Vita Chiesa
Benedetto XVI, il papa musicista
Mi ha sempre colpito, ascoltando interviste, conferenze o leggendo i suoi testi, come il cardinal Joseph Ratzinger ora papa Benedetto XVI ha sempre parlato della musica e dei musicisti con particolare passione, soprattutto nella concezione argomentata dell’arte a partire dal fondamento teologico della Musica. La mia impressione positiva non era legata solo alla chiarezza dei contenuti e alla sistematicità dell’argomento, ma soprattutto a quella sua ricorrente sottolineatura generale dell’intrinseco legame tra Musica e Liturgia.
Possiamo provare a rintracciare nella sua vita, e soprattutto nel suo ritratto privato, le ragioni di questo interesse per la musica. Fin da ragazzino Joseph Ratzinger studia il pianoforte, un passatempo condiviso con il fratello maggiore Georg, il quale dirige cori parrocchiali prima di divenire per decenni direttore della Cappella del Duomo di Ratisbona. La musica è una passione di famiglia che Joseph ha continuato a coltivare lungo la sua vita: anche da cardinale, alla Domaine «La Bergerie» in Alta Savoia suona al pianoforte musiche di Mozart e Chopin, come ben documentano le fotografie del settembre 1988. E proprio nei giorni scorsi, Joseph Ratzinger, divenuto papa il 19 aprile, ha voluto che nell’appartamento del palazzo apostolico gli venisse sistemato il «suo» pianoforte per potervi ancora suonare almeno i suoi due autori preferiti: Mozart e Beethoven. E così immaginiamo il papa, al termine di una impegnativa giornata, suonare come distensione il suo pianoforte nell’appartamento privato Certamente l’eco di quelle note non giungerà mai al nostro orecchio, ma la sua concezione estetica ed il discorso filosofico sull’arte ci appaiono ormai chiari grazie all’abbondanza dei suoi scritti e delle sue riflessioni.
Credo che la sua concezione estetica, filosofica e teologica della musica, si sia formata a partire dall’ambiente della sua terra natale, già fin dalla giovinezza: anch’egli ricorda il suo vecchio e primo messalino «Schott», tradotto nella lingua tedesca dall’abate benedettino di Beuron. In esso scrive Ratzinger nella sua autobiografia La mia vita «l’essenziale delle singole parti della liturgia veniva sintetizzato e reso accessibile ai bambini». Attraverso la lettura di quel libretto era «una avventura avvincente entrare nel misterioso mondo della liturgia che si svolgeva là sull’altare, davanti a noi e per noi. [ ] L’inesauribile realtà della liturgia cattolica accompagnerà tutte le fasi della mia vita».
Una eloquente frase di Ratzinger a questo proposito è la seguente: «Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita etsi Deus non daretur: come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta». È qui urgente per Ratzinger «un rinnovamento della coscienza liturgica, una riconciliazione liturgica, che torni a riconoscere l’unità della storia della liturgia e comprenda il Vaticano II [ ] come momento evolutivo». Secondo Ratzinger la misconoscenza del vero spirito della liturgia è inevitabilmente legata al crollo della dimensione culturale e viceversa. Per Ratzinger, insomma, anche la liturgia postconciliare risente di questa crisi: un confronto tra la visione ideale della Sacrosanctum Concilium («Nella liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste», SC n.8) e certa prassi liturgica che è sotto gli occhi di tutti è tale da rendere evidente la problematicità di una situazione: banalità linguistico-musicale, sciatteria, superficialità, dilettantismo ed ignoranza musicale…
L’analisi lucida di Ratzinger prosegue in profondità: «Nel frattempo, tuttavia, la spaccatura si fa più profonda. La seconda ondata della riforma liturgica spinge il problema sino a raggiungere i suoi fondamenti. Si tratta ora della natura dell’azione liturgica in quanto tale, delle sue basi antropologiche e teologiche. Il conflitto che investe la musica sacra è sintomatico e scopre un problema più profondo, e cioè: che cosa sia la liturgia». In questo quadro ci sembra di intuire lo sfondo della linea decisiva per un recupero ontologico della liturgia nella vita della Chiesa anche per i musicisti, in quel percorso di unità articolato tra sapiente innovazione e fiducia nella tradizione della Chiesa, nella consapevolezza della bellezza artistica intesa come riflesso dell’infinita bellezza del Creatore (come richiamato pure da Giovanni Paolo II nella «Lettera gli artisti» del 1999).
A questo proposito vorrei citare un’affermazione tratta dalla riflessione teologica che il card. Ratzinger scrisse per l’edizione 2002 del Meeting di Rimini: «Resta per me un’esperienza indimenticabile il concerto di Bach diretto da Leonard Bernstein a Monaco di Baviera dopo la precoce scomparsa di Karl Richter. Ero seduto accanto al vescovo evangelico Hanselmann. Quando l’ultima nota di una delle grandi Thomas-Kantor-Kantaten si spense trionfalmente, volgemmo lo sguardo spontaneamente l’uno all’altro e altrettanto spontaneamente ci dicemmo: Chi ha ascoltato questo, sa che la fede è vera. In quella musica era percepibile una forza talmente straordinaria di realtà presente da rendersi conto, non più attraverso deduzioni, bensì attraverso l’urto del cuore, che ciò non poteva avere origine dal nulla, ma poteva nascere solo grazie alla forza della verità che si attualizza nell’ispirazione del compositore».