Fiesole

“Azione cattolica, ripartire dal territorio”Intervista al nuovo presidente Stefano Manetti

DI SIMONE PITOSSIÈ Stefano Manetti il nuovo presidente dell’Azione cattolica diocesana. Succede a Gabriele Torrini che ha retto l’associazione fiesolana per due mandati. Manetti, 45 anni, è della parrocchia di Pian del Mugnone (Fiesole) e, nell’ultimo trienno, è stato vicepresidente del settore adulti anche se è impegnato in Ac fin dagli anni ’80.Presidente, l’Azione Cattolica compie quest’anno 140 anni. Oggi l’ispirazione originaria dell’associazione è sempre attuale?«Credo che neanche i giovani fondatori, Mario Fani e Giovanni Acquaderni, si immaginavano che questa forma organizzata del laicato cattolico avesse la possibilità di durare così a lungo. Ma credo anche che già nell’intuizione iniziale ci fosse una risposta precisa ad una chiamata precisa. Del resto i due giovani fondatori hanno dato forma organizzata ad un ministero che da sempre è presente nella comunità cristiana. Un ministero assunto da quegli uomini e quelle donne che, come Aquila e Priscilla ai tempi dell’apostolo Paolo, hanno risposto alla chiamata del Signore e si sono messi a disposizione dell’unica missione della Chiesa cioè l’evangelizzazione e la costruzione della comunità dei credenti. È forse per questo che Paolo VI definì l’Azione Cattolica “una particolare forma di ministerialità laicale”, definizione che Giovanni Paolo II ha ribadito aggiungendo che “la Chiesa non può fare a meno dell’Azione Cattolica”. Direi quindi che l’ispirazione originaria non può che essere attuale. Sta all’associazione di oggi non tradire quella intuizione e restare fedele a quello che dice di lei il magistero, in particolare il magistero conciliare, continuando ad essere una via per rispondere all’unica chiamata alla santità, una santità vissuta nella fedeltà feriale all’essenziale cioè al Vangelo».L’emergenza educativa è la questione più urgente. E la formazione da sempre è in testa alle priorità di Ac. Quali sono le armi per vincere questa sfida culturale?«In questi ultimi anni l’associazione si è data un nuovo progetto formativo dove la scelta educativa è messa al primo posto. Nel progetto sono riprese e sviluppate anche le altre scelte storico-costitutive quali la scelta democratica e la scelta associativa, che se vogliamo sono i fondamentali del metodo di Ac, e la scelta religiosa dove si ritrovano le radici dei contenuti dell’azione educativa. Le scelte che il progetto ci riconsegna hanno bisogno di essere assunte da ciascun socio e da ciascuno che riconoscendocisi lo diventa. Quando poi si parla di scelte si fa i conti con la coscienza personale di ciascuno e aderire all’Ac significa condividere delle scelte precise e rendersi disponibili a lavorare su di sé. In definitiva è richiesto, ad ogni credente e ogni comunità, di raccogliere in modo responsabile la cosiddetta sfida educativa, una sfida che ogni tempo storico porta con sé e per questo occorre affrontarla con le armi della speranza cristiana e di una autentica e sana laicità. In questa ottica alle parrocchie è richiesta una rinnovata progettualità educativa e l’associazione è una risorsa grazie al suo metodo, alle mète e ai contenuti degli itinerari formativi che propone».In concreto cosa fare?«Rimettere al primo posto le relazioni interpersonali. Poi ricreare degli spazi dove le persone imparino a dialogare, a fare laboratorio e sintesi, e dove, con coraggio, possano sperimentare stili di vita concreti e cristianamente coerenti. Questi spazi per l’Azione Cattolica sono il gruppo e la vita associativa».Qual è lo stato di salute del laicato in diocesi e quali gli ambiti che necessitano di maggior impegno?