La Costituzione Italiana all’art.1 considera il lavoro come elemento imprescindibile per la vita sociale. Professor Belletti, possiamo considerare ancora il lavoro la condizione necessaria per la convivenza civile?«L’articolo 1 della nostra Costituzione recita: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”, affermando poi che “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4) e che “la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme” (art. 35). Il lavoro è visto dunque come fondamento della convivenza civile, titolo d’appartenenza alla comunità nazionale e fattore d’unità e d’inclusione. Per questo deve essere tutelato e promosso, garantendo a tutti non solo l’accesso ma anche la dignità. Il Magistero sociale della Chiesa rafforza questa prospettiva e per certi versi la supera, ribadendo la centralità del lavoro non solo per il cittadino, ma per la persona umana nella sua interezza. Volendo limitarsi alla recente Enciclica “Laudato Si’”, il lavoro viene visto come elemento fondante dello sviluppo personale e della maturazione integrale dell’essere umano, con un valore che va dunque al di là del suo pur fondamentale ruolo di provvedere ai mezzi di sostentamento materiale della famiglia e di contribuire allo sviluppo della comunità e del Paese in cui si vive e alla vita sociale».Quale situazione sta vivendo l’economia locale e quale la situazione del lavoro nella nostra provincia?«La situazione dell’economia della nostra provincia è molto complessa e continua a presentare numerosi segnali di sofferenza. La ripresa, anche secondo le più recenti analisi dell’Irpet, si rivela più debole, fragile e frammentata del previsto. La provincia di Lucca non è esente dal ridimensionamento della base produttiva, dalla finanziarizzazione dell’economia e dalla contrazione dei bilanci familiari, con il conseguente aggravamento del fenomeno della povertà. In questo contesto, la situazione occupazionale è sicuramente difficile, sebbene molto complessa da analizzare a causa della frammentazione del mercato del lavoro e della molteplicità di figure e posizioni lavorative, introdotte dalle varie forme di flessibilizzazione. Peraltro, una riflessione approfondita su queste ultime è necessaria, in quanto più che facilitare l’inclusione lavorativa sembrano spesso avere favorito la precarizzazione di molti lavoratori; basti pensare in questo senso all’uso distorto dei voucher che è stato fatto in certi settori. Si osserva quella anche nel nostro territorio che papa Francesco ha più volte definito “economia dell’esclusione e della inequità” (ad es. nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium): pochi hanno molto (ricchezza, lavoro garantito, protezione sociale) e molti hanno poco e sempre meno, spinti a guadare il dito (gli altri “poveri”, percepiti come rivali o addirittura come causa della difficoltà) e non la luna (i meccanismi che generano le povertà e le ineguaglianze)».Molti giovani vengono classificati dagli studiosi sociali ed economisti come Neet (Not in education, employment or training). Quanti sono in Toscana? Quali sono le origini di questa situazione che coinvolge le giovani generazioni?«Quello dei giovani al di fuori dei circuiti sociali della scuola, del lavoro e della formazione, dunque dipendenti dall’aiuto dei genitori o dei nonni (quando è possibile), è forse il fenomeno più drammatico: una situazione di mancanza di autonomia, instabilità e sofferenza personale che rende difficile sviluppare un progetto di vita. Secondo le stime dell’Ufficio statistico della Provincia di Lucca nel 2015 era in situazione NEET circa il 25% dei giovani nella fascia di età 18-29 anni, ovvero 10 mila unità. Un numero impressionante, di cui la metà non risulta neppure in cerca di lavoro».Durante l’incontro promosso dall’Ufficio pastorale sociale e del lavoro ha proposto alcuni spunti di riflessione per individuare possibili percorsi di innovazione e inclusione lavorativa. Quali sono gli elementi principali della sua riflessione?«Ho tentato di individuare nel recente magistero della Chiesa alcuni spunti, che possiamo sintetizzare in tre punti. Primo, ripensare il modello di sviluppo produttivo, che implica ridefinizione dell’idea di progresso e di crescita, maggiore creatività, rispetto della natura e dell’ambiente (la tutela e valorizzazione dell’ambiente anche nel nostro territorio offre opportunità enormi di lavoro). Secondo, operare a livello politico sulle “strutture sociali di peccato” che, avendo perso il riferimento al bene comune e ponendo il denaro come unico criterio, rendono impossibile uno sviluppo giusto, inclusivo e sostenibile (pensiamo ad esempio alla tassazione delle rendite finanziarie speculative, o al ripensamento dell’idea di “diritto acquisito” che in un contesto di risorse scarse è sempre una negazione di un diritto altrui). In terzo luogo, a livello operativo e dentro i territori e le città, sostenere esperienze e segni che promuovano un lavoro che sia “libero, creativo, partecipativo e solidale”, per usare le parole della Evangelii Gaudium. Esperienze possibili e già in atto anche nel nostro territorio, come è emerso dalle testimonianze portate durante l’incontro in San Frediano».E, in effetti, durante l’incontro del 26 aprile scorso sono emerse le esperienze di Daccapo (un centro di riuso solidale, nel quale è possibile donare gli oggetti che non servono più, farli riparare, trasformarli e ricollocarli su un mercato solidale), Calafata (cooperativa agricola sociale), del «Red Planet Video Production», della Cooperativa sociale «Il Girasole» e infine realtà come il «Progetto Policoro».Per entrare in contatto con l’Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro, della Diocesi di Lucca, email: pasllucca@gmail.com