voi, vi saluto con un arrivederci nell’attesa di incontrarvi di nuovo a Sydney, nel luglio, per la Giornata Mondiale della Gioventù! E, come pegno del mio affetto per voi e per le vostre famiglie, vi imparto con gioia la Benedizione Apostolica.
La mattina di domenica 20 aprile Benedetto XVI si è recato a Ground Zero. Alle ore 9.30, accompagnato dal Card. Edward Egan, ha raggiunto il “Bed Rock” di Ground Zero, dove erano presenti il Sindaco di New York, Michael Bloomberg; il Governatore di New York, David A. Paterson; il Governatore di New Jersey, John Corzine e 24 persone in rappresentanza di coloro che prestarono soccorso (Vigili del Fuoco, Polizia, Protezione Civile), dei feriti e dei parenti delle vittime dell’attentato dell’11 settembre 2001. Prima dell’accensione di un cero e della benedizione, il Papa ha pronunciato in inglese questa preghiera:
Nel primo pomeriggio di domenica 20 aprile, Benedetto XVI ha raggiuntoo in auto lo “Yankee Stadium” di New York, dove è stato accolto dall’Arcivescovo, card. Edward Egan, dal Sindaco, Michael Bloomberg, e dai responsabili dello Stadio. Qui ha celebrato la Messa a cui partecipavano delegazioni provenienti da Boston, Louisville, New York e Philadelphia, che festeggiano i bicentenari delle rispettive diocesi e da Baltimore, che commemora i 200 anni dell’elevazione della diocesi a Sede Metropolitana. Nel corso della Celebrazione Eucaristica, introdotta dal saluto dell’Arcivescovo di New York, card. Edward Egan, il Papa ha pronunciato in inglese questa omelia:
Cari Fratelli e Sorelle in Cristo,
nel Vangelo che abbiamo or ora ascoltato, Gesù dice ai suoi Apostoli di riporre la loro fede in lui, poiché egli è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Cristo è la via che conduce al Padre, la verità che dà significato all’umana esistenza, e la sorgente di quella vita che è gioia eterna con tutti i Santi nel Regno dei cieli. Prendiamo il Signore in parola! Rinnoviamo la fede in lui e mettiamo ogni nostra speranza nelle sue promesse!
Con questo incoraggiamento a perseverare nella fede di Pietro (cfr Lc 22,32; Mt 16,17), vi saluto tutti con grande affetto. Ringrazio il Cardinale Egan per le cordiali parole di benvenuto pronunciate a vostro nome. In questa Messa la Chiesa che è negli Stati Uniti celebra il 200° anniversario della creazione delle sedi di New York, Boston, Filadelfia e Louisville dallo smembramento della sede madre di Baltimora. La presenza, attorno a questo altare, del Successore di Pietro, dei suoi confratelli Vescovi e sacerdoti, dei diaconi, dei consacrati e delle consacrate, come pure dei fedeli laici provenienti dai 50 Stati dell’Unione, manifesta in maniera eloquente la nostra comunione nella fede cattolica che ci è giunta dagli Apostoli.
La celebrazione odierna è anche un segno della crescita impressionante che Dio ha concesso alla Chiesa nel vostro Paese nei trascorsi duecento anni. Da piccolo gregge come quello descritto nella prima lettura, la Chiesa in America è stata edificata nella fedeltà ai due comandamenti dell’amore a Dio e dell’amore al prossimo. In questa terra di libertà e di opportunità, la Chiesa ha unito greggi molto diversi nella professione di fede e, attraverso le sue molte opere educative, caritative e sociali, ha contribuito in modo significativo anche alla crescita della società americana nel suo insieme.
Questo grande risultato non è stato senza sfide. La prima lettura odierna, dagli Atti degli Apostoli, parla di tensioni linguistiche e culturali presenti già all’interno della primitiva comunità ecclesiale. Nello stesso tempo, essa mostra la potenza della Parola di Dio, proclamata autorevolmente dagli Apostoli e ricevuta nella fede, per creare un’unità capace di trascendere le divisioni provenienti dai limiti e dalle debolezze umane. Ci viene qui ricordata una verità fondamentale: che l’unità della Chiesa non ha altro fondamento se non quello della Parola di Dio, divenuta carne in Cristo Gesù nostro Signore. Tutti i segni esterni di identità, tutte le strutture, associazioni o programmi, per quanto validi o addirittura essenziali possano essere, esistono in ultima analisi soltanto per sostenere e promuovere la più profonda unità la quale, in Cristo, è dono indefettibile di Dio alla sua Chiesa.
