Toscana
BALI (INDONESIA), CONDANNATO ALL’ERGASTOLO IL TOSCANO JURI ANGIONE
È stato condannato all’ergastolo, da una corte di Bali, il toscano Juri Angione, 24 anni, di Orbetello (Gr), che era stato arrestato dalle autorità di polizia indonesiane con l’accusa di avere tentato di introdurre nell’isola oltre cinque chilogrammi di cocaina. Angione era stato bloccato in aeroporto con la droga, suddivisa in 29 sacchetti celati in una sacca da surf. Per lui il rappresentante della pubblica accusa aveva chiesto al pena di morte. I magistrati di Bali da tempo giudicano con grande severità i trafficanti di droga, anche perché l’Indonesia, un tempo solo punto di transito di stupefacenti, è oggi considerato un fiorente mercato. Sono, infatti, 28, le persone che, ritenute colpevoli di traffico di droga, sono state condannate a morte e che aspettano l’esecuzione. Comunque, negli ultimi anni non è stata eseguita alcuna condanna a morte, anche se potrebbe essere imminente l’esecuzione di un trafficante indiano.
Angione, di professione orafo, è rinchiuso nel carcere Kerobokan a Bali dal 3 dicembre scorso. Si è sempre proclamato innocente, sostenendo di non sapere assolutamente nulla della cocaina che gli era stata trovata in una sacca da surf all’aeroporto di Bali. I familiari del giovane si sono impegnati in questi giorni in sua difesa sostenendo che Juri sarebbe stato utilizzato da qualcuno come un corriere inconsapevole. Angione era in arrivo da Bangkok quando fu fermato alla dogana dell’aeroporto Ngurah Rai.
La condanna all’ergastolo, paradossalmente, è stata considerata dai familiari quasi come «una buona notizia», visto che Juri Angione, il venticinquenne orafo di Orbetello condannato oggi dal tribunale della città indonesiana al carcere a vita per traffico di cocaina, rischiava la pena di morte, come aveva chiesto il pubblico ministero. «Un primo risultato positivo – commenta Margherita Boniver, sottosegretario agli Esteri con delega ai Diritti umani -, perché innanzi tutto scongiura il pericolo della condanna a morte e poi perché si tratta di una sentenza che il pubblico ministero non ha impugnato nonostante le richieste avanzate e nonostante il loro codice penale, per accuse di questo tipo, preveda appunto la pena capitale. Adesso il ministero, insieme ai nostri diplomatici e ai legali della famiglia, studierà le iniziative da prendere prossimamente».