Benedetto XVI

Benedetto XVI in Messico e a Cuba, i discorsi

La traduzione italiana dei discorsi ufficiali pronunciati da Benedetto XVI durante il suo viaggio apostolico in Messico e a Cuba (23-28 marzo 2012)

1. Incontro di Benedetto XVI con i giornalisti durante il volo verso il Messico (Volo Papale, 23 marzo 2012)

2. Cerimonia di benvenuto nell’Aeroporto Internazionale di Guanajuato (León, 23 marzo 2012)

3. Saluto ai bambini nella Plaza de la Paz di Guanajuato (León, 24 marzo 2012)

4. Santa Messa nel Parque del Bicentenario di León (25 marzo 2012)

5. Recita dell’Angelus Domini (León, 25 marzo 2012)

6. Celebrazione dei Vespri con i Vescovi del Messico e dell’America Latina nella Cattedrale della Madre Santissima della Luce (León, 25 marzo 2012)

7. Cerimonia di congedo nell’Aeroporto Internazionale di Guanajuato (26 marzo 2012)

8. Cerimonia di benvenuto nell’Aeroporto Internazionale Antonio Maceo di Santiago de Cuba (26 marzo 2012)

9. Santa Messa in occasione del 400° anniversario del ritrovamento della Virgen de la Caridad del Cobre (Piazza Antonio Maceo – Santiago de Cuba, 26 marzo 2012)

10. Visita al Santuario della Virgen de la Caridad del Cobre (Santiago de Cuba, 27 marzo 2012)

11. Santa Messa nella Plaza de la Revolución (La Habana, 28 marzo 2012)

12. Cerimonia di congedo nell’Aeroporto Internazionale José Martí (La Habana, 28 marzo 2012)

Incontro di Benedetto XVI con i giornalisti durante il volo verso il Messico (Volo Papale, 23 marzo 2012)

Padre Lombardi: Santità, grazie di essere in mezzo a noi, all’inizio di questo viaggio così bello e importante. Come vede, la nostra assemblea viaggiante è numerosa: ci sono più di 70 giornalisti che La seguono con attenzione, e il gruppo più importante – a parte gli italiani – sono, naturalmente, i messicani, che sono un bel gruppo: ce ne sono almeno 14; i rappresentanti delle televisioni messicane che seguiranno e copriranno tutto il viaggio. C’è anche un bel gruppo degli Stati Uniti, un bel gruppo della Francia, di altri Paesi. Ecco, quindi siamo un po’ rappresentanti di tutto il mondo. Come al solito, abbiamo raccolto, nei giorni scorsi, diverse domande da parte dei giornalisti e ne abbiamo scelte cinque, che sono espressione, un po’, dell’attesa generale. E questa volta, dato che abbiamo più spazio e un po’ più di tempo, non le pongono io, ma le pongono i giornalisti stessi che le hanno formulate o comunque che ci siamo distribuite tra noi per farle. Allora, cominciamo con una domanda che Le viene posta dalla signora Maria Collins per la televisione “Univision”, che è una delle televisioni che segue questo viaggio; è una signora messicana che ci farà la domanda in spagnolo e poi io la ripeterò in italiano per tutti.

1a Domanda: Santo Padre, il Messico e Cuba sono stati terre in cui i viaggi del suo Predecessore hanno fatto storia. Con quale animo e con quali speranze Lei si mette oggi sulle sue tracce?

Santo Padre: Cari amici, anzitutto vorrei dire: benvenuti e grazie per il vostro accompagnamento in questo viaggio, che speriamo sia benedetto dal Signore. Io, in questo viaggio, mi sento totalmente nella continuità con Papa Giovanni Paolo II. Mi ricordo benissimo del suo primo viaggio in Messico, che è stato realmente storico. In una situazione giuridica ancora molto confusa, ha aperto le porte, ha incominciato una nuova fase della collaborazione tra Chiesa, società e Stato. E mi ricordo bene anche del suo viaggio storico in Cuba. Quindi, cerco di andare nelle sue tracce e continuare quanto lui ha cominciato. Per me c’era, fin dall’inizio, un desiderio di visitare il Messico. Da cardinale sono stato in Messico, con ottimi ricordi, e ogni mercoledì sento l’applauso, la gioia dei messicani. Essere adesso da Papa, qui, per me è una grande gioia e risponde ad un desiderio che ho avuto da tanto tempo. Per dire quali sentimenti mi toccano, mi vengono in mente le parole del Vaticano II “gaudium et spes, luctus et angor”, gioia e speranza, ma anche lutto e angoscia. Condivido le gioie e le speranze, ma condivido anche il lutto e le difficoltà di questo grande Paese. Vado per incoraggiare e per imparare, per confortare nella fede, nella speranza e nella carità, e per confortare nell’impegno per il bene e nell’impegno per la lotta contro il male. Speriamo che il Signore ci aiuti!

P. Lombardi: Grazie, Santità. E ora diamo la parola al dott. Javier Alatorre Soria,che rappresenta Tele Azteca, una delle grandi televisioni messicane che ci seguiranno in questi giorni:

2a Domanda: Santità, il Messico è un Paese con risorse e possibilità meravigliose, ma in questi anni sappiamo che è anche terra di violenza per il problema del narcotraffico. Si parla di 50.000 morti negli ultimi cinque anni. Come affronta la Chiesa cattolica questa situazione? Lei avrà parole per i responsabili, e per i trafficanti che a volte si professano cattolici o addirittura benefattori della Chiesa?

Santo Padre: Noi conosciamo bene tutte le bellezze del Messico, ma anche questo grande problema del narcotraffico e della violenza. E’ certamente una grande responsabilità per la Chiesa cattolica in un Paese con l’80 per cento di cattolici. Dobbiamo fare il possibile contro questo male distruttivo dell’umanità e della nostra gioventù. Direi che il primo atto è annunciare Dio: Dio è il giudice, Dio che ci ama, ma ci ama per attirarci al bene, alla verità contro il male. Quindi, è grande responsabilità della Chiesa educare le coscienze, educare alla responsabilità morale e smascherare il male, smascherare questa idolatria del denaro, che schiavizza gli uomini solo per questa cosa; smascherare anche le false promesse, la menzogna, la truffa, che sta dietro la droga. Dobbiamo vedere che l’uomo ha bisogno dell’infinito. Se Dio non c’è, l’infinito si crea i suoi propri paradisi, un’apparenza di “infintitudini” che può essere solo una menzogna. Perciò è tanto importante che Dio sia presente, accessibile; è una grande responsabilità davanti al Dio giudice che ci guida, ci attira alla verità e al bene, e in questo senso la Chiesa deve smascherare il male, rendere presente la bontà di Dio, rendere presente la sua verità, il vero infinito del quale abbiamo sete. E’ il grande dovere della Chiesa. Facciamo tutti insieme il possibile, sempre più.

P. Lombardi: Santità, la terza domanda Le viene posta da Valentina Alazraki per Televisa, una delle veterane dei nostri viaggi che Lei ben conosce e che è così lieta che finalmente Lei possa andare anche nel suo Paese:

3a Domanda: Santità, noi Le diamo veramente il benvenuto in Messico: siamo tutti contenti che Lei vada in Messico. La domanda è la seguente: Santo Padre, dal Messico Lei ha detto di volersi rivolgere all’intera America Latina nel bicentenario dell’indipendenza. L’America Latina, nonostante lo sviluppo, continua ad essere una regione di contrasti sociali, dove si trovano i più ricchi accanto ai più poveri. A volte sembra che la Chiesa cattolica non sia sufficientemente incoraggiata ad impegnarsi in questo campo. Si può continuare a parlare di “teologia della liberazione” in un modo positivo, dopo che certi eccessi – sul marxismo o la violenza – sono stati corretti?

Santo Padre: Naturalmente la Chiesa deve sempre chiedere se si fa a sufficienza per la giustizia sociale in questo grande Continente. Questa è una questione di coscienza che dobbiamo sempre porci. Chiedere: che cosa può e deve fare la Chiesa, che cosa non può e non deve fare. La Chiesa non è un potere politico, non è un partito, ma è una realtà morale, un potere morale. In quanto la politica fondamentalmente dev’essere una realtà morale, la Chiesa, su questo binario, ha fondamentalmente a che fare con la politica. Ripeto quanto avevo già detto: il primo pensiero della Chiesa è educare le coscienze e così creare la responsabilità necessaria; educare le coscienze sia nell’etica individuale, sia nell’etica pubblica. E qui forse c’è una mancanza. Si vede, in America Latina ma anche altrove, presso non pochi cattolici, una certa schizofrenia tra morale individuale e pubblica: personalmente, nella sfera individuale, sono cattolici, credenti, ma nella vita pubblica seguono altre strade che non corrispondono ai grandi valori del Vangelo, che sono necessari per la fondazione di una società giusta. Quindi, bisogna educare a superare questa schizofrenia, educare non solo ad una morale individuale, ma ad una morale pubblica, e questo cerchiamo di farlo con la Dottrina Sociale della Chiesa, perché, naturalmente, questa morale pubblica dev’essere una morale ragionevole, condivisa e condivisibile anche da non credenti, una morale della ragione. Certo, noi nella luce della fede possiamo meglio vedere tante cose che anche la ragione può vedere, ma proprio la fede serve anche per liberare la ragione dagli interessi falsi e dagli oscuramenti degli interessi, e così creare nella dottrina sociale, i modelli sostanziali per una collaborazione politica, soprattutto per il superamento di questa divisione sociale, antisociale, che purtroppo esiste. Vogliamo lavorare in questo senso. Non so se la parola “teologia della liberazione”, che si può anche interpretare molto bene, ci aiuterebbe molto. Importante è la comune razionalità alla quale la Chiesa offre un contributo fondamentale e deve sempre aiutare nell’educazione delle coscienze, sia per la vita pubblica, sia per la vita privata.

P. Lombardi: Grazie Santità. E ora una quarta domanda. Questa la fa una delle nostre “decane” di questi viaggi, ma sempre giovane, Paloma Gómez Borrero, che rappresenta anche la Spagna in questo viaggio, che naturalmente ha una grande interesse anche per gli spagnoli.