La prima lettura mostra, inoltre, come vediamo nell’imposizione delle mani sui primi diaconi, che l’unità della Chiesa è “apostolica”, cioè un’unità visibile fondata sugli Apostoli, che Cristo ha scelto e costituito come testimoni della sua risurrezione, ed è nata da ciò che la Scrittura chiama “l’obbedienza della fede” (Rm 1,5; At 6,7).
“Autorità” “obbedienza”. Ad essere franchi, queste non sono parole facili da pronunciare oggi. Parole come queste rappresentano una “pietra d’inciampo” per molti nostri contemporanei, specie in una società che giustamente dà grande valore alla libertà personale. Eppure, alla luce della nostra fede in Gesù Cristo “la vita, la verità e la vita” arriviamo a vedere il senso più pieno, il valore e addirittura la bellezza, di tali parole. Il Vangelo ci insegna che la vera libertà, la libertà dei figli di Dio, può essere trovata soltanto nella perdita di sé che è parte del mistero dell’amore. Solo perdendo noi stessi, il Signore ci dice, ritroviamo veramente noi stessi (cfr Lc 17,33). La vera libertà fiorisce quando ci allontaniamo dal giogo del peccato, che annebbia le nostre percezioni e indebolisce la nostra determinazione, e vede la fonte della nostra felicità definitiva in lui, che è amore infinito, libertà infinita, vita senza fine. “Nella sua volontà vi è la nostra pace”.
La vera libertà perciò è un dono gratuito di Dio, il frutto della conversione alla sua verità, quella verità che ci rende liberi (cfr Gv 8,32). E tale libertà nella verità porta nella sua scia un nuovo e liberante modo di guardare la realtà. Quando ci poniamo nel “pensiero di Cristo” (cfr Fil 2,5), ci si aprono nuovi orizzonti! Alla luce della fede, dentro la comunione della Chiesa, troviamo anche l’ispirazione e la forza per diventare lievito del Vangelo in questo mondo. Diveniamo luce del mondo, sale della terra (cfr Mt 5,13-14), a cui è affidato l'”apostolato” di conformare le nostre vite ed il mondo in cui viviamo sempre più pienamente al piano salvifico di Dio.
La visione magnifica di un mondo trasformato dalla verità liberante del Vangelo è riflessa nella descrizione della Chiesa che troviamo nella seconda lettura di oggi. L’Apostolo ci dice che Cristo, risorto dai morti, è la pietra d’angolo di un grande tempio che viene edificato ancor oggi nello Spirito. E noi, membra del suo corpo, mediante il Battesimo siamo diventati “pietre vive” di quel tempio, partecipando per grazia alla vita di Dio, benedetti con la libertà dei figli di Dio, e resi capaci di offrire sacrifici spirituali piacevoli a lui (cfr 1 Pt 2,5). Qual è questa offerta che siamo chiamati a fare, se non quella di rivolgere ogni pensiero, parola o atto alla verità del Vangelo e porre ogni nostra energia al servizio del Regno di Dio? Solo così possiamo costruire con Dio, sul fondamento che è Cristo (cfr 1 Cor 3,11). Solo così possiamo edificare qualcosa che sia realmente durevole. Solo così la nostra vita trova il significato ultimo e porta frutti duraturi.
