Opinioni & Commenti

Avvento, l’unico modo per bucare il futuro

di Franco Vaccari

«La situazione non è buona», dice Celentano, ma l’importante, ci dicono, è «bucare il video». A me pare drammatico non riuscire a bucare il futuro. Sotto una coltre pesante che ci opprime, non riusciamo a sollevare lo sguardo e il desiderio è subito spento. Una densa cortina nebbiosa, plumbea, ci sta davanti e, pur avanzando, non vediamo la fine del tunnel. Immersi in questa umidità penetrante, disorientati, cerchiamo solo una difesa esterna da ciò che forse ci entrato già dentro. Il tempo si accorcia ed è un risultato arrivare al sabato. Il lavoro è «a chiamata», il governo è diurno: ha sempre «da passà ‘a nuttata». Chi uccide quattro bambini in auto diventa una star con tanto di agente pubblicitario e tariffe per le interviste da rilasciare. Una folle pallottola uccide un giovane e la notizia tiene banco più dei mille corpi martoriati di bimbi africani o dei monaci birmani già persi nell’oblio. I Savoia chiedono un fantomatico risarcimento danni. Doppi, tripli pesi e misure. In questo tempo, dove pur nascono bambini e madri che li amano, dove pur lavorano onestamente tante persone e tante altre sostengono le fragilità altrui, questa caligine densa si leva e raggiunge luoghi tranquilli dove si pensava non sarebbe arrivata.

Davanti a questo c’è l’urlo orizzontale delle piazze, e c’è l’invocazione verticale al cielo (o in rivolta contro il cielo). In entrambi i significati è il verticale che conta, quando anche lo sguardo sociale si interroga su: «chi ci salverà?».

«Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» è l’invocazione che guarda oltre e chiama il futuro e che, appena gridata, già ci introduce nel futuro. L’Avvento giunge a chi lo invoca! Chiuso in un presente soffocante, l’uomo tenta di recuperare un futuro come protesi del presente: si affanna a razionalizzare, programmare, stabilizzare, ma il futuro ridotto a programmazione tecnica è un tempo senz’anima. È estensione del proprio dominio anziché accoglienza della vita donataci. Non c’è più spazio per lo stupore, per l’altro o per l’Altro. Assicura il perdurare del presente.

Viene l’Avvento, viene il futuro inesorabile, imprevedibile, come la primavera che sempre «la viene», ricordava La Pira, indicando quel futuro che viveva nell’intimo.

L’attesa vera sa che gioirà nel futuro, perché il nuovo viene da lì. Ci porterà a una capanna dove un padre e una madre hanno dato vita a una paternità e maternità non pensata, non programmata, non progettata, non prevista. Secondo questi verbi che pretendono di definire il futuro dell’uomo responsabile, quel padre e quella madre hanno realizzato una genitorialità irresponsabile. Aperti al futuro, là troveremo un bimbo nudo. Posando lo sguardo su di lui scopriremo di avere un’anima, stupendoci di lui e di noi. Intuizione, presentimento, presagio, circonderanno quell’evento. Silenzio, stupore, non chiacchiere con pretesa di spiegazione su tutto. Non avremo gli effetti speciali che sbarrano gli occhi, aprono la bocca e chiudono il cuore. Niente potrà distrarci da noi stessi e, credenti o no, ci interrogheremo se ancora sappiamo vivere il futuro, se siamo aperti alla speranza.

L’Avvento può essere una misura del nostro stato interiore: senza futuro c’è solo paura.

C’è solo un modo di avanzare veramente nel futuro: bramarlo da innamorati per essere, come ci dice papa Benedetto, «Spe salvi».