Cultura & Società
Barbara, la santa oppressa dall’amore paterno
La bella figura di fanciulla rimane fortemente legata in certe zone della religiosità tradizionale e negli usi calendariali, anche se, per la riforma del calendario liturgico del 1969, la sua festa, che si celebrava il 4 di dicembre, è lasciata solo ai culti locali.
Invocata nelle Litanie dei Santi, titolare di molte e importanti chiese e parrocchie, faceva parte anche dei cosiddetti Quattordici Santi Adiuvanti, serie che raccoglie i principali Santi protettori che avevano una festa comune il giorno 8 agosto, anche questa ricorrenza soppressa dalla riforma. Dati i criteri informatori del nuovo calendario liturgico, Barbara ha un’antica e solida tradizione di culto, manca invece di consistente documentazione che la individui in una precisa figura storica, per cui il rifiuto di mantenerla nel novero dei santi accreditati storicamente, è giustificato. Si hanno diverse narrazioni della sua passio, greche e latine, dalle quali si ricavano dati contrastanti. Il suo martirio si dice avvenuto sotto diversi imperatori: Massimino Trace (235-238), Massimiano (286-305), Massimino Daia (308-313).
Anche sul luogo d’origine non c’è accordo: si parla di Nicomedia, Antiochia, Heliopolis in Paflagonia. Alcune redazioni latine vorrebbero addirittura che fosse originaria della Toscana, e così si legge nel Martirologio di Adone. Il culto e la tradizione, diffusi in Oriente e Occidente, fanno pensare a una figura vissuta in Egitto, sulla fine del III secolo, martirizzata per la fede, sulla quale gli agiografi hanno riversato le migliori risorse della loro fantasia, rendendone molto incerti i contorni.
Dioscuro, saputo che la figlia aveva abbracciato la religione di Cristo e conosciuta le ragione delle tre finestre, montò in grande furore aggredendo Barbara, la quale gli manifestò il suo proposito di non sposarsi e di non amare altro che il Signore.
Il padre allora mutò il grande amore per la figlia in un odio anche più grande e non esitò a tentare di ucciderla, ma la fanciulla sfuggì attraverso i muri che si aprirono davanti a lei come tendaggi. Altre versioni devote vogliono che un fulmine distruggesse la torre, liberandone Barbara, la quale fuggì nei boschi nascondendosi nella fenditura di una roccia. Un pastore la vide e, per avere un compenso dal ricco signore, ne rivelò il nascondiglio e le sua pecore furono tramutate tutte in locuste. Fattala prigioniera, il padre la percosse, la trascinò per i capelli e la consegnò nelle mani del prefetto Marciano, denunciandola come cristiana, perché fosse torturata e giustiziata.
Vedendola così giovane e bella, il rappresentante dell’Imperatore consigliò prima il padre di ritirare la denuncia, ottenendone un rifiuto, quindi invitò Barbara a sacrificare agli dèi, ma fu tutto inutile. Allora Barbara fu vestita di panni irti di spine che le lacerarono tutto il corpo, e battuta con nervi di bue che la fecero sanguinare, ma nella notte ebbe una visione e Cristo stesso la rese sana e intatta come se non avesse ricevuto alcuna offesa.
Di nuovo Marciano, istigato dal padre furibondo, la sottopose alla fustigazione, ma le verghe, toccando le sue carni, si mutarono tutte in bellissime penne di pavone. Un seguito di torture diverse ed efferate tormentarono il corpo della fanciulla: lastre di ferro roventi, pettini di ferro, taglio delle mammelle, come a Santa Apollonia, ma nulla riuscì a piegare la sua volontà. Si tentò allora la via dell’ignominia e della vergogna, denudandola completamente e menandola straziata per le vie della città, ma le preghiere di Barbara ottennero che uno splendore abbagliante rivestisse completamente il suo corpo impedendo che fosse visto da alcuno.
La leggenda insiste molto su questo aspetto della tragedia, fino a far passare come benevolo addirittura Marciano, il prefetto imperiale, spesso la figura più losca e bieca nei processi dei martiri. Fuori dalle esagerazioni della leggenda non è infrequente il caso di amore possessivo di genitori verso i figli, che chiudono nella torre cieca del loro amore insano. Non a caso Barbara segna proprio in questa torre terribile il segno della sua fede, l’unica sua salvezza: le tre finestre. Le sante martiri di solito affermano insieme alla fede la loro dignità di esseri umani e di donne. Schiacciate da forze preponderanti, riaffermano prima di tutto il loro diritto a essere quello che sono, ad agire secondo la propria volontà, a non piegarsi alla violenza e alla forza. Questo era tanto più difficile in un tempo in cui la donna era completamente sotto la tutela o il dominio dell’uomo o del capo della famiglia, per cui opporsi al padre significava perdere ogni protezione, combattere da sole contro il mondo intero.
Molto moderna è questa figura se viene liberata dagli orpelli devozionali: fa della sua prigione uno strumento di meditazione, rifiuta un mondo ostile e malvagio, fugge di casa, si rifugia fuori da una vita comoda e agiata, contrasta la follia del padre e infine subisce il martirio con dignità. A una forza segreta così decisa, che riposa nelle tenere membra di una fanciulla, si addicono bene sia il fulmine che il fuoco, che non conoscono ostacoli.
Oltre all’immagine nella Chiesa di Santa Maria Antiqua, nel Foro romano dell’VIII secolo, Barbara si trova raffigurata da molti grandi pittori. Nella Cappella Suardi di Trescore Lorenzo Lotto ha rappresentato il ciclo dei fatti salienti della sua vita. Splendida è la figura di Barbara della scuola del Botticelli, che si trova nella Pinacoteca di Lucca. Forse anche più bella è Barbara incoronata da due angeli, di Matteo di Giovanni, nella Chiesa di San Domenico a Siena. Cranach la raffigura con la pisside e la torre trinitaria, nel dipinto della Pinacoteca di Dresda. Bellissima anche la figura della Biblioteca Nazionale di Napoli e da ricordare il disegno di Dürer al Museo delle Belle Arti di Anversa.
Protettrice della città di Rieti, rimane ancora nel culto popolare per esserne stata un capitolo rilevante nei secoli passati. Si ripete ancora durante i temporali la nota invocazione che abbiamo imparato nell’infanzia:
I suoi patrocini sono rilevanti di numero e ancora molto sentiti. Il particolare della passio che narra del padre incenerito da un fulmine la fecero patrona nei pericoli di saette, e invocata contro la morte improvvisa, e nelle attività che hanno contatto col fuoco. La sua immagine che sorregge l’ostia e la pisside, si riferisce proprio alla protezione a subitanea et improvvisa morte: la grazia di morire con i sacramenti e i conforti religiosi.
Con la scoperta della polvere da sparo nel XV secolo divenne patrona di coloro che maneggiavano mine ed armi, in particolare degli artiglieri fino dal 1529. Gli antichi artiglieri dovevano un tempo, nel caricare le bombarde, fare con la palla un segno di croce davanti alla bocca del pezzo invocando il nome di Santa Barbara. Bestemmiare il nome della Santa, con quello della Vergine e di Cristo, comportava nelle armate la pena di tre tratti di corda. Il pericolo incombente sugli artiglieri era l’esplosione della canna dell’arma da fuoco.
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