4a Domanda: Santità, guardiamo a Cuba. Tutti ricordiamo le famose parole di Giovanni Paolo II: “Che Cuba si apra al mondo e che il mondo si apra a Cuba”. Sono passati 14 anni, ma sembra che queste parole siano ancora attuali. Come Lei sa, durante l’attesa del suo viaggio, molte voci di oppositori e di sostenitori dei diritti umani si sono fatte sentire. Santità, Lei pensa di riprendere il messaggio di Giovanni Paolo II, pensando sia alla situazione interna di Cuba, sia a quella internazionale?

Santo Padre: Come ho già detto, mi sento in assoluta continuità con le parole del Santo Padre Giovanni Paolo II, che sono ancora attualissime. Questa visita del Papa ha inaugurato una strada di collaborazione e di dialogo costruttivo; una strada che è lunga e che esige pazienza, ma va avanti. Oggi è evidente che l’ideologia marxista com’era concepita, non risponde più alla realtà: così non si può più rispondere e costruire un società; devono essere trovati nuovi modelli, con pazienza e in modo costruttivo. In questo processo, che esige pazienza ma anche decisione, vogliamo aiutare in spirito di dialogo, per evitare traumi e per aiutare il cammino verso una società fraterna e giusta come la desideriamo per tutto il mondo e vogliamo collaborare in questo senso. E’ ovvio che la Chiesa stia sempre dalla parte della libertà: libertà della coscienza, libertà della religione. In tale senso contribuiamo, contribuiscono proprio anche semplici fedeli in questo cammino in avanti.

P. Lombardi: Grazie Santità, come può immaginare, ci sarà grande attenzione per i suoi discorsi a Cuba da parte di tutti noi. Ed ora per la quinta domanda diamo la parola ad un francese, perché appunto ci sono anche gli altri popoli qui che sono presenti. Jean-Louis de La Vaissière è il corrispondente della France Press a Roma, e ci ha proposto diverse domande interessanti per questo Viaggio e quindi era giusto che lui interpretasse anche le nostre domande e le nostre attese.

5° Domanda: Santità, dopo la Conferenza di Aparecida si parla di “missione continentale” della Chiesa in America Latina; fra pochi mesi vi sarà il Sinodo sulla nuova evangelizzazione e inizierà l’Anno della fede. Anche in America Latina vi sono le sfide della secolarizzazione, delle sette. In Cuba vi sono le conseguenze di una lunga propaganda dell’ateismo, la religiosità afrocubana è molto diffusa. Pensa che questo viaggio sia un incoraggiamento per la “nuova evangelizzazione” e quali sono i punti che Le stanno più a cuore in questa prospettiva?

Santo Padre: Il periodo della nuova evangelizzazione è cominciato con il Concilio; questa era fondamentalmente l’intenzione di Papa Giovanni XXIIIGiovanni Paolo II e la sua necessità, in un mondo che è in grande cambiamento, diventa sempre più evidente. Necessità nel senso che il Vangelo deve esprimersi in modi nuovi; necessità anche nell’altro senso, che il mondo ha bisogno di una parola nella confusione, nella difficoltà di orientarsi oggi. C’è una situazione comune del mondo, c’è la secolarizzazione, l’assenza di Dio, la difficoltà di trovare accesso, di vederlo come una realtà che concerne la mia vita. E dall’altra parte ci sono i contesti specifici; lei ha accennato a quelli di Cuba con il sincretismo afro-cubano, con tante altre difficoltà, ma ogni Paese ha la sua situazione culturale specifica. E da una parte dobbiamo partire dal problema comune: come oggi, in questo contesto della nostra moderna razionalità, possiamo di nuovo riscoprire Dio come l’orientamento fondamentale della nostra vita, la speranza fondamentale della nostra vita, il fondamento dei valori che realmente costruiscono una società, e come possiamo tener conto della specificità delle situazioni diverse. Il primo mi sembra molto importante: annunciare un Dio che risponde alla nostra ragione, perchè vediamo la razionalità del cosmo, vediamo che c’è qualcosa dietro, ma non vediamo come sia vicino questo Dio, come concerne me e questa sintesi del Dio grande e maestoso e del Dio piccolo che è vicino a me, mi orienta, mi mostra i valori della mia vita è il nucleo dell’evangelizzazione. Quindi un Cristianesimo essenzializzato, dove si trova realmente il nucleo fondamentale per vivere oggi con tutti i problemi del nostro tempo. E dall’altra parte, tenere conto della realtà concreta. In America Latina, in genere, è molto importante che il Cristianesimo non sia mai tanto una cosa della ragione, ma del cuore. La Madonna di Guadalupe è riconosciuta ed amata da tutti, perché capiscono che è una Madre per tutti ed è presente dall’inizio in questa nuova America Latina, dopo l’arrivo degli Europei. E pure in Cuba abbiamo la Madonna del Cobre, che tocca i cuori e tutti sanno intuitivamente che è vero, che questa Madonna ci aiuta, che esiste, ci ama e ci aiuta. Ma questa intuizione del cuore deve collegarsi con la razionalità della fede e con la profondità della fede che va oltre la ragione. Dobbiamo cercare di non perdere il cuore, ma di collegare cuore e ragione, così che cooperino, perché solo così l’uomo è completo e può realmente aiutare e lavorare per un futuro migliore.

Cerimonia di benvenuto nell’Aeroporto Internazionale di Guanajuato (León, 23 marzo 2012)

Eccellentissimo Signor Presidente della Repubblica, Signori Cardinali, Venerati fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, Distinte autorità, Amato popolo di Guanajuato e dell’intero Messico,

sono molto felice di essere qui, e rendo grazie a Dio per avermi concesso di realizzare il desiderio, presente nel mio cuore da molto tempo, di poter confermare nella fede il Popolo di Dio di questa grande nazione nella sua propria terra. È proverbiale il fervore del popolo messicano verso il Successore di Pietro, che lo ha sempre molto presente nella sua preghiera. Lo dico in questo luogo, considerato il centro geografico del suo territorio, nel quale desiderò venire, sin dal suo primo viaggio, il mio venerato Predecessore, il beato Giovanni Paolo II. Non potendolo fare, lasciò in quella occasione un messaggio di incoraggiamento e benedizione quando sorvolava il suo spazio aereo. Oggi sono felice di farmi eco delle sue parole, proprio in questo luogo e tra di voi: Sono grato – diceva nel suo messaggio – per l’affetto verso il Papa e la fedeltà al Signore dei fedeli del Bajío e di Guanajuato. Che Dio li accompagni sempre (cfr Telegramma, 30 gennaio 1979).

Con questo intimo ricordo, la ringrazio, Signor Presidente, per la sua calorosa accoglienza, e saluto con deferenza la sua distinta consorte e le altre autorità che hanno voluto onorarmi con la loro presenza. Un saluto molto speciale a Mons. José Guadalupe Martín Rábago, Arcivescovo di León, così come a Mons. Carlos Aguiar Retes, Arcivescovo di Tlalnepantla e Presidente della Conferenza Episcopale Messicana e del Consiglio Episcopale Latinoamericano. Con questa breve visita, desidero stringere la mano di tutti i messicani e raggiungere le nazioni e i popoli latinoamericani, ben rappresentati qui da tanti Vescovi, proprio in questo luogo nel quale il maestoso monumento a Cristo Re, nel “Cerro del Cubilete”, manifesta il radicamento della fede cattolica tra i messicani, che si mettono sotto la sua costante benedizione in tutte le loro vicissitudini.

Il Messico, e la maggior parte delle popolazioni latinoamericane, hanno commemorato il bicentenario della propria indipendenza, o lo stanno facendo in questi anni. Molte sono state le celebrazioni religiose per rendere grazie a Dio di questo momento così importante e significativo. E in esse, come si è fatto nella Santa Messa nella Basilica di San Pietro a Roma, nella Solennità di Nostra Signora di Guadalupe, si è invocata con fervore Maria Santissima, che fece vedere con dolcezza come il Signore ama tutti e si consegnò per tutti, senza distinzioni. La Nostra Madre del cielo ha continuato a vegliare sulla fede dei suoi figli anche nella formazione di queste nazioni, e continua a farlo oggi dinanzi alle nuove sfide che si presentano loro.

Giungo come pellegrino della fede, della speranza e della carità. Desidero confermare nella fede i credenti in Cristo, consolidarli in essa e incoraggiarli a rivitalizzarla con l’ascolto della Parola di Dio, i Sacramenti e la coerenza di vita. Così potranno condividerla con gli altri, come missionari tra i propri fratelli, ed essere fermento nella società, contribuendo a una convivenza rispettosa e pacifica, basata sulla incomparabile dignità di ogni persona umana, creata da Dio, e che nessun potere ha il diritto di dimenticare o disprezzare. Questa dignità si manifesta in modo eminente nel diritto fondamentale alla libertà religiosa, nel suo genuino significato e nella sua piena integrità.

Come pellegrino della speranza, vi dico con San Paolo: «Non siate tristi come gli altri che non hanno speranza» (1Ts 4,13). La fede in Dio offre la certezza di incontrarlo, di ricevere la sua Grazia, e su questo si basa la speranza di chi crede. Sapendo ciò, il credente si sforza di trasformare anche le strutture e gli avvenimenti presenti poco piacevoli, che sembrano immutabili e insuperabili, aiutando chi nella vita non trova né senso, né avvenire. Sì, la speranza cambia l’esistenza concreta di ogni uomo e di ogni donna in maniera reale (cf. Spe salvi, 2). La speranza addita «un cielo nuovo e una terra nuova» (Ap 21,11), cercando di rendere palpabili già ora alcuni dei loro riflessi. Inoltre, quando si radica in un popolo, quando viene condivisa, essa si diffonde come la luce che disperde le tenebre che offuscano e attanagliano. Questo Paese, questo Continente, sono chiamati a vivere la speranza in Dio come una convinzione profonda, trasformandola in un atteggiamento del cuore e in un impegno concreto di camminare uniti verso un mondo migliore. Come già dissi a Roma, «continuate ad avanzare senza scoraggiarvi nella costruzione di una società fondata sullo sviluppo del bene, il trionfo dell’amore e la diffusione della giustizia» (Omelia nella solennità di Nostra Signora di Guadalupe, Roma, 12 dicembre 2011).