Oggi ricordiamo i duecento anni di un lavacro nella storia della Chiesa negli Stati Uniti: il suo primo grande capitolo della crescita. In questi 200 anni il volto della comunità cattolica nel vostro Paese è grandemente cambiato. Pensiamo alle ondate successive di emigranti le cui tradizioni hanno così grandemente arricchito la Chiesa in America. Pensiamo alla fede forte che ha edificato la rete di chiese, di istituzioni educative, di salute e sociali che da lungo tempo sono il marchio distintivo della Chiesa in questa terra. Pensiamo anche a quegli innumerevoli padri e a quelle madri che hanno trasmesso la fede ai figli, il ministero quotidiano dei molti sacerdoti che hanno speso la propria vita nella cura delle anime, il contributo incalcolabile di così numerosi consacrati e consacrate, i quali non solo hanno insegnato ai bimbi a leggere e a scrivere, ma hanno anche ispirato in loro un desiderio di tutta la vita di conoscere Dio, di amarlo e di servirlo. Quanti “sacrifici spirituali graditi a Dio” sono stati offerti nei trascorsi due secoli! In questa terra di libertà religiosa i cattolici hanno trovato non soltanto la libertà di praticare la propria fede ma anche di partecipare pienamente alla vita civile, recando con sé le proprie convinzioni morali nella pubblica arena, cooperando con i vicini nel forgiare una vibrante società democratica. La celebrazione odierna è più che un’occasione di gratitudine per le grazie ricevute: è un richiamo a proseguire in avanti con ferma determinazione ad usare saggiamente delle benedizioni della libertà, per edificare un futuro di speranza per le generazioni future.
“Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquisito perché proclami le opere meravigliose di lui” (1 Pt 2,9). Queste parole dell’apostolo Pietro non ci ricordano soltanto la dignità che ci è propria per grazia di Dio, ma sono anche una sfida ad una fedeltà sempre più grande alla gloriosa eredità ricevuta in Cristo (cfr Ef 1,18). Ci sfidano ad esaminare le nostre coscienze, a purificare i nostri cuori, a rinnovare l’impegno battesimale a respingere satana e tutte le sue vuote promesse. Ci sfidano ad essere un popolo della gioia, araldi della speranza che non perisce (cfr Rm 5,5) nata dalla fede nella parola di Dio e dalla fiducia nelle sue promesse.
Ogni giorno in questa terra voi e molti dei vostri vicini pregano il Padre con le parole stesse del Signore: “Venga il tuo Regno”. Tale preghiera deve forgiare la mente ed il cuore di ogni cristiano in questa Nazione. Deve portar frutto nel modo in cui vivete la vostra esistenza e nella maniera nella quale costruite la vostra famiglia e la vostra comunità. Deve creare nuovi “luoghi di speranza” (cfr Spe salvi, 32 ss) in cui il Regno di Dio si fa presente in tutta la sua potenza salvifica.
Pregare con fervore per la venuta del Regno significa inoltre essere costantemente all’erta per i segni della sua presenza, operando per la sua crescita in ogni settore della società. Vuol dire affrontare le sfide del presente e del futuro fiduciosi nella vittoria di Cristo ed impegnandosi per l’avanzamento del suo Regno. Questo significa non perdere la fiducia di fronte a resistenze, avversità e scandali. Significa superare ogni separazione tra fede e vita, opponendosi ai falsi vangeli di libertà e di felicità. Vuol dire inoltre respingere la falsa dicotomia tra fede e vita politica, poiché come ha affermato il Concilio Vaticano II, “nessuna attività umana, neanche nelle cose temporali, può essere sottratta al dominio di Dio” (Lumen gentium, 36). Ciò vuol dire agire per arricchire la società e la cultura americane della bellezza e della verità del Vangelo, mai perdendo di vista quella grande speranza che dà significato e valore a tutte le altre speranze che ispirano la nostra vita.
Questa, cari amici, è la sfida che pone oggi a voi il Successore di Pietro. Quale “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa”, seguite con fedeltà le orme di quanti vi hanno preceduto! Affrettate la venuta del Regno di Dio in questa terra! Le passate generazioni vi hanno lasciato un’eredità straordinaria. Anche ai nostri giorni la comunità cattolica di questa Nazione è stata grande nella testimonianza profetica in difesa della vita, nell’educazione dei giovani, nella cura dei poveri, dei malati e dei forestieri tra voi. Su queste solide basi il futuro della Chiesa in America deve anche oggi iniziare a sorgere.