«La nostra diocesi può contare su un buon numero di laici impegnati e lo dimostra la risposta che hanno le varie iniziative. Credo però che questa “tenuta” può avere un futuro se riusciamo a suscitare in modo effettivo un nuovo slancio missionario. Talvolta si avverte una mancanza di soggettività laicale in grado di esprimere una corresponsabilità soprattutto nelle comunità parrocchiali in cui ci sono “i soliti che fanno tutto” e che spesso lo fanno in modo “solitario”. Direi proprio che le nostre comunità hanno bisogno di rigenerarsi proprio grazie ad una soggettività dei laici ed una loro rinnovata ministerialità».E quindi…«Le sfide del mondo contemporaneo non possono essere affrontate con spirito di tipo volontaristico. Se è positivo che tante persone si impegnino nel volontariato, è anche vero che la Chiesa ha bisogno, per essere quello che deve essere, di ministerialità e anche di ministerialità laicale cioè di persone che rispondono: sì io ci stò, oltre tutto e nonostante tutto. Una ministerialità che spinge i laici ad abitare la “terra di mezzo”, oltre cioè le sale parrocchiali facendosi interpreti dei bisogni del territorio in spirito di dialogo anche con tutte le realtà presenti. Il territorio è sinonimo anche di ambienti di vita ed è urgente riprendere decisamente in mano la pastorale d’ambiente. In questo anche l’Ac può esprimersi ripromuovendo i propri movimenti d’ambiente. Infine, come ci sollecita a fare anche la nota pastorale dei Vescovi a margine del Convegno di Verona, occorre riconsiderare la funzione della Consulta delle Aggregazioni laicali riscoprendo il gusto del confronto e della comunione fra tutte le realtà e carismi».Spesso si parla di ragazzi e giovani. E si rischia di trascurare il mondo degli adulti. Cosa si propone di fare l’Ac?«È vero, talvolta si parla delle nuove generazioni come in crisi. Personalmente più che di “crisi” del mondo giovanile, dove certamente gli scenari sono mutati e dove ci sono anche molti segni positivi, parlerei di disagio. In crisi è invece il mondo degli adulti che mi sembra di poter dire vive una sorta di letargo, una quasi mancanza di speranza, un mondo adulto che forse ha paura a “diventare grande”. Penso che i ragazzi e i giovani avvertono proprio disagio perché non incontrano dei testimoni credibili e coerenti. Cosa fare? Non esistono delle formule o delle ricette confezionate. Viviamo in un contesto sociale dove si fa fatica ad aggregare le persone e dove sono molte le problematiche che alimentano incertezze. Ma è nel momento della crisi che si fanno gli investimenti più coraggiosi: allora occorre investire negli adulti interpretando le domande di senso che ci sono e fare un serio discernimento per elaborare una rinnovata proposta formativa che sappia prima di tutto toccare il cuore delle persone e ridire la Fede. L’associazione è anche per sua natura un luogo dove è possibile un dialogo intergenerazionale ed è questo un esercizio che fa bene sia ai giovani che agli adulti».Quali saranno i suoi prossimi passi come presidente?«Un presidente da solo non può fare molto e quindi i prossimi passi dovranno essere condivisi con il Consiglio diocesano che sarà chiamato a darsi un programma per il triennio, un passaggio questo molto importante che significa individuare le priorità, elaborare alcuni progetti con degli obbiettivi. Si dovrà poi continuare e migliorare il collegamento con le associazioni parrocchiali attraverso i consigli zonali di Ac e lì tradurre localmente il programma. Del resto il radicamento sul territorio è una delle indicazioni dell’Assemblea diocesana del gennaio scorso».Fra tre anni quale sarebbe il risultato che vorresti vedere raggiunto?«Non sempre è giusto quello che noi desideriamo… È bene che sia lo Spirito a suggerire ciò che è più giusto sperare. Certamente mi auguro di veder crescere l’associazione sia nel numero che nella qualità della sua proposta. Permettimi un fuori domanda per augurare a tutti una Pasqua del Signore colma di gioia e di speranza».