Insieme alla fede e alla speranza, il credente in Cristo, e la Chiesa nel suo insieme, vivono e praticano la carità come elemento essenziale della loro missione. Nella sua accezione primaria, la carità «è anzitutto e semplicemente la risposta a una necessità immediata in una determinata situazione» (Deus caritas est, 31a), come è soccorrere coloro che patiscono la fame, sono privi di dimora, sono infermi o bisognosi in qualche aspetto della loro esistenza. Nessuno rimane escluso per la sua origine o le sue convinzioni da questa missione della Chiesa, che non entra in competizione con altre iniziative private o pubbliche, anzi, essa collabora volentieri con coloro che perseguono questi stessi fini. Tantomeno pretende altra cosa che non sia fare del bene, in maniera disinteressata e rispettosa, al bisognoso, a chi, molte volte, manca più di tutto proprio di una prova di amore autentico.

Signor Presidente, amici tutti: in questi giorni chiederò vivamente al Signore e alla Vergine di Guadalupe che questo popolo faccia onore alla fede ricevuta e alle sue migliori tradizioni; e pregherò specialmente per coloro che più ne hanno bisogno, particolarmente quanti soffrono a causa di antiche e nuove rivalità, risentimenti e forme di violenza. Già so che mi trovo in un Paese orgoglioso della sua ospitalità e desideroso che nessuno si senta estraneo nella sua terra. Lo so, già lo sapevo, però ora lo vedo e lo sento in modo molto profondo nel cuore. Spero con tutta la mia anima che lo sentano anche tanti messicani che vivono fuori della propria patria natìa, ma che mai la dimenticano e desiderano vederla crescere nella concordia e in un autentico sviluppo integrale. Molte grazie.

Saluto ai bambini nella Plaza de la Paz di Guanajuato (León, 24 marzo 2012)

Cari bambini,

sono felice di potervi incontrare e di vedere i vostri volti allegri che riempiono questa bella piazza. Voi occupate un posto molto importante nel cuore del Papa. E in questo momento desidero che lo sappiano tutti i bambini del Messico, particolarmente quelli che sopportano il peso della sofferenza, l’abbandono, la violenza o la fame, che in questi mesi, a causa della siccità, si è fatta sentire fortemente in alcune regioni. Grazie per questo incontro di fede, per la presenza festosa e la gioia, che avete espresso con i canti. Oggi siamo pieni di giubilo, e questo è importante. Dio vuole che siamo sempre felici. Egli ci conosce e ci ama. Se lasciamo che l’amore di Cristo cambi il nostro cuore, allora noi potremo cambiare il mondo. Questo è il segreto della felicità autentica.

Questo luogo nel quale ci ritroviamo ha un nome che esprime l’anelito presente nel cuore di tutti i popoli: “la pace”, un dono che proviene dall’Alto. «La pace sia con voi» (Gv 20,21). Sono le parole del Signore risorto. Le ascoltiamo in ogni Messa, e oggi risuonano di nuovo qui, con la speranza che ciascuno si trasformi in seminatore e messaggero di quella pace per la quale Cristo donò la sua vita.

Il discepolo di Gesù non risponde al male con il male, bensì è sempre strumento del bene, araldo del perdono, portatore di allegria, servitore dell’unità. Gesù vuole scrivere in ognuna delle vostre vite una storia di amicizia. Abbiatelo, allora, come il migliore dei vostri amici. Egli non si stancherà di dirvi di amare sempre tutti e di fare il bene. Voi lo ascolterete, se avrete sempre un rapporto assiduo con Lui, che vi aiuterà anche nelle situazioni più difficili.

Sono venuto perché sentiate il mio affetto. Ciascuno di voi è un regalo di Dio per il Messico e per il mondo. La vostra famiglia, la Chiesa, la scuola e chi ha responsabilità nella società devono lavorare uniti perché voi possiate ricevere come eredità un mondo migliore, senza invidie né divisioni.

Per questo, desidero levare la mia voce invitando tutti a proteggere e accudire i bambini, perché mai si spenga il loro sorriso, possano vivere in pace e guardare al futuro con fiducia.

Voi, miei piccoli amici, non siete soli. Contate sull’aiuto di Cristo e della sua Chiesa per condurre uno stile di vita cristiano. Partecipate alla Messa domenicale, alla catechesi, a qualche gruppo di apostolato, cercando luoghi di preghiera, fraternità e carità. Così vissero i beati Cristobal, Antonio e Giovanni, i piccoli martiri di Tlaxcala, che conoscendo Gesù, al tempo della prima evangelizzazione del Messico, scoprirono che non esiste tesoro più grande di Lui. Erano piccoli come voi, e da loro possiamo imparare che non esiste età per amare e servire.

Avrei il desiderio di trattenermi più tempo con voi, ma devo già andarmene. Continueremo a rimanere uniti nella preghiera. Vi invito, allora, a pregare sempre, anche a casa; così sperimenterete la gioia di parlare con Dio in famiglia. Pregate per tutti, anche per me. Io pregherò per voi, perché il Messico sia un focolare nel quale tutti i suoi figli vivano in serenità e armonia. Vi benedico di cuore e vi invito a portare l’affetto e la benedizione del Papa ai vostri genitori e fratelli, così come a tutti gli altri che vi sono cari. Che la Vergine vi accompagni. Molte grazie, miei piccoli amici!

Santa Messa nel Parque del Bicentenario di León (25 marzo 2012)

 

Cari fratelli e sorelle,

Sono contento di essere tra voi, e desidero ringraziare vivamente Mons. José Guadalupe Martín Rábago, Arcivescovo di Leòn, per le sue gentili parole di benvenuto. Saluto l’Episcopato messicano, come pure i Signori Cardinali e gli altri Vescovi qui presenti, in particolare quelli che provengono dall’America Latina e dai Caraibi. Rivolgo inoltre il mio cordiale saluto alle Autorità che ci accompagnano e a tutti coloro che si sono riuniti per partecipare a questa Santa Messa presieduta dal Successore di Pietro.

“Crea in me, Signore, un cuore puro” (Sal 50,12), abbiamo invocato nel Salmo responsoriale. Questa esclamazione mostra la profondità con la quale dobbiamo prepararci per celebrare, la prossima settimana, il grande mistero della passione, morte e risurrezione del Signore. Questo ci aiuta anche a guardare nel profondo del cuore umano, specialmente nei momenti che uniscono dolore e speranza, come quelli che attraversa attualmente il popolo messicano ed anche altri popoli dell’America Latina.

L’anelito di un cuore puro, sincero, umile, gradito a Dio, era già molto sentito da Israele, man mano che prendeva coscienza della persistenza del male e del peccato nel suo seno, come un potere praticamente implacabile ed impossibile da superare. Non restava che confidare nella misericordia di Dio onnipotente e nella speranza che Egli cambiasse dal di dentro, dal cuore, una situazione insopportabile, oscura e senza futuro. Così si aprì la strada al ricorso alla misericordia infinita del Signore, che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cfr Ez 33,11). Un cuore puro, un cuore nuovo, è quello che si riconosce impotente da sé stesso e si mette nelle mani di Dio per continuare a sperare nelle sue promesse. In questo modo, il salmista può dire convinto al Signore: “torneranno a te i peccatori” (Sal 50,15). E, verso la fine del salmo, darà una spiegazione che è contemporaneamente una ferma confessione di fede: “Un cuore affranto e umiliato, tu non lo disprezzi” (v. 19).

La storia di Israele narra anche grandi gesta e battaglie, ma nel momento di affrontare la sua esistenza più autentica, il suo destino più decisivo, cioè la salvezza, più che nelle proprie forze, ripone la sua speranza in Dio che può ricreare un cuore nuovo, non insensibile e arrogante. Questo può ricordare oggi ad ognuno di noi ed ai nostri popoli che, quando si tratta della vita personale e comunitaria, nella sua dimensione più profonda, non basteranno le strategie umane per salvarci. Si deve ricorrere anche all’unico che può dare vita in pienezza, perché Egli stesso è l’essenza della vita ed il suo autore, e ci ha fatto partecipi di essa attraverso il suo Figlio Gesù Cristo.

Il Vangelo di oggi prosegue facendoci vedere come questo antico anelito alla vita piena si è realizzato realmente in Cristo. Lo spiega san Giovanni in un passaggio nel quale si incrociano il desiderio di alcuni greci di vedere a Gesù ed il momento in cui il Signore sta per essere glorificato. Alla domanda dei greci, rappresentanti del mondo pagano, Gesù risponde dicendo: “È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato” (Gv 12,23). Risposta strana che sembra incoerente con la domanda dei greci. Che cosa c’entra la glorificazione di Gesù con la richiesta di incontrarsi con Lui? In realtà c’è una relazione. Qualcuno potrebbe pensare – osserva san Agostino – che Gesù si sentisse glorificato perché andavano da Lui i pagani; qualcosa di simile all’applauso della moltitudine che dà “gloria” ai grandi del mondo, diremmo oggi. Ma non è così. “Conveniva che alla sublimità della sua glorificazione precedesse l’umiltà della sua passione” (In Joannis Ev., 51, 9: PL 35, 1766).

La risposta di Gesù, che annuncia la sua passione imminente, dice che un incontro occasionale in quei momenti sarebbe superfluo e forse ingannevole. Quello che i greci vogliono vedere, in realtà lo vedranno innalzato sulla croce, dalla quale Egli attirerà tutti a sé (cfr Gv 12,32). Lì inizierà la sua “gloria”, a causa del suo sacrificio di espiazione per tutti, come il chicco di grano caduto in terra, che, morendo, germina e dà frutto abbondante. Incontreranno Colui che, sicuramente senza saperlo, andavano cercando nel loro cuore: il vero Dio che si rende riconoscibile a tutti i popoli. Questo è anche il modo in cui Nostra Signora di Guadalupe ha mostrato il suo divino Figlio a san Juan Diego. Non come un eroe portentoso da leggenda, ma come il vero Dio per il quale si vive, il Creatore delle persone, della vicinanza e della prossimità, il Creatore del Cielo e della Terra (cfr Nican Mopohua, v. 33). Ella, in quello momento, fece quello che aveva già sperimentato nelle Nozze di Cana. Davanti all’imbarazzo per la mancanza di vino, indicò chiaramente ai servi che la via a seguire era suo Figlio: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5).

