Arezzo - Cortona - Sansepolcro

Bassetti: «E’ intollerabile lo sfruttamento degli immigrati nelle aziende locali».

Giovani, «falsi profeti», sfruttamento dell’immigrazione nell’aretino e case fatiscenti pagate a peso d’oro. Sono alcuni temi affrontati dal vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, monsignor Gualtiero Bassetti, nelle omelie pronunciate oggi in occasione della solennità di San Donato, patrono della città di Arezzo e della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro. Due le celebrazioni presiedute da monsignor Bassetti: quella di questa mattina nel duomo di Arezzo intitolato proprio a San Donato e quella di questo pomeriggio nella pieve di Santa Maria, sempre nel centro di Arezzo, in cui sono conservate le reliquie del santo che è stato il secondo vescovo di Arezzo e che per la sua vasta e feconda opera di evangelizzazione è chiamato “apostolo della Tuscia”. Nelle riflessioni di monsignor Bassetti, il vescovo si dice preoccupato per i «mercenari» che sono « “impostori” della verità» e che insidiano soprattutto adolescenti e giovani. «Incontrando ogni anno migliaia di ragazzi – ha afferma il vescovo – mi accorgo che le nuove generazioni sono alla ricerca di un orientamento per la loro vita. La domanda di senso è costante. Purtroppo, le risposte che trovano non sono sempre autentiche e positive». Monsignor Bassetti spiega il suo pensiero. «Costantemente bersagliati da messaggi che li vorrebbero soltanto consumatori, con uno scarso senso critico, privi di un solido bagaglio culturale e omologati a stili di vita e comportamenti dettati da vertici ignoti, i nostri ragazzi si trovano davanti bivi in cui i falsi profeti li avviano verso strade facili ma senza sbocco». Poi il vescovo indica i pericoli che insidiano i giovani. «I modelli del successo facile presentati dai mass-media, le scorciatoie come l’uso dell’alcool e degli stupefacenti, le esperienze di ebbrezza e di piacere immediato come un’affettività mordi e fuggi, e il diffuso benessere che, nonostante i segnali di crisi economica, continua a esserci nell’aretino e ad essere percepito con facilità dai giovani rappresentano percorsi di soddisfazione “a basso prezzo”, dispensatori di felicità e di bellezza che non richiedono sforzi». Nella mente di monsignor Bassetti tornano i ragazzi che hanno partecipato alla Giornata mondiale della gioventù in Australia a luglio. «Come ho avuto modo di scrivere in un messaggio pubblicato dal settimanale diocesano Toscana Oggi, sia i giovani che vedo ogni giorno ad Arezzo, sia quelli che erano a Sydney sono in ricerca di una direzione sicura. Quelli della nostra amata terra, forse, non hanno ancora trovato l’autentica rotta che li faccia andare oltre il contingente. Quelli che erano alla Giornata mondiale della gioventù, invece, sono in cammino e possono contare su una guida sicura: il Papa, che li esorta ad essere profeti di una nuova era e costruttori di speranza». Quindi il monito del Vescovo che intravede il rischio di «deserto spirituale» che può tradursi in «vuoto interiore» e «paura indefinibile». Monsignor Bassetti annuncia che l’emergenza giovani sarà al centro del prossimo anno pastorale della diocesi che si aprirà a settembre. «Alla vigilia della festa della Madonna del Conforto chiedevo un “patto educativo” nel nome dei giovani, avvertendo l’urgenza di riproporre “una collaborazione proficua” a vasto raggio per affrontare la questione del disagio giovanile. La comunità cristiana di Arezzo-Cortona-Sansepolcro ha già compiuto un primo passo durante l’Assemblea diocesana di giugno e ha deciso di dedicare il nuovo anno pastorale agli adolescenti. Così è come se l’eredità di Sydney entrasse subito nell’agenda pastorale della diocesi e lo Spirito Santo invocato in Australia illuminasse fin dalle prossime settimane il cammino della nostra Chiesa locale». Altro tema toccato dal vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro è quello dell’immigrazione che, afferma monsignor Bassetti. «si fa sempre più urgente anche nel nostro comprensorio». Il vescovo ricorda che «l’atteggiamento cristiano è quello dell’accoglienza». E aggiunge: «Non possiamo voltare le spalle a chi giunge in Italia e tanto meno possiamo pensare che l’integrazione passi attraverso la creazione di “ghetti” per etnie o paesi di origine». Però anche l’immigrato è tenuto ad aprirsi alla realtà in cui vive. «Da parte di chi arriva ci si attende il rispetto delle regole della comunità in cui sceglie di stabilirsi e il riguardo per le tradizioni della terra che lo accoglie». Ma c’è un fenomeno che nell’aretino crea allarme. «E’ intollerabile – afferma monsignor Bassetti – la tentazione di sfruttamento della manodopera straniera priva dei diritti garantiti ai lavoratori italiani, spesso denunciata anche dalla stampa locale quando dà conto di operazioni delle forze dell’ordine che hanno portato alla scoperta di assunzioni a nero, di laboratori in cui gli immigrati dormono e allo stesso tempo sono costretti a lavorare anche quindici ora al giorno, di cantieri o aziende in cui allo straniero non vengono assicurate le condizioni minime di sicurezza, di salari ridotti all’osso. Si tratta di situazioni che ledono la dignità della persona umana e che sacrificano la giustizia sull’altare del profitto». Il Vescovo sottolinea che «la persona è il metro della dignità del lavoro». Legato alla questione immigrati, c’è l’emergenza abitazione. «Occorre anche fare in modo che a tutti sia garantito il diritto ad una casa dignitosa», afferma il vescovo. Il pensiero di monsignor Bassetti va a situazioni drammatiche. «Molto spesso ho avuto la percezione che case in condizioni estremamente fatiscenti vengono date in affitto a famiglie di immigrati, o anche a italiani indigenti, a prezzi fuori mercato e senza tenere in considerazione la capienza effettiva dell’abitazione. Si tratta di vicende dolorose che suscitano scandalo e condanna e che assumono la parvenza di una speculazione sulla pelle dei deboli e dei bisognosi». Nelle omelie il vescovo ha richiamato sia la figura di San Donato, che ha definito un «araldo della fede che ha vissuto nell’amore del Figlio di Dio e nel desiderio di trasmettere questo amore ai suoi fratelli, senza timore di affrontare la fatica, la lotta, la persecuzione e la sofferenza» e ha parlato dell’Anno Paolino, l’anno dedicato a San Paolo nel bimillenario della nascita dell’Apostolo delle genti, «per apprendere da lui, quale nostro maestro, “la fede e la verità”, in cui sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo». Monsignor Bassetti ha anche parlato della sua missione di vescovo. «Pregate, fratelli, perché anch’io, pur cosciente delle molte mie debolezze, possa imitare il nostro Patrono ed essere sempre fedele alla Chiesa di Cristo e al Vangelo, facendomi “modello del gregge”». Al termine monsignor Bassetti ha salutato i giovani che hanno partecipato a Homo Viator, il pellegrinaggio di una settimana a piedi sulle orme dei santi dell’aretino che è partito dalla Valtiberina e che è terminato nel duomo Arezzo, proprio per la solennità di San Donato. «Che l’esempio di san Paolo e di san Donato sia per tutti loro uno stimolo a conformare la loro esistenza a Cristo». Di seguito viene diffusa la sintesi delle omelie pronunciate oggi, 7 agosto 2008, dal vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, monsignor Gualtiero Bassetti, nelle celebrazioni per la solennità del patrono, San Donato. Carissimi fratelli e sorelle,la nostra Chiesa di Arezzo-Cortona-Sansepolcro è oggi in festa, mentre fa solenne memoria del dies natalis – cioè della nascita al cielo – di san Donato, suo celeste patrono. Secondo vescovo della nascente comunità cristiana aretina, resse per oltre vent’anni questa Cattedra in un’epoca di gravi sofferenze e difficoltà per coloro che abbracciavano la fede cristiana e chiedevano il Battesimo e fu instancabile annunciatore del Vangelo, come ricorda il tradizionale appellativo di “apostolo della Tuscia”.La Parola di Dio che è stata appena proclamata ci ha introdotti nell’odierna solennità presentandoci la figura del “Buon Pastore”, che è stata preannunciata ad Israele per bocca del profeta Ezechiele e cantata nel salmo 22 dal re Davide, e che è donata al mondo con l’incarnazione del Figlio di