Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarlo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura. E’ il forte ammonimento con cui il Papa ha concluso oggi l’atteso discorso al mondo della cultura, pronunciato al Collège de Bernardins (testo integrale). Due i riferimenti che hanno attraversato tutto il discorso: la cultura monastica e gli scritti di san Paolo, entrambi orientati al Quaerere Deum, al mettersi alla ricerca di Dio: il vero atteggiamento filosofico, che consiste nel guardare oltre le cose penultime e mettersi in ricerca di quelle ultime, vere. E proprio il Quaerere Deum ha collegato idealmente l’inizio e la fine del discorso papale. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stesa, ha detto Benedetto XVI riferendosi alla natura del monachesimo occidentale. Quaerere Deum cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo è oggi non meno necessario che in tempi passati, ha aggiunto sul finale.Le origini della teologia occidentale e le radici della cultura europea sono legate alla cultura monastica, all’attività cioè dei monaci che erano alla ricerca di Dio. Lo ha detto oggi il Papa, all’inizio del suo discorso al Collége des Bernardins, voluto dal card. Lustiger come centro di dialogo tra la sapienza cristiana e le correnti culturali intellettuali e artistiche dell’attuale società, ha ricordato Benedetto XVI, che ha ringraziato anche i delegati della comunità musulmana francese per aver accettato di partecipare a questo incontro, e ai quali ha rivolto i suoi migliori auguri per il ramadan in corso. La ricerca di Dio richiede per intrinseca esigenza una cultura della parola, ha spiegato il Papa, che si è soffermato anche sul significato autentico del termine erudizione: una formazione con l’obiettivo ultimo che l’uomo impari a servire Dio, che comporta anche la formazione della ragione, in base alla quale l’uomo impara a percepire, in mezzo alle parole, la Parola. Importanti anche la musica e il canto, perché la cultura del canto è anche cultura dell’essere, e da tale vera bellezza è nata la grande musica occidentale. Canti mal eseguiti, per il Papa, fanno precipitare l’uomo nella zona della dissimilitudine, una lontananza da Dio in cui l’uomo diventa dissimile non solo da Dio, ma anche da se stesso.Sarebbe fatale se la cultura europea di oggi potesse comprendere la libertà ormai solo come la mancanza totale di legami e con ciò favorisse inevitabilmente il fanatismo e l’arbitrio. Mancanza di legame e arbitrio non sono la libertà, ma la sua distruzione. A puntualizzarlo è stato il Papa, che nel discorso al mondo della cultura ha citato gli scritti di san Paolo (in particolare 2 Cor 3, 17) per spiegare come con la parola sullo Spirito e sulla libertà si schiude un vasto orizzonte, ma allo stesso tempo si pone un chiaro limite all’arbitrio e alla soggettività. Per Benedetto XVI, infatti, il cristianesimo non è semplicemente una religione del libro, perché percepisce nelle parole la Parola, il Logos stesso: questa struttura particolare della Bibbia, che è una sfida sempre nuova per ogni generazione, esclude tutto ciò che oggi viene chiamato fondamentalismo. Lo Spirito è Cristo, e Cristo è il Signore che ci indica la strada, ha aggiunto Benedetto XVI, secondo il quale questa tensione tra legame e libertà, che va ben oltre il problema letterario dell’interpretazione della Scrittura, ha determinato anche il pensiero e l’operare del monachesimo e ha profondamente plasmato la cultura occidentale. Essa ha proseguito – si pone nuovamente anche alla nostra generazione come sfida di fronte ai poli dell’arbitrio soggettivo, da una parte, e del fanatismo fondamentalista, dall’altra. Del monachesimo fa parte, insieme con la cultura della parola, una cultura del lavoro, senza la quale lo sviluppo dell’Europa, il suo ethos e la sua formazione del mondo sono impensabili. Accanto alla cultura della parola, secondo il Papa il nostro continente ha bisogno di una cultura del lavoro, ed è lungo questo binomio che si è articolato il discorso del Papa al Collége des Bernardins. Questo éthos ha puntualizzato il Santo Padre soffermandosi sul significato della cultura del lavoro – dovrebbe però includere la volontà di far sì che il lavoro e la determinazione della storia da parte dell’uomo siano un collaborare con il Creatore, prendendo da Lui la misura. Dove questa misura viene a mancare e l’uomo eleva se stesso a creatore deiforme ha ammonito il Pontefice – la formazione del mondo può facilmente trasformarsi nella sua distruzione. Il Dio cristiano, dunque, è ne diverso dal dio del mondo greco-romano, che non consoceva alcun Dio Creatore e la cui divinità suprema non pooteva sporcarsi le mani con la reazione della materia. Nella concezione cristiana, invece, Dio lavora; continua a lavorare nella e sulla storia degli uomini. In Cristo Egli entra come Persona nel lavoro faticoso della storia. Dio stesso è il Creatore del mondo, e la creazione non è ancora finita.I cristiani della Chiesa nascente non hanno considerato il loro annuncio missionario come una propaganda, che doveva servire ad aumentare il proprio gruppo, ma come una necessità intrinseca che derivava dalla natura della loro fede: il Dio nel quale credevano era il Dio di tutti, il Dio uno e vero che si era mostrato nella storia d’Israele e infine nel suo Figlio, dando con ciò la risposta che riguardava tutti e che, nel loro intimo, tutti gli uomini attendono. E’ la parte del discorso del Papa dedicata all’universalità dell’annuncio cristiano, in stretta relazione con l’universalità della ragione presente nell’animo umano. L’universalità di Dio e l’universalità della ragione aperta verso di Lui ha spiegato infatti Benedetto XVI – costituivano per loro la motivazione e insieme il dovere dell’annuncio. Per loro la fede non apparteneva alla consuetudine culturale, che a seconda dei popoli è diversa, ma all’ambito della verità che riguarda ugualmente tutti. Per il cristianesimo, in altre parole, deve esserci l’annuncio che si rivolge all’uomo creando così in lui una convinzione che può trasformarsi in vita. L’espressione classica di questa necessità della fede cristiana di rendersi comunicabile agli altri sta nella lettera di Pietro: Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione (logos) della speranza che è in voi.All’origine di tutte le cose deve esserci non l’irrazionalità, ma la Ragione creativa; non il cieco caso, ma la libertà. Lo ha detto il Papa, che nella parte finale del discorso al mondo della cultura ha fatto notare che la cosa nuova dell’annuncio cristiano è la possibilità di dire ora a tutti i popoli: Egli si è mostrato. Ma questo non è un fatto cieco, bensì un fatto ragionevole, che ha bisogno dell’umiltà della ragione per essere accolto, dell’ umiltà dell’uomo che risponde all’umiltà di Dio. Di qui la perenne attualità dell’annuncio cristiano, il cui schema fondamentale si trova nel discorso di san Paolo all’ Areopago, e l’analogia, pur nella differenza, tra la nostra situazione di oggi e quella che incontrò san Paolo ad Atene: Le nostre città ha concluso il Papa – non sono più piene di are ed immagini di molteplici divinità. Per molti, Dio è diventato veramente il grande Sconosciuto. Ma come allora dietro le numerose immagini degli dèi era nascosta e presente la domanda circa il Dio ignoto, così anche l’attuale assenza di Dio è tacitamente assillata dalla domanda che riguarda Lui.Sir