Cari fratelli, venendo qui ho potuto avvicinarmi al monumento a Cristo Re, in cima la “Cubilete”. Il mio venerato Predecessore, il beato Papa Giovanni Paolo II, benché lo desiderasse ardentemente, non poté visitare questo luogo emblematico della fede del popolo messicano, nei suoi viaggi a questa cara terra. Sicuramente oggi si rallegrerà dal cielo che il Signore mi abbia concesso la grazia di poter stare ora con voi, così come avrà benedetto i tanti milioni di messicani che hanno voluto venerare, recentemente, le sue reliquie in tutti gli angoli del Paese. Ebbene, in questo monumento si rappresenta Cristo Re. Ma le corone che lo accompagnano, una da sovrano ed un’altra di spine, indicano che la sua regalità non è come molti la intesero e la intendono. Il suo regno non consiste nel potere dei suoi eserciti per sottomettere gli altri con la forza o la violenza. Si fonda su un potere più grande, che conquista i cuori: l’amore di Dio che Egli ha portato al mondo col suo sacrificio e la verità, di cui ha dato testimonianza. Questa è la sua signoria che nessuno gli potrà togliere e che nessuno deve dimenticare. Per questo è giusto che, innanzitutto, questo santuario sia un luogo di pellegrinaggio, di preghiera fervente, di conversione, di riconciliazione, di ricerca della verità e accoglienza della grazia. A Lui, a Cristo, chiediamo che regni nei nostri cuori, rendendoli puri, docili, pieni di speranza e coraggiosi nella loro umiltà.

Anche oggi, da questo parco, con il quale si vuole ricordare il bicentenario della nascita della Nazione messicana, che ha unito molte differenze, ma con un destino ed un’aspirazione comuni, chiediamo a Cristo un cuore puro, dove egli possa abitare come Principe della pace, “grazie al potere di Dio, che è il potere del bene, il potere dell’amore”. E, affinché Dio abiti in noi, bisogna ascoltarlo, bisogna lasciarsi interpellare dalla sua Parola ogni giorno, meditandola nel proprio cuore, sull’esempio di Maria (cfr Lc 2,51). Così cresce la nostra amicizia personale con Lui, si impara quello che Egli attende da noi e si riceve incoraggiamento per farlo conoscere agli altri.

In Aparecida, i Vescovi dell’America Latina e dei Caraibi hanno colto con lungimiranza la necessità di confermare, rinnovare e rivitalizzare la novità del Vangelo, radicata nella storia di queste terre “dall’incontro personale e comunitario con Gesù Cristo che susciti discepoli e missionari” (Documento conclusivo, 11). La Misión Continental che si sta portando avanti, diocesi per diocesi, in questo Continente, ha precisamente l’obiettivo di far arrivare questa convinzione a tutti i cristiani e alle comunità ecclesiali, affinché resistano alla tentazione di una fede superficiale e abitudinaria, a volte frammentaria ed incoerente. Anche qui si deve superare la stanchezza della fede e recuperare “la gioia di essere cristiani, l’essere sostenuti dalla felicità interiore di conoscere Cristo e di appartenere alla sua Chiesa. Da questa gioia nascono anche le energie per servire Cristo nelle situazioni opprimenti di sofferenza umana, per mettersi a sua disposizione, senza ripiegarsi sul proprio benessere” (Discorso alla Curia Romana, 22 dicembre 2011). Lo vediamo molto bene nei Santi, che si dedicarono completamente alla causa del Vangelo con entusiasmo e con gioia, senza badare ai sacrifici, anche quello della propria vita. Il loro cuore era una opzione incondizionata per Cristo dal quale avevano imparato ciò che significa veramente amare fino alla fine.

In questo senso, l’“Anno della fede”, che ho convocato per tutta la Chiesa, “è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo… La fede, infatti, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia” (Lett. ap.  Porta fidei, 11 ottobre 2011, 6.7).

Chiediamo alla Vergine Maria che ci aiuti a purificare il nostro cuore, specialmente nell’avvicinarci alla celebrazione delle feste di Pasqua, affinché giungiamo a partecipare meglio al Mistero di salvezza del suo Figlio, come Ella lo ha fatto conoscere in queste Terre. E chiediamole anche che continui ad accompagnare e proteggere i suoi cari figli messicani e latinoamericani, affinché Cristo regni nelle loro vite e li aiuti a promuovere con coraggio la pace, la concordia, la giustizia e la solidarietà. Amen.

Recita dell’Angelus Domini (León, 25 marzo 2012)

Cari fratelli e sorelle,

nel Vangelo di questa domenica, Gesù parla del chicco di frumento che cade in terra, muore e si moltiplica, rispondendo ad alcuni greci che si avvicinano all’apostolo Filippo per chiedergli: “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21). Noi oggi invochiamo Maria Santissima e la supplichiamo: “Mostraci Gesù”.

Nel recitare ora l’Angelus ricordando l’Annunciazione del Signore, anche i nostri occhi si dirigono spiritualmente fino al colle del Tepeyac, al luogo dove la Madre di Dio, sotto il titolo di “la sempre vergine santa Maria di Guadalupe”, è onorata con fervore da secoli, quale segno di riconciliazione e della infinita bontà di Dio per il mondo.

I miei Predecessori sulla Cattedra di san Pietro la onorarono con titoli speciali come Signora del Messico, Celeste Patrona dell’America Latina, Madre e Imperatrice di questo Continente. I suoi fedeli figli, a loro volta, che sperimentano il suo aiuto, la invocano, pieni di fiducia, con nomi affettuosi e familiari come Rosa del Messico, Signora del Cielo, Vergine “Morena”, Madre del Tepeyac, Nobile “Indita”.

Cari fratelli, non dimenticate che la vera devozione alla Vergine Maria ci avvicina sempre a Gesù, e “non consiste né in uno sterile e passeggero sentimentalismo, né in una certa qual vaga credulità, ma procede dalla fede vera, dalla quale siamo portati a riconoscere la preminenza della Madre di Dio, e siamo spinti al filiale amore verso la Madre nostra e all’imitazione delle sue virtù”(Lumen gentium, 67).

Amarla significa impegnarsi ad ascoltare il suo Figlio; venerare la Guadalupana significa vivere secondo le parole del frutto benedetto del suo seno.

In questi momenti in cui tante famiglie si ritrovano divise e costrette all’emigrazione, molte soffrono a causa della povertà, della corruzione, della violenza domestica, del narcotraffico, della crisi di valori o della criminalità, rivolgiamoci a Maria alla ricerca di conforto, vigore e speranza. E’ la Madre del vero Dio, che invita a rimanere con la fede e la carità sotto la sua ombra, per superare così ogni male e instaurare una società più giusta e solidale.

Con questi sentimenti, desidero porre nuovamente sotto il dolce sguardo di Nostra Signora di Guadalupe questo Paese e tutta l’America Latina e i Caraibi. Affido ciascuno dei suoi figli  alla Stella della prima e della nuova evangelizzazione, che ha animato con il suo amore materno la storia cristiana di queste terre, dando caratteristiche particolari ai grandi avvenimenti della loro storia, alle loro iniziative comunitarie e sociali, alla vita familiare, alla devozione personale e alla Misiòn continental che ora si sta svolgendo in queste nobili terre. In tempi di prova e dolore, Ella è stata invocata da tanti martiri che, al grido “Viva Cristo Re e Maria di Guadalupe”, hanno dato una perenne testimonianza di fedeltà al Vangelo e di dedizione alla Chiesa. Supplico ora che la sua presenza in questa cara Nazione continui a richiamare al rispetto, alla difesa e alla promozione della vita umana e al consolidamento della fraternità, evitando l’inutile vendetta ed allontanando l’odio che divide. Santa Maria di Guadalupe ci benedica e ci ottenga, per sua intercessione, abbondanti grazie dal Cielo.

Celebrazione dei Vespri con i Vescovi del Messico e dell’America Latina nella Cattedrale della Madre Santissima della Luce (León, 25 marzo 2012)

Signori Cardinali,  Cari Fratelli nell’Episcopato

È una grande gioia pregare con tutti voi in questa Basilica-Cattedrale di León, dedicata a Nostra Signora della Luce. Nella bella immagine che si venera in questo tempio, la Santissima Vergine tiene il suo Figlio in una mano con grande tenerezza, mentre stende l’altra per soccorrere i peccatori. Così vede Maria la Chiesa di tutti i tempi, che la loda per averci dato il Redentore ed a Lei si affida perché è la Madre che il suo divin Figlio ci ha affidato dalla croce. Per questo, noi l’imploriamo frequentemente come “speranza nostra”, perché ci ha mostrato Gesù e trasmesso i prodigi che Dio ha fatto e fa per l’umanità, in maniera semplice, come spiegandoli ai piccoli della casa.

Un segno decisivo di questi prodigi ce lo offre la Lettura breve che è stata proclamata in questi Vespri. Gli abitanti di Gerusalemme ed i suoi capi non riconobbero Cristo, ma, condannandolo a morte, in realtà, diedero compimento alle parole dei profeti (cfr At 13,27). Sì, la malvagità e l’ignoranza degli uomini non è capace di frenare il piano divino della salvezza, la redenzione. Il male non può fare tanto.

Un’altra meraviglia di Dio ce la ricorda il secondo Salmo che abbiamo appena recitato: la “rupe” si trasforma “in un lago, la roccia in sorgenti d’ acqua” (Sal 113,8). Quello che potrebbe essere pietra di inciampo e di scandalo, col trionfo di Gesù sulla morte si trasforma in pietra angolare: “Questo è stato fatto dal Signore: una meraviglia ai nostri occhi” (Sal 117,23). Non ci sono motivi, dunque, per arrendersi alla prepotenza del male. E chiediamo al Signore Risorto che manifesti la sua forza nelle nostre debolezze e mancanze.

Attendevo con grande desiderio questo incontro con voi, Pastori della Chiesa di Cristo che peregrina in Messico e nei diversi Paesi di questo grande Continente, come un’occasione per guardare insieme Cristo, che vi ha affidato il prezioso compito di annunciare il Vangelo in questi Paesi di forte tradizione cattolica. La situazione attuale delle vostre diocesi presenta certamente sfide e difficoltà di origine molto diversa. Ma, sapendo che il Signore è risorto, possiamo proseguire fiduciosi, con la convinzione che il male non ha l’ultima parola della storia, e che Dio è capace di aprire nuovi spazi ad una speranza che non delude (cfr Rm 5,5).