Dio. «Io sono il buon pastore» – dice Gesù nel Vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato – «Il buon pastore offre la vita per le pecore».Lo Spirito Santo ispira al profeta Ezechiele immagini di straordinaria efficacia per descrivere il Buon Pastore, capaci di evocare sentimenti di speranza e di fiducia nei nostri cuori fragili e disillusi, sovente pervasi dalle “nubi” e dalla “caligine” di cui parla la prima lettura. «Dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura», «le condurrò in ottime pasture e il loro ovile sarà sui monti alti d’Israele; là riposeranno in un buon ovile e avranno rigogliosi pascoli sui monti d’Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare». «Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita; fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia».I tratti del “Buon Pastore” del Vangelo di san Giovanni costituiscono il modello al quale ciascun vescovo – io per primo – è chiamato a conformare il proprio servizio alla Chiesa particolare che gli è affidata. A questi caratteri san Donato ispirò il proprio apostolato e anche se la tradizione non è molto ricca di particolari sul suo lungo ministero episcopale in Arezzo, concentrandosi piuttosto sul suo eroico martirio subito il 7 agosto dell’anno 304 durante le persecuzioni ordinate dall’imperatore Diocleziano, la grande venerazione da subito manifestata da tutto il popolo al nostro patrono e la straordinaria diffusione del Vangelo nelle nostre terre in coincidenza del suo episcopato, ne fanno un araldo della fede che ha vissuto nell’amore del Figlio di Dio e nel desiderio di trasmettere questo amore ai suoi fratelli, senza timore di affrontare la fatica, la lotta, la persecuzione e la sofferenza.San Donato, infatti, era consapevole che la chiamata all’annuncio della Verità, come successore degli apostoli, fosse al contempo e intrinsecamente una chiamata alla sofferenza nella comunione con Cristo che ci ha redenti mediante la sua Passione.Lo scorso 28 giugno, aprendo solennemente l’Anno Paolino indetto dal Papa in occasione dei duemila anni dalla nascita dell’Apostolo delle genti, Benedetto XVI ha inteso tratteggiare la figura di san Paolo soffermandosi, in particolare, sulla sua speciale vocazione all’annuncio del Vangelo. Avremo modo, nel corso di quest’anno, di approfondire meglio il messaggio che ancora oggi san Paolo ci rivolge; per questo è stato indetto questo speciale «Anno Paolino»: per ascoltarlo e per apprendere da lui, quale nostro maestro, «la fede e la verità», in cui sono radicate le ragioni dell’unità tra i discepoli di Cristo.Oggi, però, vorrei soffermarmi, con le parole del Papa, su un carattere che accomuna san Paolo con il nostro celeste patrono e con i tanti testimoni della fede, del passato e dei tempi moderni: la fedeltà alla verità che nasce dall’incontro personale e salvifico con Cristo Gesù.«In un mondo in cui la menzogna è potente» – scrive Benedetto XVI – «la verità si paga con la sofferenza. Chi vuole schivare la sofferenza, tenerla lontana da sé, tiene lontana la vita stessa e la sua grandezza; non può essere servitore della verità e così servitore della fede. Non c’è amore senza sofferenza – senza la sofferenza della rinuncia a se stessi, della trasformazione e purificazione dell’io per la vera libertà. Là dove non c’è niente che valga che per esso si soffra, anche la stessa vita perde il suo valore». Conclude il Papa: «L’Eucaristia – il centro del nostro essere cristiani – si fonda nel sacrificio di Gesù per noi, è nata dalla sofferenza dell’amore, che nella Croce ha trovato il suo culmine. Di questo amore che si dona noi viviamo. Esso ci dà il coraggio e la forza di soffrire con Cristo e per Lui in questo mondo, sapendo che proprio così la nostra vita diventa grande e matura e vera».San Donato, come san Paolo, pose al centro della sua vita Gesù Cristo, sicché la sua identità era contrassegnata essenzialmente dall’incontro, dalla comunione con Cristo e con la sua Parola. Sul modello del Buon Pastore, santificò la Chiesa con la preghiera e il lavoro, con il ministero della Parola e dei sacramenti. La santificò con il suo