Italia

Banca d’Itala, troppa fretta politica

di STEFANO FONTANA La riforma della Banca d’Italia approvata dal Governo e che ora deve seguire l’iter parlamentare probabilmente inserita all’interno della Legge sul Risparmio non sembra molto realistica, evidenzia la fretta con cui è stata pensata e i forti conflitti che su di essa incombono. Valutata nel suo complesso, essa non dà sufficienti garanzie di non aprire problemi nuovi mentre cerca di risolvere quelli vecchi.

Il primo punto della riforma prevede il mandato a termine. Il Governatore resta in carica 7 anni e non è rieleggibile. Accade così in tutti gli Stati europei, si dice. Non va però dimenticato che il problema centrale é salvaguardare l’autonomia della Banca d’Italia. Non dimentichiamo che il tanto vilipeso mandato senza termine aveva lo scopo di rendere la carica del Governatore autonoma e indipendente da pressioni. In ogni sistema democratico ci sono delle cariche non elettive, come per esempio quella dei membri della Corte Suprema negli Stati Uniti d’America. Servono a dare stabilità al sistema, sottraendo alcune cariche di importanza nevralgica dal ricatto dell’elettorato. Il mandato a termine è sufficiente di per sé a garantire questa stessa autonomia ed indipendenza? Si può facilmente prevedere che ad un anno dalla scadenza del mandato comincino le manovre politiche per la successione, con due conseguenze negative: porre in quarantena il Governatore in carica e condizionare il successore.

L’altro aspetto della riforma è l’affidamento della nomina dei vertici della Banca d’Italia al Governo. La dipendenza da una nomina governativa è in grado di conferire autonomia e indipendenza al Governatore più di quanto non faccia l’attuale sistema? Un Governatore nominato dall’esecutivo, come sarà considerato da un successivo governo di colore politico diverso? La relazione annuale della Banca d’Italia era considerata una fotografia della nostra economia super partes e di grande attendibilità. Sarebbe ugualmente attendibile se il Governatore fosse di nomin a governativa?Il terzo aspetto della riforma riguarda la sostituzione degli azionisti privati (le banche) con lo Stato. Si dice che è assurdo che il controllore sia nominato dai controllati. Ma siamo sicuri che, con la riforma, ai gruppi di pressione bancari non si sostituiranno le lottizzazioni politiche? Il medesimo problema riguarda anche le norme sulla trasparenza. Eliminare forme di eccessiva discrezionalità e autocrazia è cosa positiva, ma va combinata con la necessità di non mettere in piazza delicate situazioni bancarie, con le possibili speculazioni politiche che ne conseguirebbero. La Banca d’Italia ha bisogno di procedere in modo trasparente, ma anche di intervenire con discrezione e di imporre delle correzioni di rotta al nostro sistema bancario senza fare i conti sempre e in tutto con i politici.L’impressione, in conclusione, è che questa riforma metta la Banca d’Italia fin troppo nelle mani della politica. Si veda per esempio quest’altro aspetto. Si propone, giustamente, di vietare a chi ha ricoperto incarichi ai vertici di Bankitalia di transitare professionalmente presso banche private. Perché la stessa cosa non dovrebbe essere vietata anche a chi – come è ampiamente successo – passa da Bankitalia al governo?

Ci sarebbe bisogno di un supplemento di riflessione. Cosa purtroppo impossibile date le speculazioni (veramente eccessive) sul caso personale di Fazio, che impedisce di distinguere tra questo livello e quello generale della riforma dell’Istituto, e dato il clima di lotta politica senza quartiere. Per questo sembra positiva la decisione del governo di inserire la riforma di Bankitalia dentro la Legge sul Risparmio. Speriamo che almeno questo induca a ragionare del sistema più che delle contingenze.