Ringrazio per il cordiale saluto che mi ha rivolto l’Arcivescovo di Tlalnepantla, Presidente della Conferenza Episcopale Messicana e del Consiglio Episcopale Latinoamericano, facendosi interprete e portavoce di tutti. Chiedo a voi, Pastori delle varie Chiese particolari, che, ritornando alle vostre sedi, trasmettiate ai vostri fedeli l’affetto profondo del Papa, che porta nel suo cuore tutte le loro sofferenze e le loro attese.

Vedendo nei vostri volti il riflesso delle preoccupazioni del gregge di cui avete cura, mi vengono alla mente le Assemblee del Sinodo dei Vescovi, nelle quali i partecipanti applaudono quando intervengono coloro che esercitano il loro ministero in situazioni particolarmente dolorose per la vita e la missione della Chiesa. Questo gesto germoglia dalla fede nel Signore, e significa fraternità nel lavoro apostolico, come pure gratitudine ed ammirazione per coloro che seminano il Vangelo tra le spine, alcune in forma di persecuzione, altre di esclusione o di disprezzo. Non mancano neppure preoccupazioni per la mancanza di mezzi e risorse umane, o i limiti imposti alla libertà della Chiesa nell’adempimento della sua missione.

Il Successore di Pietro partecipa a questi sentimenti e ringrazia per la vostra sollecitudine pastorale paziente ed umile. Voi non siete soli nelle difficoltà, e neppure lo siete nei successi della evangelizzazione. Tutti siamo uniti nelle sofferenze e nella consolazione (cfr 2Co 1,5). Sappiate che avete un posto particolare nella preghiera di colui che ha ricevuto da Cristo l’incarico di confermare nella fede i suoi fratelli (cfr Lc 22,31), che li incoraggia anche nella missione di far sì che il Nostro Signore Gesù Cristo sia conosciuto sempre di più, amato e seguito in queste terre, senza lasciarsi spaventare dalle contrarietà.

La fede cattolica ha segnato in modo significativo la vita, i costumi e la storia di questo Continente, nel quale molte delle sue nazioni stanno commemorando il bicentenario della propria indipendenza. E’ un momento storico nel quale ha continuato a splendere il nome di Cristo, arrivato qui per opera di insigni e generosi missionari che lo proclamarono con coraggio e con sapienza. Essi donarono tutto per Cristo, mostrando che l’uomo trova in Lui la propria consistenza e la forza necessaria per vivere in pienezza ed edificare una società degna dell’essere umano, come il suo Creatore l’ha voluto. L’ideale di non anteporre nulla al Signore e di far penetrare la Parola di Dio in tutti, servendosi delle caratteristiche proprie e delle migliori tradizioni, continua ad essere un prezioso orientamento per i Pastori di oggi.

Le iniziative che vengono realizzate a motivo dell’“Anno della fede” devono essere finalizzate a condurre gli uomini a Cristo, la cui grazia permetterà loro di lasciare le catene del peccato che li rende schiavi e di avanzare verso la libertà autentica e responsabile. In questo un aiuto è dato anche dalla  Misión continental, promossa in Aparecida, che sta già raccogliendo tanti frutti di rinnovamento ecclesiale nelle Chiese particolari dell’America Latina e dei Caraibi. Tra essi, lo studio, la diffusione e la meditazione della Sacra Scrittura, che annuncia l’amore di Dio e la nostra salvezza. In questo senso, vi esorto a continuare ad aprire i tesori del Vangelo, affinché si trasformino in forza di speranza, libertà e salvezza per tutti gli uomini (cfr Rm 1,16). E siate anche fedeli testimoni ed interpreti della parola del Figlio incarnato, che visse per compiere la volontà del Padre e, essendo uomo con gli uomini, si prodigò per essi fino alla morte.

Cari Fratelli nell’Episcopato, nell’orizzonte pastorale e di evangelizzazione che si apre davanti a noi, è di capitale rilevanza seguire con grande attenzione i seminaristi, incoraggiandoli affinché non si vantino “di sapere altro se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso” (1Co 2, 2). Non meno fondamentale è la vicinanza ai sacerdoti, ai quali non deve mancare mai la comprensione e l’incoraggiamento del loro Vescovo e, se fosse necessario, anche la sua paterna ammonizione su atteggiamenti inopportuni. Sono i vostri primi collaboratori nella comunione sacramentale del sacerdozio, ai quali dovete mostrare una costante e privilegiata vicinanza. Lo stesso si deve dire delle diverse forme di vita consacrata, i cui carismi devono essere stimati con gratitudine ed accompagnati con responsabilità e rispetto del dono ricevuto. Ed un’attenzione sempre più speciale si deve riservare ai laici maggiormente impegnati nella catechesi, nell’animazione liturgica o nell’azione caritativa e nell’impegno sociale. La loro formazione nella fede è cruciale per rendere presente e fecondo il Vangelo nella società di oggi. E non è giusto che si sentano considerati come persone di poco conto nella Chiesa, nonostante l’impegno che pongono nel lavorare in essa secondo la loro propria vocazione, ed il gran sacrificio che a volte richiede questa dedizione. In tutto ciò, è particolarmente importante per i Pastori che regni uno spirito di comunione tra sacerdoti, religiosi e laici, evitando divisioni sterili, critiche e diffidenze nocive.

Con questi fervidi auspici, vi invito ad essere sentinelle che proclamano giorno e notte la gloria di Dio, che è la vita dell’uomo. Siate dalla parte di coloro che sono emarginati dalla violenza, dal potere o da una ricchezza che ignora coloro ai quali manca quasi tutto. La Chiesa non può separare la lode a Dio dal servizio agli uomini. L’unico Dio Padre e Creatore è quello che ci ha costituiti fratelli: essere uomo è essere fratello e custode del prossimo. In questo cammino, unita a tutta l’umanità, la Chiesa deve rivivere ed attualizzare quello che è stato Gesù: il Buon Samaritano, che venendo da lontano si è inserito nella storia degli uomini, ci ha sollevati e si è prodigato per la nostra guarigione.

Cari Fratelli nell’Episcopato, la Chiesa in America Latina, che molte volte si è unita a Gesù Cristo nella sua passione, deve continuare ad essere seme di speranza, che permetta a tutti di vedere come i frutti della Risurrezione raggiungono ed arricchiscono queste terre.

Che la Madre di Dio, invocata con il titolo di Maria Santissima della Luce, dissipi le tenebre del nostro mondo e illumini il nostro cammino, affinché possiamo confermare nella fede il popolo latinoamericano nelle sue fatiche e speranze, con fermezza, con coraggio e con fede ferma in colui che tutto può e tutti ama fino all’estremo. Amen.

Cerimonia di congedo nell’Aeroporto Internazionale di Guanajuato (26 marzo 2012)

Signor Presidente, Distinte autorità, Signori Cardinali, Cari Fratelli nell’episcopato, Amici messicani

 La mia breve ma intensa visita in Messico giunge ora alla fine. Ma non è la fine del mio affetto e della mia vicinanza ad un Paese che porto nell’intimo di me stesso. Parto colmo di esperienze indimenticabili, come indimenticabili sono tante attenzioni e dimostrazioni di affetto ricevute. Ringrazio per le cortesi parole che mi ha indirizzato il Signor Presidente, come pure per tutto quello che hanno fatto le Autorità per questo significativo Viaggio. E ringrazio con tutto il cuore quanti hanno facilitato o hanno collaborato affinché, sia negli aspetti importanti come nei più piccoli dettagli, gli eventi di queste giornate si siano svolti felicemente. Chiedo al Signore che tanti sforzi non siano stati vani, e che, con il suo aiuto, producano frutti abbondanti e duraturi nella vita di fede, speranza e carità di León e Guanajuato, del Messico e dei Paesi fratelli dell’America Latina e dei Caraibi.

 Davanti alla fede in Gesù Cristo, che ho sentito vibrare nei cuori, e alla devozione affettuosa per la sua Madre – invocata qui con titoli tanto belli come quello di Guadalupe e della Luce – che ho visto riflessa nei volti, desidero ripetere con forza e chiarezza un invito al popolo messicano ad essere fedele a sé stesso e a non lasciarsi intimorire dalle forze del male, ad essere coraggioso e lavorare affinché la linfa delle sue radici cristiane faccia fiorire il suo presente ed il suo futuro.

 Sono stato anche testimone di segni di preoccupazione per diversi aspetti della vita in questo amato Paese, alcuni rilevati più di recente ed altri che provengono dal passato, e che continuano a causare tante lacerazioni. Li porto ugualmente con me, condividendo sia le gioie sia il dolore dei miei fratelli messicani, per metterli in preghiera ai piedi della Croce, nel cuore di Cristo, dal quale scaturiscono l’acqua ed il sangue redentori.

 In queste circostanze, esorto ardentemente i cattolici messicani e tutti gli uomini e donne di buona volontà, a non cedere alla mentalità utilitarista, che finisce sempre col sacrificare i più deboli ed indifesi. Li invito ad un sforzo solidale che permetta alla società di rinnovarsi dalle sue fondamenta per realizzare una vita degna, giusta ed in pace per tutti. Per i cattolici, questo contributo al bene comune è anche un’esigenza di quella dimensione essenziale del Vangelo che è la promozione umana ed una espressione altissima della carità. Per questo la Chiesa esorta tutti i suoi fedeli ad essere anche buoni cittadini, coscienti della loro responsabilità di preoccuparsi per il bene degli altri, di tutti, sia nella sfera personale sia nei diversi settori della società.

 Cari amici messicani, vi dico addio nel vero senso della bella espressione tradizionale ispanica: Rimanete con Dio! Sì, addio; sempre nell’amore di Cristo, nel quale tutti ci incontriamo e ci incontreremo. Che il Signore vi benedica e Maria Santissima vi protegga. Molte grazie.

Cerimonia di benvenuto nell’Aeroporto Internazionale Antonio Maceo di Santiago de Cuba (26 marzo 2012)

 Signor Presidente, Signori Cardinali e Fratelli nell’Episcopato, Eccellentissime Autorità, Membri del Corpo Diplomatico, Signori e Signore, Cari amici cubani!

La ringrazio, Signor Presidente, per la sua accoglienza e le sue cortesi parole di benvenuto, con le quali ha voluto trasmettere anche i sentimenti di rispetto da parte del governo e del popolo cubano verso il Successore di Pietro. Saluto le Autorità che ci accompagnano, come pure i Membri del Corpo diplomatico qui presenti. Rivolgo un cordiale saluto all’Arcivescovo di Santiago di Cuba e Presidente de la Conferenza Episcopale, Mons. Dionisio Guillermo García Ibáñez, all’Arcivescovo de La Habana, il Signor Cardinale Jaime Ortega y Alamino, e agli altri Fratelli Vescovi di Cuba, ai quali manifesto tutta la mia vicinanza spirituale. Saluto, infine, con tutto l’affetto del mio cuore, i fedeli della Chiesa cattolica in Cuba, i cari abitanti di questa bella isola e tutti i cubani, lì dove si trovano. Vi tengo sempre molto presenti nel mio cuore e nella mia preghiera e ancora di più nei giorni nei quali si avvicinava il momento tanto desiderato di visitarvi e che, grazie alla bontà divina, ho potuto realizzare.

 Nel venire tra voi, non posso tralasciare il ricordo della storica visita a Cuba del mio Predecessore, il Beato Giovanni Paolo II, che ha lasciato una traccia indelebile nell’animo dei cubani. Per molti, credenti e non, il suo esempio e i suoi insegnamenti costituiscono una guida luminosa che li orienta sia nella vita personale sia nella realizzazione pubblica del servizio al bene comune della Nazione. In effetti, il suo passaggio nell’isola fu come una brezza soave di aria fresca che diede nuovo vigore alla Chiesa in Cuba, destando in molti una rinnovata coscienza dell’importanza della fede, incoraggiando ad aprire i cuori a Cristo, e, nello stesso tempo, illuminò la speranza e stimolò il desiderio di lavorare con audacia per un futuro migliore. Uno dei frutti importanti di quella visita fu l’inaugurazione di una nuova fase nelle relazioni tra la Chiesa e lo Stato cubano, con uno spirito di maggiore collaborazione e fiducia, benché rimangano ancora molti aspetti nei quali si può e si deve avanzare, specialmente per quanto si riferisce al contributo imprescindibile che la religione è chiamata a svolgere nell’ambito pubblico della società.

 Sono vivamente lieto di unirmi alla vostra gioia a motivo della celebrazione del quattrocentesimo anniversario della scoperta dell’immagine benedetta della Vergine della Carità del “Cobre”.La sua singolare figura è stata, fin dall’inizio, molto presente sia nella vita personale dei cubani sia nei grandi avvenimenti del Paese, in modo speciale durante la sua indipendenza, essendo da tutti venerata come vera madre del popolo cubano. La devozione a «la Virgen Mambisa» ha sostenuto la fede e ha incoraggiato la difesa e la promozione di ciò che rende degna la condizione umana e dei suoi diritti fondamentali, e continua a farlo anche oggi con più forza, dando così testimonianza visibile della fecondità della predicazione del Vangelo in queste terre, e delle profonde radici cristiane che danno vita all’identità più profonda dell’animo cubano. Seguendo la scia di tanti pellegrini nel corso di questi secoli, anch’io desidero recarmi a “El Cobre” a prostrarmi ai piedi della Madre di Dio, per ringraziarla dei suoi interventi in favore di tutti i suoi figli cubani e chiedere la sua intercessione, affinché guidi i percorsi di questa amata Nazione sui sentieri della giustizia, della pace, della libertà e della riconciliazione.

 Vengo a Cuba come Pellegrino della carità, per confermare i miei fratelli nella fede e incoraggiarli nella speranza, che nasce dalla presenza dell’amore di Dio nelle nostre vite. Porto nel mio cuore le giuste aspirazioni e i legittimi desideri di tutti i cubani, dovunque si trovino, le loro sofferenze e gioie, le loro preoccupazioni e gli aneliti più nobili, in modo speciale dei giovani e degli anziani, degli adolescenti e dei bambini, degli infermi e dei lavoratori, dei detenuti e dei loro familiari, così come dei poveri e bisognosi.

 Molte parti del mondo vivono oggi un momento di particolare difficoltà economica, che non pochi concordano nel situare in una profonda crisi di tipo spirituale e morale, che ha lasciato l’uomo senza valori e indifeso di fronte all’ambizione e all’egoismo di certi poteri che non tengono conto del bene autentico delle persone e delle famiglie. Non si può proseguire a lungo nella stessa direzione culturale e morale che ha causato la dolorosa situazione che tanti sperimentano. Al contrario, il vero progresso necessita di un’etica che collochi al centro la persona umana e tenga conto delle sue esigenze più autentiche, in modo speciale della sua dimensione spirituale e religiosa. Per questo, nel cuore e nella mente di molti, si fa strada sempre di più la certezza che la rigenerazione delle società e del mondo richiede uomini retti e di ferme convinzioni morali e alti valori di fondo che non siano manipolabili da interessi limitati, e che rispondano alla natura immutabile e trascendente dell’essere umano.

 Cari amici, sono convinto che Cuba, in questo momento così importante della sua storia, sta guardando già al domani, e per questo si sforza di rinnovare e ampliare i suoi orizzonti; a ciò coopererà quell’immenso patrimonio di valori spirituali e morali che hanno plasmato la sua identità più genuina, e che si trovano scolpiti nell’opera e nella vita di molti insigni padri della patria, come il Beato José Olallo y Valdés, il Servo di Dio Félix Varela o l’insigneJosé Martí. La Chiesa, da parte sua, ha saputo contribuire con impegno alla promozione di tali valori mediante la sua generosa e instancabile missione pastorale, e rinnova i suoi propositi di continuare a lavorare senza tregua per servire meglio tutti i cubani.

 Prego il Signore che benedica con abbondanza questa terra e i suoi figli, in particolare quelli che si sentono svantaggiati, gli emarginati e quanti soffrono nel corpo e nello spirito, affinché, per intercessione della Nostra Signora della Carità del Cobre, conceda a tutti un futuro pieno di speranza, di solidarietà e di concordia. Molte grazie.

Santa Messa in occasione del 400° anniversario del ritrovamento della Virgen de la Caridad del Cobre (Piazza Antonio Maceo – Santiago de Cuba, 26 marzo 2012)

 Cari fratelli e sorelle!

 Rendo grazie a Dio che mi ha permesso di venire tra voi e realizzare questo viaggio così desiderato. Saluto Mons. Dionisio García Ibáñez, Arcivescovo di Santiago di Cuba, ringraziandolo per le sue cortesi parole di accoglienza a nome di tutti; saluto, allo stesso tempo, i Vescovi cubani e quelli venuti da altri luoghi, come pure i sacerdoti, i religiosi, i seminaristi e i fedeli laici presenti a questa celebrazione. Non posso dimenticare quanti non hanno potuto essere qui per malattia, età o altre ragioni. Saluto inoltre le autorità che hanno voluto gentilmente accompagnarci.

 Questa Santa Messa, che ho la gioia di presiedere per la prima volta nella mia Visita pastorale a questo Paese, si inserisce nel contesto dell’anno giubilare mariano, convocato per onorare la Vergine della Carità del Cobre, Patrona di Cuba, nel quattrocentesimo anniversario della scoperta e presenza della sua venerata immagine in queste terre benedette. Non ignoro il sacrificio e la dedizione con cui è stato preparato questo giubileo, specialmente nell’aspetto spirituale. Mi ha riempito di emozione conoscere il fervore con il quale Maria è stata salutata e invocata da tanti cubani, nella sua peregrinazione per tutti gli angoli e i luoghi dell’Isola.

 Questi eventi importanti della Chiesa in Cuba vengono illuminati con inusitato splendore dalla festa che oggi celebra la Chiesa universale: l’Annunciazione del Signore alla Vergine Maria. In effetti, l’Incarnazione del Figlio di Dio è il Mistero centrale della fede cristiana, e in esso Maria occupa un posto di prim’ordine. Però, qual è il significato di questo Mistero? E qual è l’importanza che ha per la nostra vita concreta?

 Vediamo anzitutto cosa significa l’Incarnazione. Nel Vangelo di san Luca abbiamo ascoltato le parole dell’angelo a Maria: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). In Maria, il Figlio di Dio si fa uomo, si compie così la profezia di Isaia: «Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele» (Is 7,14). Sì, Gesù, il Verbo fatto carne, è il Dio-con-noi, che è venuto ad abitare tra noi e a condividere la nostra stessa condizione umana. L’apostolo san Giovanni lo esprime nel modo seguente: «E il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). L’espressione «si fece carne» indica la realtà umana più concreta e tangible. In Cristo, Dio è venuto realmente nel mondo, è entrato nella nostra storia, ha posto la sua dimora in mezzo a noi, adempiendo così l’intima aspirazione dell’essere umano che il mondo sia realmente una casa per l’uomo. Al contrario, quando Dio è estromesso, il mondo si trasforma in un luogo inospitale per l’uomo, frustrando, nello stesso tempo, la vera vocazione della creazione di essere lo spazio per l’alleanza, per il «sì» dell’amore tra Dio e l’umanità che gli risponde. Così ha fatto Maria, come primizia dei credenti, con il suo «sì» al Signore, senza riserve.

 Per questo, contemplando il Mistero dell’Incarnazione non possiamo tralasciare di rivolgere i nostri occhi a Lei, per riempirci di stupore, di gratitudine e d’amore al vedere come il nostro Dio, entrando nel mondo, ha voluto fare affidamento sul consenso libero di una sua creatura. Solo quando la Vergine ha risposto all’angelo: «Ecco sono la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38), a partire da quel momento, il Verbo eterno del Padre iniziò la sua esistenza umana nel tempo. E’ commovente vedere come Dio non solo rispetta la libertà umana, ma sembra averne bisogno. E vediamo anche come l’inizio dell’esistenza terrena del Figlio di Dio è segnato da un doppio «sì» alla volontà salvifica del Padre: quello di Cristo e quello di Maria. Questa obbedienza a Dio è quella che apre le porte del mondo alla verità, alla salvezza. In effetti, Dio ci ha creati come frutto del suo amore infinito; per questo, vivere secondo la sua volontà è il cammino per trovare la nostra autentica identità, la verità del nostro essere, mentre allontanarsi da Dio ci allontana da noi stessi e ci precipita nel vuoto. L’obbedienza nella fede è la vera libertà, l’autentica redenzione, che ci permette di unirci all’amore di Gesù nel suo sforzo di conformarsi alla volontà del Padre. La redenzione è sempre questo processo di condurre la volontà umana alla piena comunione con la volontà divina (cfr Lectio divina con i parroci di Roma, 18 febbraio 2010).