esempio, «non spadroneggiando sulle persone» a lui «affidate», ma facendosi «modello del gregge», secondo l’esortazione che oggi è stata rivolta anche a noi dall’apostolo Pietro, perché insieme con il popolo a lui affidato, potesse giungere alla vita eterna.Dalle volte di questa antica Cattedrale intendiamo innalzare al cielo un rendimento di grazie per il dono del vescovo Donato e, con lui, dei santi pastori che hanno guidato nei secoli questa Chiesa, conservando intatto il dono della fede. Pregate, fratelli, perché anch’io, pur cosciente delle molte mie debolezze, possa imitare il nostro Patrono ed essere sempre fedele alla Chiesa di Cristo e al Vangelo, facendomi «modello del gregge».E pensando al gregge che mi è affidato, non posso non guardare con preoccupazione ai “mercenari” ai cui molti si rivolgono; essi, infatti, come denuncia Gesù nel brano che abbiamo ascoltato, sono guide insicure e mendaci che, venuti i “lupi”, abbandonano le pecore e fuggono, lasciando che esse siano rapite e disperse.Il riferimento agli “impostori” della verità che viene dalle Scritture è più che mai attuale se si guarda alla realtà di adolescenti e giovani. Incontrando ogni anno migliaia di ragazzi, mi accorgo che le nuove generazioni sono alla ricerca di un orientamento per la loro vita. La domanda di senso è costante. Purtroppo, le risposte che trovano non sono sempre autentiche e positive.Costantemente bersagliati da messaggi che li vorrebbero soltanto consumatori, con uno scarso senso critico, privi di una solido bagaglio culturale e omologati a stili di vita e comportamenti dettati da vertici ignoti, i nostri ragazzi si trovano davanti bivi in cui i falsi profeti li avviano verso strade facili ma senza sbocco invece che verso mete alte che diano un indirizzo vero alla loro esistenza.I modelli del successo facile presentati dai mass-media, le scorciatoie come l’uso dell’alcool e degli stupefacenti, le esperienze di ebbrezza e di piacere immediato come un’affettività mordi e fuggi, e il diffuso benessere che, nonostante i segnali di crisi economica, continua a esserci nell’aretino e ad essere percepito con facilità dai giovani rappresentano percorsi di soddisfazione “a basso prezzo”, dispensatori di felicità e di bellezza che non richiedono sforzi, ma che durano un frammento di vita e lasciano dietro il vuoto.In questo senso, mi viene in mente un confronto fra i giovani dell’aretino e quelli che incontrato a Sydney durante l’ultima Giornata mondiale della gioventù. Come ho avuto modo di scrivere in un messaggio pubblicato dal settimanale diocesano Toscana Oggi, i giovani della nostra terra li vedo spesso seduti sui muretti, intorno ai tavoli di un bar, sui gradini della scalinata in una piazza. Parlano e talvolta sorridono, ma sembra che a loro manchi qualcosa. I giovani di Sydney hanno percorso migliaia di chilometri per arrivare all’altro capo del mondo, hanno invaso le strade di una metropoli che in un primo momento è apparsa indifferente e addirittura preoccupata, hanno mostrato la loro gioia con i loro volti felici, le loro canzoni, le bandiere, hanno affrontato l’inverno australiano con entusiasmo e hanno avuto il coraggio di mostrarsi in preghiera. Fra i giovani di Sydney c’era anche un folto gruppo della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, cui avevo invitato ad essere sentinelle del mattino in una terra lontana, a lasciarsi condurre dalla forza dello Spirito Santo e a invocare una nuova Pentecoste.Sia i giovani che vedo ogni giorno ad Arezzo, sia quelli che erano a Sydney sono in ricerca di una direzione sicura. Quelli della nostra amata terra, forse, non hanno ancora trovato l’autentica rotta che li faccia andare oltre il contingente. Quelli che erano alla Giornata mondiale della gioventù, invece, sono in cammino e possono contare su una guida sicura: il Papa, che li esorta ad essere profeti di una nuova era e costruttori di speranza. Proprio Benedetto XVI ha posto l’accento sul «deserto spirituale» che può tradursi in «vuoto interiore, paura indefinibile e nascosto senso di disperazione». Si tratta di un monito anche per la nostra terra dove le giovani