Toscana
Banche sicure ma il rischio è nel risparmio gestito

di Claudio Turrini
Le banche italiane non falliranno. Ma faremmo bene a stare attenti lo stesso. Perché in Italia il sistema creditizio si mangia 20 miliardi di euro all’anno, con il cosiddetto «risparmio gestito». L’allarme viene da Beppe Scienza, docente di «Metodi e Modelli per la Pianificazione Economica» all’Università di Torino. Un esperto del risparmio e della previdenza integrativa, che studia dal 1976. E sui quali ha scritto anche diversi libri, come Il risparmio tradito e La pensione tradita, nel quale metteva in guardia gli italiani dalla roulette dei fondi pensione.
Professore, era prevedibile una crisi finanziari di queste dimensioni?
«Sono uno che tendenzialmente ritiene che il futuro sia imprevedibile, a differenza di tanti che si credono onniscienti. Quello che si poteva dire e io lo scrissi già nel 2003 nel libro Fondi, polizze e Parmalat. Chi è peggio? è che non era sicuro che Lehman Brothers sarebbe ancora esistita dopo dieci anni. Badi bene che io non sapevo niente di particolare, ma bisognava dirlo che certi emittenti erano a rischio e altri no. La Francia non era e non è a rischio, Lehman Brothers e altri erano e sono a rischio».
Quindi sono stati sottovalutati i rischi…
«Economisti, analisti finanziari e giornalisti economici hanno sempre sorvolato su tali rischi. Le associazioni di consumatori poi hanno aspettato il patatrac per accorgersi che la lista di obbligazioni sicure delle banche (cioè di Patti Chiari) era una buffonata».
Si può dire comunque che sono state commesse delle leggerezze?
«Certo che si può dire. C’è stata molta incompetenza, una colpevole e generale minimizzazione dei rischi e una diffusa faciloneria».
Tutto sembra esser nato dall’eccessiva facilità con cui negli Usa sono stati concessi mutui immobiliari.
«Non ci sono solo i mutui. C’è stata una politica di tassi bassi sul dollaro che ha invogliato a indebitarsi, per fare scommesse. C’è stata una mancanza di controlli e di regolamentazione. E questo è colpevole. È il modello anglosassone. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna si sono sempre opposti a controlli sulle banche di investimento, sugli hedge fund (fondi speculativi, ndr) ecc. Mentre l’Europa e in particolare la Germania li voleva. Se ci fossero stati controlli maggiori queste banche non sarebbero riuscite a lanciarsi in giochetti rischiosi, distribuendo barche di soldi ad amministratori e dirigenti vari negli anni passati, fino ad arrivare a questo punto».
Lorenzo Bini Smaghi, componente italiano della Bce, ha ipotizzato l’ingresso dei governi nel capitale delle banche europee, per poterle risanare, cambiare il management se incapace e poi ricollocarle sul mercato risanate, realizzando anche un plus valore. Che ne pensa?
«Potrebbe anche essere ragionevole. Però io non amo fare grandi analisi né prospettare soluzioni macro-economiche. Quello che credo di saper fare è indicare la decisione migliore, in casi concreti dove uno può compiere una scelta».
Ad esempio?
«Il caso concreto è questo. Uno ha un fondo comune. Ebbene, non sa quello che c’è dentro. Non glielo dicono. È tutto segreto. Ma allora se vuole stare tranquillo deve fare una cosa semplice: disinvestire e comprare titoli di stato o anche obbligazioni. Ma così decide lui se rischiare niente o tanto. Questa è la mia proposta concreta: uscire da fondi e gestioni e comprare direttamente titoli a reddito fisso (e anche azioni, se proprio uno vuole)».
Ma il cittadino comune è in grado di fare una scelta del genere?
«È molto semplice. Si chiede il disinvestimento del fondo, si prendono i soldi (magari con un assegno circolare), si va alla Posta e si sottoscrive un buono fruttifero postale».
Però magari ha già sottoscritto un fondo pensione..
«Dai fondi pensione non può uscire: li uno è incastrato. Ma la maggior parte del risparmio non è in fondi pensione».
Secondo il Fondo Monetario in pochi mesi sono stati bruciati dalle borse 1.300 miliardi di dollari. Cosa succede ai fondi pensione italiani?
«Quasi tutti gli italiani che l’anno scorso hanno aderito alla previdenza integrativa ci hanno rimesso rispetto al mantenere il Tfr in azienda. Per correre meno rischi bisogna scegliere, se non altro, la linea garantita. A volte però occorre aspettare due anni per poterlo fare».
I crac Cirio e Parmalat hanno insegnato poco
«Ho sempre ritenuto sbagliato concentrarsi solo sui tre crac Argentina, Cirio e Parmalat. Il primo e l’ultimo sono grossi, ma restano eventi isolati, molto particolari. Quando scrissi Il risparmio tradito non era ancora capitato nulla e continuo a ritenerli casi marginali, per quanto gravi. I soldi gli italiani li perdono soprattutto nel risparmio gestito o nelle polizze vita. Quelle tre insolvenze hanno arrecato una perdita nell’ordine di 10 miliardi di euro: è quanto gli italiani ci rimettono col risparmio gestito ogni sei mesi».
Ma questi crac possono comunque ripetersi?