Ieri, non lontano da qui, sono stato colpito dalla gioia, dalla speranza e dall’amore generoso per Cristo che ho visto sul volto di tanti giovani riuniti a Dunwoodie. Essi sono il futuro della Chiesa e hanno diritto a tutte le preghiere e ad ogni sostegno che possiamo dar loro. Così desidero concludere aggiungendo una parola di incoraggiamento per loro. Cari giovani amici, come i sette uomini “ripieni di Spirito e di saggezza” ai quali gli Apostoli affidarono la cura della giovane Chiesa, possiate anche voi alzarvi e assumervi la responsabilità che la fede in Cristo vi pone innanzi! Possiate trovare il coraggio di proclamare Cristo “lo stesso ieri, oggi e sempre” e le immutabili verità che hanno fondamento in lui (cfr Gaudium et spes, 10; Eb 13,8): sono verità che ci rendono liberi! Si tratta delle sole verità che possono garantire il rispetto della dignità e dei diritti di ogni uomo, donna e bambino nel mondo, compresi i più indifesi tra gli esseri umani, i bimbi non ancora nati nel grembo materno. In un mondo in cui, come Papa Giovanni Paolo II parlando in questo stesso luogo ci ricordò, Lazzaro continua a bussare alla nostra porta (Omelia allo Yankee Stadium, 2 ottobre 1979, n. 7), fate in modo che la vostra fede e il vostro amore portino frutto nel soccorrere i poveri, i bisognosi e i senza voce. Giovani uomini e donne d’America, io insisto con voi: aprite i cuori alla chiamata di Dio a seguirlo nel sacerdozio e nella vita religiosa. Vi può essere un segno di amore più grande di questo: seguire le orme di Cristo, che si rese disponibile a dare la propria vita per i suoi amici (cfr Gv 15,13)?
Nel Vangelo odierno il Signore promette ai discepoli che faranno opere ancor più grandi delle sue (cfr Gv 14,12). Cari amici, soltanto Dio nella sua provvidenza sa che cosa la sua grazia deve ancora compiere nelle vostre vite e nella vita della Chiesa negli Stati Uniti. Nel frattempo, la promessa di Cristo ci riempie di sicura speranza. Uniamo perciò la nostra preghiera alla sua, quali pietre vive di quel tempio spirituale che è la sua Chiesa una, santa,cattolica e apostolica. Alziamo gli occhi a lui, poiché anche adesso sta preparando un posto per noi nella casa del Padre suo. E rafforzati dallo Spirito Santo, lavoriamo con rinnovato zelo per la diffusione del suo Regno.
“Beati quanti crederanno” (cfr 1 Pt 2,7). Rivolgiamoci a Gesù! Lui soltanto è la via che conduce all’eterna felicità, la verità che soddisfa i desideri più profondi di ogni cuore, e la vita che offre gioia e speranza sempre nuove a noi e al nostro mondo. Amen.
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Cari fratelli e sorelle nel Signore,
vi saluto con affetto e mi rallegro di celebrare questa Santa Messa per ringraziare Dio della ricorrenza bicentenaria del momento in cui la Chiesa Cattolica cominciò a svilupparsi in questa Nazione. Guardando al cammino di fede, non privo di difficoltà, percorso in questi anni, lodiamo il Signore per i frutti che la sua Parola ha prodotto in queste terre e gli manifestiamo il nostro desiderio che Cristo, Via Verità e Vita, sia sempre più conosciuto e amato.
Qui, in questo Paese di libertà, voglio proclamare con forza che la Parola di Cristo non elimina le nostre aspirazioni ad una vita piena e libera, ma ci rivela la nostra vera dignità di figli di Dio e ci incoraggia a lottare contro tutto ciò che ci schiavizza, a cominciare dal nostro egoismo e dalle nostre passioni. Al tempo stesso, ci anima a manifestare la nostra fede mediante la nostra vita di carità e a far sì che le nostre comunità ecclesiali siano ogni giorno più accoglienti e fraterne.
Soprattutto ai giovani affido il compito di far propria la grande sfida che comporta il credere in Cristo, e di impegnarsi perché tale fede si manifesti in una vicinanza effettiva ai poveri, come anche in una risposta generosa alle chiamate che Egli continua a proporre perché si lasci tutto e si inizi una vita di totale consacrazione a Dio e alla Chiesa, nello stato sacerdotale o religioso.
Cari fratelli e sorelle, vi invito a guardare al futuro con speranza, consentendo a Gesù di entrare nelle vostre vite. Solo Lui è la Via che conduce alla felicità che non finisce, la Verità che appaga le più nobili aspirazioni umane e la Vita colma di gioia per il bene della Chiesa e del mondo. Che Dio vi benedica!