generazioni rischiano di perdersi.Alla vigilia della festa della Madonna del Conforto chiedevo un «patto educativo» nel nome dei giovani, avvertendo l’urgenza di riproporre «una collaborazione proficua» a vasto raggio per affrontare la questione del disagio giovanile. La comunità cristiana di Arezzo-Cortona-Sansepolcro ha già compiuto un primo passo durante l’Assemblea diocesana di giugno e ha deciso di dedicare il nuovo anno pastorale agli adolescenti. Così è come se l’eredità di Sydney entrasse subito nell’agenda pastorale della diocesi e lo Spirito Santo invocato in Australia illuminasse fin dalle prossime settimane il cammino della nostra Chiesa locale.Un altro tema che mi preme toccare e che negli ultimi mesi si fa sempre più urgente anche nel nostro comprensorio è quello dell’immigrazione. Aumenta il numero di stranieri che giungono da terre lontane desiderosi di vincere la povertà e di trovare occasioni di riscatto.Dinanzi a questo fenomeno l’atteggiamento cristiano è quello dell’accoglienza: i battezzati, infatti, vedono nel prossimo – indipendentemente dal luogo di nascita, dalla fede che professa e dalla formazione culturale – il volto di Cristo che si incarna nella storia. Perciò, non possiamo voltare le spalle a chi giunge in Italia e tanto meno possiamo pensare che l’integrazione passi attraverso la creazione di “ghetti” per etnie o paesi di origine.Certo, da parte di chi arriva ci si attende il rispetto delle regole della comunità in cui sceglie di stabilirsi e il riguardo per le tradizioni della terra che lo accoglie. D’altro canto, però, il dovere del rispetto delle regole vale anche per chi qui è nato: è intollerabile la tentazione di sfruttamento della manodopera straniera priva dei diritti garantiti ai lavoratori italiani, spesso denunciata anche dalla stampa locale quando dà conto di operazioni delle forze dell’ordine che hanno portato alla scoperta di assunzioni a nero, di laboratori in cui gli immigrati dormono e allo stesso tempo sono costretti a lavorare anche quindici ora al giorno, di cantieri o aziende in cui allo straniero non vengono assicurate le condizioni minime di sicurezza, di salari ridotti all’osso. Si tratta di situazioni che ledono la dignità della persona umana e che sacrificano la giustizia sull’altare del profitto. La persona è il metro della dignità del lavoro: se manca questa consapevolezza, il lavoro perde il suo significato più vero e profondo e diviene più importante dell’uomo stesso.Occorre anche fare in modo che a tutti sia garantito il diritto ad una casa dignitosa. Molto spesso ho avuto la percezione che case in condizioni estremamente fatiscenti vengono date in affitto a famiglie di immigrati, o anche a italiani indigenti, a prezzi fuori mercato e senza tenere in considerazione la capienza effettiva dell’abitazione. Si tratta di vicende dolorose che suscitano scandalo e condanna e che assumono la parvenza di una speculazione sulla pelle dei deboli e dei bisognosi.Prima di concludere, voglio rivolgere anche quest’anno un pensiero ai nostri giovani che oggi concludono il loro pellegrinaggio lungo le vie della diocesi. Sulle orme di san Donato hanno percorso a piedi il cammino dei santi, solcato le vie dei pellegrini, sostato e pregato nelle antiche pievi romaniche, toccando una significativa parte del nostro territorio diocesano, la Valtiberina, e conoscendo da vicino il patrimonio di fede, d’arte e d’umanità con il quale generazioni di cristiani hanno segnato queste terre. Che l’esempio di san Paolo e di san Donato sia per tutti loro uno stimolo a conformare la loro esistenza a Cristo!Fratelli e sorelle, accogliamo con cuore fiducioso e ricolmo di speranza l’esortazione dell’Apostolo Paolo a farci suoi imitatori come egli lo è di Cristo (1 Cor 11,1), e rendiamoci testimoni credibili dell’amore di Dio, soprattutto verso quanti soffrono nel fisico e nello spirito e verso coloro che hanno fame e sete di giustizia, sostenuti dalla preghiera e dall’intercessione di san Donato, nostro patrono, e della Vergine Maria, Madre del Conforto.Amen! L’ufficio stampadella diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro