Lettere in redazione

Badanti, non è vero che siano «angeli»

Le esperienze personali ci hanno fatto toccare con mano la necessità di dover accudire un genitore anziano, divenuto poi non autosufficiente, coniugando il proprio impegno lavorativo e la famiglia; questo ci ha imposto il sacrificio di dover ricorrere a questo triste mercato delle «badanti».

L’immagine che emerge dal «primo piano» di Toscanaoggi, del 15 gennaio scorso, mostra una tipologia di persone, private dei propri diritti, a pieno titolo goduti nella propria terra d’origine, per essere sfruttate da un’emigrazione ineluttabile e necessaria. Vorremmo dire che molto di rado è così. Assistere un anziano, vivendo nella sua casa, significa aggiungere allo stipendio mensile, mai al di sotto degli 800 e, anche elementi fruiti in natura (vitto, alloggio… ) cose che qualunque altro lavoratore paga con il proprio stipendio. Ovviamente vanno aggiunte le ferie, i contributi di legge, il trattamento di fine rapporto che comprende anche la traduzione in valore monetario dei benefici fruiti in natura. L’assistente/badante non lavora 24 ore su 24: sarebbe umanamente impossibile. Mentre la «figlia» dell’anziano/a deve coniugare il lavoro con la spesa, la pulizia della casa con il cucinare, le relazioni con gli altri membri della famiglia con l’assistenza diurna e notturna fisica e psicologica dell’anziano, alla badante si chiede un lavoro di compagnia, di supporto, un lavoro spesso condiviso con uno o più familiari.

È vero, ci sono, come in tutte le situazioni, casi limite ma ciò che colpisce, in moltissimi casi, è l’indifferenza con cui l’anziano (specie se non autosufficiente) viene trattato dal personale a pagamento. Capita spesso, ai «datori di lavoro», gente inesperta di paghe, contributi e contratti, già stressata dalla difficoltà di gestire la situazione di un genitore (o entrambi) sempre meno autosufficiente di sentirsi in balia di gente mercenaria che sta facendo del bisogno dell’altro il proprio «business».

E non è vero che il «datore di lavoro» preferisce un irregolare al quale non versare i contributi! È veramente quasi impossibile trovare una collaboratrice domestica regolare in cerca di lavoro. La disoccupazione di un «angelo» regolare, dopo il decesso dell’anziano, può durare al massimo 15-30 giorni.

Un’immigrata irregolare che non conosce ancora la nostra lingua, riesce di solito a trovare lavoro in 30-90 giorni dal suo arrivo. Quanti nostri giovani usciti dalle scuole con specializzazioni regolari trovano lavoro con altrettanta facilità? Quanti lavoratori in mobilità con specializzazioni e formazioni continue trovano contratti di lavoro stabili e remunerativi? Roberta BertiMaria Rosaria Bassi Non era certo nostra intenzione idealizzare la figura dei «badanti». Sappiamo bene – e questa lettera che sentiamo scaturire da un’esperienza negativa, ce lo conferma – che si tratta di un lavoro che presenta molti problemi, da una parte e dall’altra, aggravati – quando si tratta di lavoratori stranieri – dalle differenze di lingua, abitudini e cultura e, spesso, anche da una situazione di irregolarità. Ma una cosa è certa: le badanti sono quasi tutte immigrate straniere perché gli italiani non vogliono fare questo tipo di lavoro, così come accade per i mungitori nelle stalle padane, o i raccoglitori di olive o pomodori nelle nostre campagne, o i muratori e i manovali nell’edilizia. E già questo dovrebbe farci riflettere. Se fosse così agevole e ben retribuito, come queste lettrici ipotizzano, sarebbero i disoccupati italiani ad accaparrarsi il lavoro di badante. L’irregolarità poi è legata al meccanismo dei flussi. Purtroppo sono così bassi, rispetto al fabbisogno (e basta vedere le file di questi giorni agli uffici postali), che tante famiglie non sono in grado di regolarizzare le loro badanti o collaboratrici familiari straniere. Con un evidente danno anche per l’erario, che così non percepisce le tasse e i contributi previdenziali.Claudio Turrini

Badanti, parlano straniero gli «angeli» delle nostre case