Alle 20 di domenica 20 aprile, all’aeroporto John Fitzgerald Kennedy di New York, ha avuto luogo la Cerimonia di congedo alla presenza di Autorità politiche e civili, dei Cardinali statunitensi, del Presidente, del Vice-Presidente e del Segretario Generale della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli USA, del Vescovo di Brooklyn, del Vescovo di Rockville Center, dei Vescovi Ausiliari di New York e di 5000 fedeli della diocesi di Brooklyn, nella cui giurisdizione si trova l’aeroporto. Dopo il saluto del Vice Presidente degli Stati Uniti d’America, Richard B. Cheney, il Papa ha pronunciato in inglese questo discorso:
è giunto il momento di accomiatarmi dal vostro Paese. I giorni che ho trascorso negli Stati Uniti sono stati ricchi di molte e memorabili esperienze del senso di ospitalità degli Americani. Desidero esprimere a tutti voi la mia profonda gratitudine per la vostra gentile accoglienza. È stata per me una gioia essere testimone della fede e della devozione della comunità cattolica in questa Nazione. È stato incoraggiante incontrare i leaders e i rappresentanti delle altre comunità cristiane e delle altre religioni, e per questo vi rinnovo l’assicurazione della mia considerazione e della mia stima. Sono grato al Presidente Bush per essere venuto a salutarmi all’inizio della mia visita, e ringrazio il Vice Presidente Cheney per la sua presenza qui al momento della mia partenza. Le autorità civili, gli addetti e i volontari in Washington e in New York hanno generosamente sacrificato tempo ed energie per assicurare il tranquillo svolgimento della mia visita in ogni sua fase, e per questo esprimo il mio profondo ringraziamento al Sindaco di Washington Adrian Fenty e al Sindaco di New York Michael Bloomberg.
Rinnovo i miei auguri e la mia preghiera ai rappresentanti della Sede di Baltimora, la prima Arcidiocesi, e a quelle di New York, Boston, Philadelphia e Louisville, in questo anno giubilare. Possa il Signore continuare a colmarvi di benedizioni negli anni a venire. A tutti i miei fratelli nell’Episcopato, a Mons. DiMarzio, Vescovo di Brookling, agli officiali e al personale della Conferenza Episcopale che hanno contribuito in tanti modi alla preparazione di questa visita rinnovo la mia riconoscenza per il loro faticoso impegno e la loro dedizione . Con grande affetto saluto ancora una volta i sacerdoti e i religiosi, i diaconi, i seminaristi e i giovani, e tutti i fedeli degli Stati Uniti, e vi incoraggio a perseverare a rendere una gioiosa testimonianza a Cristo nostra speranza, nostro Signore e Salvatore Risorto, che rinnova tutte le cose e ci dona la vita in abbondanza.
Uno dei momenti più significativi della mia visita è stata l’opportunità di rivolgere la mia parola all’Assemblea delle Nazioni Unite. Ringrazio il Segretario Generale Ban Ki-moon per il suo gentile invito e la sua accoglienza. Volgendo lo sguardo ai sessant’anni trascorsi dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ringrazio per tutto ciò che l’Organizzazione è riuscita a compiere per difendere e promuovere i diritti fondamentali di ogni uomo, donna e bambino in ogni parte del mondo, ed incoraggio tutti gli uomini di buona volontà a continuare ad adoperarsi senza stancarsi per promuovere la giusta e pacifica coesistenza tra i popoli e le nazioni.
La visita che questa mattina ho compiuto a Ground Zero rimarrà profondamente impressa nella mia memoria, mentre continuerò a pregare per coloro che perirono e per tutti coloro che soffrono per le conseguenze della tragedia che vi ebbe luogo nel 2001. Prego per tutti negli Stati Uniti, e in verità in tutto il mondo, affinché il futuro porti maggiore fraternità e solidarietà, un’accresciuto reciproco rispetto e una rinnovata fiducia e confidenza il Dio, nostro Padre che è nei cieli.
Con queste espressioni di commiato vi chiedo di ricordarvi di me nelle vostre preghiere, mentre vi assicuro il mio affetto e la mia amicizia nel Signore. Dio benedica l’America!