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Baltimora: sugli scontri razziali i cattolici americani non stanno a guardare
Dopo la morte dell’afroamericano Freddy Grey, arrestato dai poliziotti e andato in coma per una lesione alla spina dorsale la violenza razziale è divampata a Baltimora. Parla il parroco Richard Thomas Lawrence: «I problemi non sono solo razziali, c'è anche una questione economica collegata». 500 intellettuali cattolici invitano a uno scatto di consapevolezza per ridurre le ingiustizie razziali, le ineguaglianze sociali e la militarizzazione della polizia.
Una dozzina di palazzi in fiamme, negozi saccheggiati, macchine in fumo e 200 arresti. A Baltimora, città storicamente nota per gli alti tassi di crimine, la violenza è divampata prendendo la forma della guerriglia urbana. La scintilla è stata la morte dell’afroamericano Freddy Grey, arrestato dai poliziotti e andato in coma per una lesione alla spina dorsale. Per molti, Grey è l’ultima vittima della brutalità della polizia. Così la città vive nel coprifuoco, fra plotoni di agenti, mezzi blindati, barricate improvvisate, tensioni latenti, e con gli occhi puntati addosso da tutta l’America, e non solo. E in altre città degli Stati Uniti le proteste sono pronte a dilagare.
La testimonianza del parroco. «A Baltimora i problemi non sono solo razziali, c’è anche una questione economica collegata», racconta Richard Thomas Lawrence, il settantaduenne parroco della chiesa di Saint Vincent de Paul situata a poca distanza dal teatro degli scontri tra manifestanti e polizia. «C’è un divario sempre maggiore tra quelli che guadagnano sempre di più e quelli che prendono sempre meno. Qui siamo in una zona di industria manifatturiera. Dopo la crisi, in questo settore, la ripresa non c’è stata. È una situazione strutturale, e non si tratta solo di outsourcing. L’automazione dei processi porta via tanti posti di lavoro che una volta davano da mangiare a famiglie di tre o quattro persone. Oggi o uno è un colletto bianco oppure se è un colletto blu, un operaio, e la maggior parte dei neri qui sono operai, fa fatica a sopravvivere».
Capitale da esprimere. Padre Lawrence, attivo da giovane seminarista negli anni del movimento per i diritti civili guidato da Martin Luther King, ritiene che nonostante i neri americani siano cattolici solo per il 5%, la Chiesa «abbia giocato un ruolo di primo piano allora», e oggi abbia «un capitale da spendere in questa battaglia per migliorare ulteriormente i livelli di giustizia sociale» pur nel rispetto del ruolo fondamentale delle forze dell’ordine. «La polizia non ha più tra le sue fila elementi razzisti come quelli che c’erano per esempio in Alabama negli anni ‘60, ma ci sono agenti che magari vogliono impartire delle lezioni usando tattiche bullistiche, in qualche misura abusando del loro potere».
Ancora tante ingiustizie. A pensare che i cattolici abbiano un ruolo importante da giocare in questa battaglia culturale, è anche Tobias Winright, professore di Etica teologica all’Università di St. Louis in Missouri e autore di un documento forte, firmato qualche mese fa da quasi 500 intellettuali cattolici nel quale chiama a uno scatto di consapevolezza per ridurre le ingiustizie razziali, le ineguaglianze sociali e la militarizzazione della polizia. «Dobbiamo essere più consapevoli delle ingiustizie di cui fanno le spese i cittadini di colore, e soprattutto non le possiamo ignorare», dice il professor Winright dal suo ufficio a St. Louis. «Martin Luther King era molto critico verso quei cristiani che preferiscono l’ordine alla giustizia. Noi cattolici dobbiamo aspirare a una Chiesa che sia catalizzatore di giustizia e di trasformazioni positive della nostra società. Gli Stati Uniti sono ancora un Paese troppo diviso in termini razziali». Per Winright il tema è poco dibattuto dai circoli cattolici americani perché da un lato «quella della razza è una questione di cui si parla ancora sotto voce», nella paura d’esser fraintesi, dall’altro perché gli afroamericani «sono cattolici solo in piccola percentuale» e invece c’è una forte componente cattolica tra le forze dell’ordine, storicamente in buona parte dal retroterra irlandese, italiano e ispanico.
Contesto e contrapposizioni. I fatti di Baltimora arrivano dopo una serie di episodi in cui la polizia è finita sotto accusa. C’è stato il caso di Michael Brown, 18 anni, nero, disarmato e ucciso a Ferguson in Missouri. Quello di Eric Garner soffocato da un poliziotto a Staten Island. Questi interventi poco chiari delle forze dell’ordine hanno riacceso la polveriera razziale. Specie perché gli agenti ritenuti responsabili di una condotta discutibile non sono stati sanzionati. Nei mesi scorsi molteplici manifestazioni di protesta contro le brutalità vere e presunte della polizia sono seguite in tutto il Paese, da Ferguson a New York, a Oakland. Si sono registrate richieste di maggiore rispetto verso le minoranze, ma anche atti vandalistici e violenze. A queste ha però partecipato solo una minoranza. Emblematica della tensione e delle diverse posizioni all’interno della stessa comunità nera sul come reagire a queste morti sospette è stata la madre di Baltimora che sorprendendo il figlio a compiere atti violenti lo ha energicamente allontanato dal corteo. Immagini che, non a caso, stanno facendo in queste ore il giro del mondo.
* da New York