«Ce n’è uno che potrebbe aggiungersi. È quello dell’Alitalia. Si è parlato giustamente dei suoi lavoratori, ma c’è un altro problema nella crisi della compagnia di bandiera italiana. Sarebbe brutto infatti se il quarto grosso crac, dopo Argentina, Cirio e Parmalat, fosse proprio uno che coinvolge addirittura il Tesoro. I risparmiatori hanno acquistato le obbligazioni Alitalia, proprio perché si fidavano di una società sostanzialmente pubblica. In totale sono circa 300 milioni di euro in mano ai privati, che non si sa che fine faranno. La perdita percentuale potrebbe essere minima o anche ingente».
Le Banche italiane sono sicure?
«Bisogna distinguere tre aspetti. Primo, i soldi che uno ha in libretti o conti correnti bancari. Qui si può stare tranquilli: c’è infatti una volontà politica fortissima, ferrea, di impedire perdite per evitare le famigerate e catastrofiche corse agli sportelli (per prelevare tutto). Secondo, le obbligazioni emesse dalle banche. E anche lì ritengo estremamente improbabile che una banca italiana fallisca. Terzo, tutto quanto la banca consiglia come investimento o soluzione previdenziale. Qui la specialità delle banche italiane è rifilare robaccia, cioè prodotti studiati apposta per portare via legalmente più soldi possibile ai risparmiatori. Quindi il mio consiglio è dire di no a qualunque proposta della banca. Significativo che le banche non consiglino mai titoli di stato. È davvero curioso. Si tratta dell’investimento principe nel reddito fisso in tutti gli stati, in Italia come in Francia o Germania… eppure le banche italiane li sconsigliano sempre».
Il presidente della Banca Centrale europea Jean Claude Trichet ha dichiarato che questa è la crisi più forte dagli anni ’30. C’è da preoccuparsi?
«Se lo dice lui Commenti simili sono davvero un po’ inquietanti. In genere le autorità monetarie tendono a rassicurare».
LA SCHEDA
L’allarme dei consumatori: fermiamo prezzi e tariffe
di Ennio Cicali
Spesa di tutti i giorni, ma anche mutui, spesso contratti per l’acquisto della prima casa, o investimenti, il più delle volte per salvaguardare i risparmi di una vita. Sono i molteplici aspetti della crisi finanziaria scoppiata in America, che si allarga a macchia d’olio, con il coinvolgimento dell’economia reale. Non solo delle banche o dei grandi gruppi finanziari, ma anche dei piccoli investitori. È il caso della Lehman Brothers, la banca d’affari ormai fallita. «Chiediamo di tutelare gli investitori perché non si ripeta quanto è avvenuto per Cirio, Parmalat e bond argentini dice Grazia Simone, segretario generale di Adiconsum Toscana (l’associazione consumatori della Cisl) chiediamo quindi un impegno alle banche per garantire il rientro gli investimenti a quei cittadini che hanno nel portafoglio prodotti della Lehman».
Passiamo alla borsa della spesa vera e propria. In settembre c’è stato lo «sciopero della pagnotta» che ha avuto un discreto successo. Cosa significa la moratoria su prezzi e tariffe chiesta da Adiconsum?
«Chiediamo di tenere fermi i prezzi e le tariffe fino al 2009. Ovviamente, la moratoria non deve essere intesa come una pausa, che poi dal 2009 i prezzi tornano a aumentare. Chiediamo garanzie, perché questi accordi, finalizzati al blocco dei prezzi, vengono il più delle volte interpretati come un via libera agli aumenti da quella data in poi».
I dati dell’inflazione di ottobre segnano un rallentamento, è un buon segnale, oppure la crisi si sposta ai consumi?
«Il rallentamento è dovuto principalmente al calo delle materie prime, soprattutto del petrolio. Sicuramente, si compra anche meno perché, a differenza di quello che viene detto, che l’inflazione è al 3,9 per cento, il dato reale è notevolmente superiore, tra l’8 e il 10 per cento».
La situazione in Toscana com’è?
«Tutto sommato la Toscana regge bene. Rispetto all’andamento nazionale registriamo una sostanziale stabilità dei prezzi e non degli aumenti eccessivi, in modo particolare nel settore alimentare. Questo è dovuto anche al fatto che in Toscana sono presenti tutte le grandi distribuzioni, quindi la concorrenza aiuta a calmierare i prezzi».
I mutui sono diventati un vero e proprio incubo per molte famiglie
«I tassi dei mutui continuano ad aumentare. Chi ha un tasso variabile si trova la rata notevolmente aumentata. In questo caso, consigliamo di prendere in considerazione gli strumenti della rinegoziazione oppure della surroga dei mutui. Solo in casi estremi, proprio quando il cittadino non ce la fa, può chiedere l’applicazione dell’accordo Abi – Governo. È vero che fissa la rata agli interessi del 2006, che vuol dire anche allungare il periodo della rateizzazione. Se gli interessi aumentano verranno pagati non ora nell’immediato, ma alla fine. Tremonti ha creato questo fondo: se c’è un rialzo dei tassi il cittadino si ritrova l’aumento alla fine, qualora ci sia un abbassamento li recupera, sempre alla fine. Questo accordo Abi – Governo è finalizzato a bloccare il costo della rata. Noi, come Adiconsum, riteniamo che sia meglio la rinegoziazione e la surroga perché attiva un meccanismo di concorrenza, però in casi estremi va bene anche l’accordo Abi – Governo».
I DATI