Cultura & Società
Avvento, la stagione dell’attesa in un percorso di arte e di fede
Nel novero delle feste cristiane la ricorrenza del Natale è quella che più si presta a fraintendimenti. Da decenni ormai si ragiona del declino dei valori connessi al giorno in cui si celebra la nascita di Gesù. Ho memoria di liturgie eucaristiche della notte di Natale interrotte da giovani che s’opponevano alla traduzione consumistica d’una festa nata sotto tutt’altro segno. Era lo scorcio degli anni sessanta; il tempo della contestazione dura. Non c’è però bisogno di vestire gli abiti degl’intransigenti per riconoscere il sostanziale tradimento dei concetti sottesi al Natale. Del quale, per giustificare le nostre inadempienze, si è soliti dire ch’è la festa dei bimbi; come se quest’asserzione ci consentisse di mistificarla e non ci accusasse, invece, d’aver traviato anche loro.
Le opere d’arte scelte a evocare il giorno della natività di Cristo finiscono di conseguenza per esser sempre quelle dall’apparenza più soave. Apparenza che si confà giusto ai piccoli; che meritano di godere della tenerezza del Natale: la Madre che guarda il Figlio neonato, san Giuseppe protettivo che sta loro vicino, la piccola capanna o due pareti dirute che li accolgono, gli angeli che in cielo indicano la strada per arrivare al Bimbo, l’adorazione di pastori in ginocchio coi doni semplici che si possono permettere. Rappresentazioni in cui i bimbi colgono la bellezza gioiosa d’una festa che sentono loro.
Agli adulti però – quando siano di fede – quelle stesse immagini imporrebbero una riflessione più profonda; la stessa che merita l’Avvento, che, al pari della Quaresima, è stagione d’attesa e appunto di meditazione. In quella medesima scena, osservata però stavolta con spirito maturo, la «Madre che guarda il Figlio neonato» parrà una donna pensosa, giacché è una madre consapevole del destino e della morte scandalosa che toccherà alla sua creatura; quel «san Giuseppe protettivo che sta loro vicino» sarà figura d’un uomo che per fede in Dio e nella propria moglie ha accettato il miracolo d’una gravidanza umanamente inconcepibile, e senza riserve si dispone alla difesa della sua famiglia; quegli «angeli che in cielo indicano la strada per arrivare al Bimbo» inviteranno a una disposizione d’animo attenta alle vie che il Signore addita per chi voglia seguirlo; e finalmente «l’adorazione di pastori in ginocchio coi doni semplici che si possono permettere» indurrà a due considerazioni ancor più ardue da reggere.
Da una parte, si dovrà prendere coscienza che Dio, a ognuno di noi come a quei pastori, chiede per sé ma soprattutto per i suoi figli più indifesi e sofferenti, quello che è nelle nostre possibilità (anche poco, se davvero poco abbiamo). Dall’altra, si dovrà convenire che Dio, fin dal principio della sua vicenda terrena, non sceglie né abbienti né sapienti, bensì gli ultimi: i pastori sono infatti i reietti e perfino la feccia della società in cui Dio ha deciso di calarsi; sono i rappresentanti (fors’anche i più umili) di quel séguito che gli farà contorno nel suo tragitto umano: pubblicani, prostitute, peccatori, lebbrosi, e giù per la scesa. Una scelta che verrebbe di sospettare sia l’esatto contrario di quella che ogni giorno facciamo noi; quasi che nel nostro cuore e nella nostra mente vigesse una redazione dei Vangeli con postille vergate dagli evangelisti medesimi che consigliassero di non prender troppo alla lettera gl’insegnamenti di Gesù. Non a caso Francesco d’Assisi esortava al sine glossa.
Se dovessi additare un’opera d’arte adatta a soddisfare il desiderio di sogni dei bambini riguardo al Natale e a suscitare negli adulti riflessioni in linea coi tempi dell’Avvento, proporrei d’andare a rivedere nel chiostrino dei voti alla Santissima Annunziata di Firenze la Natività di Gesù dipinta da Alesso Baldovinetti agli esordi degli anni sessanta del Quattrocento. L’affresco purtroppo ha patito per via di un’esecuzione che ha prodotto guasti alla pittura; ma le virtù poetiche della scena – ancorché pur sempre sofferenti – sono state risarcite dal restauro di recente condotto grazie alla Fondazione americana dei Friends of Florence
La longilinea Vergine, di lineamenti aggraziati, sta inginocchiata a mani giunte davanti al Bambinello sdraiato sulla terra nuda. Seduto, in una postura da marmo ellenistico, Giuseppe guarda, lui pure pensoso, il Bimbo. La storia è ambientata su un gibbo petroso, coperto da uno strato sottile d’erba, come fosse il muschio d’un presepe. Solo l’asino e il bue godono del rifugio d’una tettoia, in sperticato scorcio prospettico, serrata fra muri in rovina. A sinistra, poco più in basso, sotto un picco di roccia macchiato dal verde di cespugli folti e al cospetto d’una pianura vasta, percorsa da fiumi e punteggiata d’alberi (come fosse uscita dalla mente di Piero della Francesca), stanno due pastori di piccole dimensioni: con la mano si fanno schermo della luce per veder bene l’angelo che li sorvola e li avverte di quanto sta accadendo. Altri due pastori, invece, sono già arrivati al ricovero di fortuna della Famiglia: alla stregua di malfattori, hanno vesti logore e volti segnati da esistenze derelitte. Gli angeli, che in alto fanno un girotondo di gloria sopra il dramma, paiono intrecciarsi coi rami d’un albero d’alto fusto, come fossero addobbi per un abete natalizio. Visione pertinente alla fantasia sbrigliata dei bimbi, ma capace al contempo di muovere pensieri più gravi.
Nel chiostrino dei voti la storia di Baldovinetti è nel lunettone a sinistra dell’ingresso alla chiesa dell’Annunziata. Gli fa contraltare, a destra dell’accesso, il Viaggio dei magi affrescato da Andrea del Sarto cinquant’anni dopo, nel 1511. Non si tratta – come ci s’aspetterebbe – di un’adorazione dei magi, bensì d’una tappa del loro tragitto per giungere sul luogo (che lì non è nemmeno rappresentato) dove Dio aveva assunto la sua umanità. Una scena ch’è dunque figura d’un percorso di fede e pertanto, essa pure, emblematica dell’itinerario di riflessione che l’Avvento implica.