 Cari fratelli, oggi lodiamo la Vergine Santissima per la sua fede e con Santa Elisabetta le diciamo anche noi: «Beata colei che ha creduto» (Lc 1,45). Come dice Sant’Agostino, Maria concepì Cristo prima nel suo cuore con la fede, che fisicamente nel suo grembo; Maria credette e si compì in Lei ciò che credeva (cfr Sermo 215, 4: PL 38,1074). Preghiamo il Signore che aumenti la nostra fede, che la renda attiva e feconda nell’amore. Chiediamogli di essere capaci, come Lei, di accogliere nel nostro cuore la Parola di Dio e praticarla con docilità e costanza.

 La Vergine Maria, per il suo ruolo insostituibile nel Mistero di Cristo, rappresenta l’immagine e il modello della Chiesa. Anche la Chiesa, come fece la Madre di Cristo, è chiamata ad accogliere in sé il Mistero di Dio che viene ad abitare in essa. Cari fratelli, so con quanto sforzo, audacia e abnegazione lavorate ogni giorno affinché, nelle circostanze concrete del vostro Paese, e in questo momento storico, la Chiesa rifletta sempre più il suo vero volto come luogo nel quale Dio si avvicina e incontra gli uomini. La Chiesa, corpo vivo di Cristo, ha la missione di prolungare sulla terra la presenza salvifica di Dio, di aprire il mondo a qualcosa di più grande di se stesso, all’amore e alla luce di Dio. Vale la pena, cari fratelli, dedicare tutta la vita a Cristo, crescere ogni giorno nella sua amicizia e sentirsi chiamati ad annunciare la bellezza e la bontà della propria vita a tutti gli uomini, nostri fratelli. Vi incoraggio nel vostro compito di seminare il mondo con la parola di Dio e di offrire a tutti l’alimento vero del corpo di Cristo. Nell’approssimarsi della Pasqua, decidiamoci senza timori né complessi a seguire Gesú nel suo cammino verso la croce. Accettiamo con pazienza e fede qualsiasi contrarietà o afflizione, con la convinzione che, nella sua risurrezione, Egli ha sconfitto il potere del male che tutto oscura e ha fatto germogliare un mondo nuovo, il mondo di Dio, della luce, della verità e della gioia. Il Signore non smetterà di benedire con frutti abbondanti la generosità del vostro impegno.

 Il Mistero dell’Incarnazione, nel quale Dio si fa vicino a noi, ci mostra anche la dignità incomparabile di ogni vita umana. Per questo, nel suo progetto di amore, fin dalla creazione, Dio ha affidato alla famiglia fondata sul matrimonio l’altissima missione di essere cellula fondamentale della società e vera Chiesa domestica. Con questa certezza, voi, cari sposi, dovete essere, in modo speciale per i vostri figli, segno reale e visibile dell’amore di Cristo per la Chiesa. Cuba necessita della testimonianza della vostra fedeltà, della vostra unità, della vostra capacità di accogliere la vita umana, specialmente la più indifesa e bisognosa.

 Cari fratelli, davanti allo sguardo della Vergine della Carità del Cobre, desidero fare un appello perché diate nuovo vigore alla vostra fede, viviate di Cristo e per Cristo, e, con le armi della pace, del perdono e della comprensione, vi impegnate a costruire una società aperta e rinnovata, una società migliore, più degna dell’uomo, che rifletta maggiormente la bontà di Dio. Amen.

Visita al Santuario della Virgen de la Caridad del Cobre (Santiago de Cuba, 27 marzo 2012)

Cari fratelli e sorelle!

Sono venuto come pellegrino fino alla casa dell’immagine benedetta di Nostra Signora della Carità, “la Mambisa”, come la invocate affettuosamente. La sua presenza in questo paese di El Cobre è un regalo del Cielo per i cubani.

Desidero salutare cordialmente quanti sono qui presenti. Ricevete l’affetto del Papa e portatelo dappertutto, perché tutti sperimentino la consolazione e la fortezza nella fede. Fate sapere a quanti incontrate, vicini o lontani, che ho affidato alla Madre di Dio il futuro della vostra Patria, affinché avanzi nel cammino di rinnovamento e di speranza, per il maggior bene di tutti i cubani. Ho pregato la Vergine Santissima anche per le necessità di coloro che soffrono, di coloro che sono privi di libertà, lontani dalle persone care o vivono gravi momenti di difficoltà. Ho posto, allo stesso tempo, nel suo Cuore Immacolato i giovani, affinché siano autentici amici di Cristo e non cedano alle proposte che lasciano tristezza dietro di sè. Davanti a Maria della Carità, mi sono ricordato anche, in modo particolare, dei cubani discendenti di coloro che giunsero qui dall’Africa, come pure della vicina popolazione di Haiti, che soffre ancora delle conseguenze del ben conosciuto terremoto di due anni fa. E non ho dimenticato i molti contadini e le loro famiglie, che desiderano vivere intensamente nelle loro case il Vangelo, e offrono anche le loro case come centri di missione per la celebrazione dell’Eucaristia.

Sull’esempio della Santissima Vergine, incoraggio tutti i figli di questa cara terra a continuare a fondare la vita sulla roccia salda che è Gesù Cristo, a lavorare per la giustizia, ad essere servitori della carità e perseveranti in mezzo alle prove. Che niente e nessuno vi sottragga la gioia interiore, così caratteristica dell’animo cubano. Che Dio vi benedica. Molte grazie.

Santa Messa nella Plaza de la Revolución (La Habana, 28 marzo 2012)

 

Cari fratelli e sorelle!

«Benedetto sei tu, Signore Dio… Benedetto il tuo nome glorioso e santo» (Dn 3, 52). Questo inno di benedizione del Libro di Daniele risuona oggi nella nostra liturgia invitandoci ripetutamente a benedire e lodare Dio. Siamo parte della moltitudine di quel coro che celebra il Signore incessantemente. Ci uniamo a questo insieme di azioni di grazie, ed offriamo la nostra voce gioiosa e fiduciosa che cerca di consolidare nell’amore e nella verità il cammino della fede.

«Benedetto sia Dio» che ci riunisce in questa piazza emblematica, affinché ci immergiamo più profondamente nella sua vita. Provo una grande gioia nell’essere oggi tra voi e presiedere questa Santa Messa nel cuore di questo Anno giubilare dedicato alla Vergine della Carità del Cobre.

Saluto cordialmente il Cardinale Jaime Ortega y Alamino, Arcivescovo di L’Avana, e lo ringrazio per le cordiali parole che mi ha rivolto a nome di tutti. Estendo il mio saluto ai Signori Cardinali, ai miei fratelli Vescovi di Cuba e di altri Paesi che hanno voluto partecipare a questa solenne celebrazione. Saluto anche i sacerdoti, i seminaristi, i religiosi e tutti i fedeli qui convenuti, come pure le Autorità che ci accompagnano.

Nella prima lettura che è stata proclamata, i tre giovani, perseguitati dal sovrano babilonese, preferiscono affrontare la morte bruciati dal fuoco piuttosto che tradire la loro coscienza e la loro fede. Essi trovarono la forza di «lodare, glorificare e benedire Dio» nella convinzione che il Signore del cosmo e della storia non li avrebbe abbandonati alla morte ed al nulla. In effetti, Dio non abbandona mai i suoi figli, non li dimentica mai. Egli sta al di sopra di noi ed è capace di salvarci con il suo potere. Allo stesso tempo, è vicino al suo popolo, e per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo ha voluto porre la sua dimora tra noi.

«Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31). Nel brano del Vangelo che è stato proclamato, Gesù si rivela come il Figlio di Dio Padre, il Salvatore, l’unico che può mostrare la verità e dare la vera libertà. Il suo insegnamento provoca resistenza ed inquietudine tra i suoi interlocutori, ed Egli li accusa di cercare la sua morte, alludendo al supremo sacrificio della Croce, ormai vicino. Ma li esorta a credere, a rimanere nella sua Parola, per conoscere la verità che redime ed onora.

In effetti, la verità è un anelito dell’essere umano, e cercarla suppone sempre un esercizio di autentica libertà. Molti, tuttavia, preferiscono le scorciatoie e cercano di evitare questo compito. Alcuni, come Ponzio Pilato, ironizzano sulla possibilità di poter conoscere la verità (cfr Gv 18,38), proclamando l’incapacità dell’uomo di raggiungerla o negando che esista una verità per tutti. Questo atteggiamento, come nel caso dello scetticismo e del relativismo, produce un cambiamento nel cuore, rendendo freddi, vacillanti, distanti dagli altri e rinchiusi in se stessi. Persone che si lavano le mani come il governatore romano e lasciano correre il fiume della storia senza compromettersi.

D’altra parte, ci sono altri che interpretano male questa ricerca della verità, portandoli all’irrazionalità e al fanatismo, per cui si rinchiudono nella «loro verità» e cercano di imporla agli altri. Sono come quei legalisti accecati che, vedendo Gesù colpito e sanguinante, gridano infuriati: «Crocifiggilo!» (cfr  Gv 19,6). In realtà, chi agisce irrazionalmente non può arrivare ad essere discepolo di Gesù. Fede e ragione sono necessarie e complementari nella ricerca della verità. Dio ha creato l’uomo con un’innata vocazione alla verità e per questo lo ha dotato di ragione. Certamente non è l’irrazionalità, ma l’ansia della verità quello che promuove la fede cristiana. Ogni essere umano deve scrutare la verità ed optare per essa quando la trova, anche a rischio di affrontare sacrifici.

Inoltre, la verità sull’uomo è un presupposto ineludibile per raggiungere la libertà, perché in essa scopriamo i fondamenti di un’etica con la quale tutti possono confrontarsi e che contiene formulazioni chiare e precise sulla vita e la morte, i doveri ed i diritti, il matrimonio, la famiglia e la società, in definitiva, sulla dignità inviolabile dell’essere umano. Questo patrimonio etico è quello che può avvicinare tutte le culture, i popoli e le religioni, le autorità e i cittadini, e i cittadini tra loro, e i credenti in Cristo con coloro che non credono in Lui.

Il Cristianesimo, ponendo in risalto i valori che sostengono l’etica, non impone, ma propone l’invito di Cristo a conoscere la verità che rende liberi. Il credente è chiamato a rivolgerlo ai suoi contemporanei, come lo fece il Signore, anche davanti all’oscuro presagio del rifiuto e della Croce. L’incontro personale con Colui che è la verità in persona ci spinge a condividere questo tesoro con gli altri, specialmente con la testimonianza.

Cari amici, non esitate a seguire Gesù Cristo. In Lui troviamo la verità su Dio e sull’uomo. Egli ci aiuta a sconfiggere i nostri egoismi, ad uscire dalle nostre ambizioni e a vincere ciò che ci opprime. Colui che opera il male, colui che commette peccato, è schiavo del peccato e non raggiungerà mai la libertà (cfr Gv 8,34). Solo rinunciando all’odio e al nostro cuore indurito e cieco, saremo liberi, ed una nuova vita germoglierà in noi.

Con la ferma convinzione che Cristo è la vera misura dell’uomo, e sapendo che in Lui si trova la forza necessaria per affrontare ogni prova, desidero annunciarvi apertamente il Signore Gesù come Via, Verità e Vita. In Lui tutti troveranno la piena libertà, la luce per capire in profondità la realtà e trasformarla con il potere rinnovatore dell’amore.

La Chiesa vive per rendere partecipi gli altri dell’unica cosa che possiede, e che non è altro che Cristo stesso, speranza della gloria (cfr Col 1,27). Per poter svolgere questo compito, essa deve contare sull’essenziale libertà religiosa, che consiste nel poter proclamare e celebrare anche pubblicamente la fede, portando il messaggio di amore, di riconciliazione e di pace, che Gesù portò al mondo. E’ da riconoscere con gioia che sono stati fatti passi in Cuba affinché la Chiesa compia la sua ineludibile missione di annunciare pubblicamente ed apertamente la sua fede. Tuttavia, è necessario proseguire, e desidero incoraggiare le autorità governative della Nazione a rafforzare quanto già raggiunto ed a proseguire in questo cammino di genuino servizio al bene comune di tutta la società cubana.

Il diritto alla libertà religiosa, sia nella sua dimensione individuale sia in quella comunitaria, manifesta l’unità della persona umana che è, nel medesimo tempo, cittadino e credente. Legittima anche che i credenti offrano un contributo all’edificazione della società. Il suo rafforzamento consolida la convivenza, alimenta la speranza in un mondo migliore, crea condizioni propizie per la pace e per lo sviluppo armonioso e, contemporaneamente, stabilisce basi solide sulle quali assicurare i diritti delle generazioni future.

Quando la Chiesa mette in risalto questo diritto, non sta reclamando alcun privilegio. Pretende solodi essere fedele al mandato del suo divino Fondatore, cosciente che dove Cristo si rende presente, l’uomo cresce in umanità e trova la sua consistenza. Per questo, essa cerca di offrire questa testimonianza nella sua predicazione e nel suo insegnamento, sia nella catechesi come negli ambienti formativi ed universitari. È da sperare che presto giunga anche qui il momento in cui la Chiesa possa portare nei vari campi del sapere i benefici della missione che il suo Signore le ha affidato e che non può mai trascurare.

Esempio illustre di questo lavoro fu l’insigne sacerdote Félix Varela, educatore e maestro, figlio illustre di questa città di L’Avana che è passato alla storia di Cuba come il primo che ha insegnato al suo popolo a pensare. Il Padre Varela ci presenta la strada per una vera trasformazione sociale: formare uomini virtuosi per forgiare una nazione degna e libera, poiché questa trasformazione dipenderà dalla vita spirituale dell’uomo; infatti, «non c’è patria senza virtù» (Lettere ad Elpidio, lettera sesta, Madrid 1836, 220). Cuba ed il mondo hanno bisogno di cambiamenti, ma questi ci saranno solo se ognuno è nella condizione di interrogarsi sulla verità e si decide a intraprendere il cammino dell’amore, seminando riconciliazione e fraternità.

Invocando la materna protezione di Maria Santissima, chiediamo che ogni volta che partecipiamo all’Eucaristia diventiamo anche testimoni della carità che risponde al male con il bene (cfr Rm 12, 21), offrendoci come ostia viva a chi con amore offrì se stesso per noi. Camminiamo alla luce di Cristo, che può disperdere la tenebra dell’errore. Supplichiamolo che, con il valore e il vigore dei santi, giungiamo a dare una risposta libera, generosa e coerente a Dio, senza paure, né rancori. Amen.

Cerimonia di congedo nell’Aeroporto Internazionale José Martí (La Habana, 28 marzo 2012)

Signor Presidente, Signori Cardinali e cari Fratelli nell’Episcopato, distinte Autorità, Signore e Signori, amici tutti,

Rendo grazie a Dio che mi ha permesso di visitare questa bella Isola, che ha lasciato un segno così profondo nel cuore del mio amato Predecessore, il beato Giovanni Paolo II, quando venne in queste terre come messaggero della verità e della speranza. Anch’io ho desiderato ardentemente di venire tra voi come pellegrino della carità, per ringraziare la Vergine Maria per la presenza della sua venerata immagine del Santuario del Cobre, dal quale, da quattro secoli, accompagna il cammino della Chiesa in questa Nazione ed infonde coraggio a tutti i cubani, affinché, dalla mano di Cristo, scoprano il vero senso delle ansie e dei desideri che annidano nel cuore umano, e abbiano la forza necessaria per costruire una società solidale, nella quale nessuno si senta escluso. «Cristo, che è risorto dai morti, brilla in questo mondo, e lo fa nel modo più chiaro proprio là dove secondo il giudizio umano tutto sembra cupo e privo di speranza. Egli ha vinto la morte – Egli vive – e la fede in Lui penetra come una piccola luce tutto ciò che è buio e minaccioso» (Veglia di preghiera coi giovani, Fiera di Friburgo di Brisgovia, 24 settembre 2011).

Ringrazio il Signor Presidente e le altre Autorità del Paese per l’interesse e la generosa collaborazione prestata per il positivo svolgimento di questo Viaggio. La mia viva gratitudine va anche ai Membri della Conferenza dei Vescovi Cattolici di Cuba che non hanno lesinato sforzi e sacrifici per questo stesso fine, come pure a quanti hanno offerto il loro contribuito, in vario modo, in particolare con la preghiera.

Porto nell’intimo del mio cuore tutti e ciascuno dei cubani, che mi hanno circondato con la loro preghiera e il loro affetto, offrendomi una cordiale ospitalità e facendomi partecipe delle loro più profonde e giuste aspirazioni.

Sono venuto qui come testimone di Gesù Cristo, nella ferma convinzione che, dove Egli arriva, lo scoraggiamento lascia il posto alla speranza, la bontà allontana le incertezze, ed una forza vigorosa apre l’orizzonte a inusitate e benefiche prospettive. Nel suo Nome, e come Successore dell’Apostolo Pietro, ho voluto ricordare il suo Messaggio di salvezza perché rafforzi l’entusiasmo e la sollecitudine dei Vescovi cubani, come pure dei loro sacerdoti, dei religiosi e di coloro che si preparano con impegno al ministero sacerdotale e alla vita consacrata. Che serva anche come nuovo impulso a quanti cooperano, con costanza ed abnegazione, nell’opera di evangelizzazione, specialmente ai fedeli laici, affinché, intensificando la loro dedizione a Dio negli ambienti di vita e nel lavoro, non si stanchino di offrire con responsabilità il loro apporto al bene e al progresso integrale della patria.

Il cammino che Cristo propone all’umanità, e ad ogni persona e popolo in particolare, non la coarta in nulla, anzi è il fattore primo e principale per il suo autentico sviluppo. La luce del Signore, che ha brillato con fulgore in questi giorni, non si spenga in chi l’ha accolta ed aiuti tutti a rafforzare la concordia e a far fruttificare il meglio dell’anima cubana, i suoi valori più nobili, sui quali è possibile fondare un società di ampi orizzonti, rinnovata e riconciliata. Che nessuno si senta impedito a prendere parte a questo appassionante compito, per limitazione delle proprie libertà fondamentali, né si senta esonerato da esso, per negligenza o carenza di mezzi materiali. Situazione che risulta aggravata quando misure economiche restrittive imposte dal di fuori del Paese pesano negativamente sulla popolazione.

Concludo qui il mio pellegrinaggio, ma continuerò a pregare ardentemente affinché continuiate il vostro cammino e Cuba sia la casa di tutti e per tutti i cubani, dove convivano la giustizia e la libertà, in un clima di serena fraternità. Il rispetto e la cura della libertà che palpita nel cuore di ogni uomo è imprescindibile per rispondere in modo adeguato alle esigenze fondamentali della sua dignità, e costruire così una società nella quale ciascuno si senta protagonista indispensabile del futuro della propria vita, della propria famiglia e della propria patria.

L’ora presente reclama in modo urgente che, nella convivenza umana, nazionale ed internazionale, si eliminino posizioni inamovibili ed i punti di vista unilaterali che tendono a rendere più ardua l’intesa ed inefficace lo sforzo di collaborazione. Le eventuali discrepanze devono essere risolte ricercando, senza stancarsi, ciò che unisce tutti, con un dialogo paziente e sincero e una volontà sincera di ascolto che accolga obiettivi portatori di nuove speranze.

Cuba, ravviva in te la fede dei tuoi padri! Prendi da questa fede la forza per edificare un avvenire migliore, abbi fiducia nelle promesse del Signore, apri il tuo cuore al suo Vangelo per rinnovare in modo autentico la vita personale e sociale.

Mentre vi rivolgo il mio commosso addio, chiedo a Nostra Signora della Carità del Cobre che protegga col suo manto tutti i cubani, li sostenga in mezzo alle prove e ottenga dall’Onnipotente la grazia che maggiormente desiderano. Hasta siempre, Cuba, terra impreziosita dalla presenza materna di Maria. Che Dio benedica il tuo futuro. Molte grazie.

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