Firenze
Avvento, Gambelli: “Tre segni: la luce (la speranza), il granello di senape, il bicchiere”
Di seguito il testo dell'omelia proclamata ieri sera dall'arcivescovo di Firenze, mons. Gherardo Gambelli, nella Veglia di Avvento in Cattedrale. Lo pubblichiamo integralmente.
Tre segni: la luce (la speranza), il granello di senape, il bicchiere. All’inizio del capitolo 5 della lettera ai Romani, San Paolo riprende e approfondisce il tema della giustificazione dell’uomo mediante la fede, sottolineando ora di più la dimensione cristologica: “Giustificati dunque per fede noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”. La pace è un dono della grazia che viene dalla fede in Gesù. Il tempo di Avvento che iniziamo questa sera è un tempo ancora più propizio per disporsi ad accogliere questo dono della pace e a diffonderlo nel mondo. Chi si lascia accogliere e amare dal Signore riceve la grazia di uno sguardo nuovo sulla sua vita e sulla storia, al punto tale da potersi vantare di ciò che normalmente provoca la vergogna: “ci vantiamo anche nelle tribolazioni”.
Siamo nella stessa linea delle Beatitudini: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”. La pace del cuore è il risultato di un percorso interiore di rigenerazione, come frutto dello Spirito Santo. Nella fede sappiamo infatti che chi non si rigenera degenera: “Se uno non nasce dall’alto non può vedere il Regno di Dio”. Nascere dall’alto significa accogliere il dono dello Spirito che ci fa sentire figli amati e ci permette di vivere le tribolazioni con pazienza, cioè a non scandalizzarci davanti alle prove che incontriamo ogni volta che viviamo la fedeltà al Vangelo. Anzi la pazienza produce la dokimè una virtù provata o più precisamente l’esperienza, cioè una maturazione nella fede che ci consente di avere una speranza solida, una speranza che non delude. L’ascolto della Parola di Dio suscita in noi la fede ed è così che ascoltando crediamo, credendo speriamo, sperando amiamo. Solo chi spera è in grado di amare, ci ricorda Sant’Agostino, ma a sua volta la speranza è frutto della fede nell’amore di Dio che sempre ci precede. Si realizza così un circolo virtuoso fra la fede la speranza e l’amore: la fede suscita la speranza, la speranza sostiene l’amore e l’amore per il prossimo, a sua volta, consolida la fede e la speranza.
Papa Francesco nell’ultimo capitolo di Evangelii Gaudium ci aiuta a riflettere sulla nostra identità di discepoli missionari con queste parole: “Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. Ogni volta che apriamo gli occhi per riconoscere l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per riconoscere Dio. Come conseguenza di ciò, se vogliamo crescere nella vita spirituale, non possiamo rinunciare ad essere missionari. L’impegno dell’evangelizzazione arricchisce la mente ed il cuore, ci apre orizzonti spirituali, ci rende più sensibili per riconoscere l’azione dello Spirito, ci fa uscire dai nostri schemi spirituali limitati. Non si vive meglio fuggendo dagli altri, nascondendosi, negandosi alla condivisione, se si resiste a dare, se ci si rinchiude nella comodità. Ciò non è altro che un lento suicidio”.
Proprio per questo abbiamo voluto che il tempo dell’Avvento, come ogni anno, fosse caratterizzato da un’iniziativa di solidarietà missionaria. La cooperazione missionaria fra la nostra Diocesi e quella di Salvador Bahia è come un ponte di amicizia che si estende da una riva all’altra dell’Oceano, ma che ha bisogno sempre di nuove forze, non solo economiche, per proseguire. È bello partecipare con un’offerta, più bello ancora pensare a come far sentire la nostra vicinanza a don Marco prete fidei donum della nostra Diocesi in missione in Brasile. Preghiamo perché il Signore susciti nuove vocazioni per la missione ad gentes. È vero che anche da noi possiamo essere missionari qui a Firenze, ma sono convinto che l’aiuto offerto alle chiese più giovani è sempre necessario e proficuo, non solo per chi riceve, ma anche e soprattutto per chi lo offre, partendo e mettendosi in gioco.
Alla fine di questa veglia riceveremo simbolicamente alcuni granellini di senape che ci aiuteranno a ricordare le parole di Gesù nel Vangelo: Il Regno dei cieli è simile a un granello di senape. Una volta seminato esso cresce e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami. La pace si costruisce così, credendo nella forza dei piccoli gesti di ogni giorno. Il Signore ci invita, in questo tempo di Avvento, a seminare gesti d’amicizia: una parola buona, un sorriso, un incoraggiamento. Nel silenzio di adorazione che faremo ognuno pensi a quel dono che il Signore desidera affidargli (affidarle) per portarlo agli altri, perché possa splendere nel mondo la luce vera che illumina ogni uomo. Non sempre la prima cosa che ci viene in mente è quella che piace più al Signore. Per questo il tempo di Avvento è anche un tempo di conversione.
C’era una volta un cavaliere che aveva combattuto coraggiosamente in ogni angolo del regno. Un giorno, durante una battaglia, un colpo di spada gli aveva trafitto una gamba e aveva quasi messo fine alla sua vita. Mentre giaceva nel suo letto il cavaliere aveva intravisto il Paradiso, ma era molto lontano e fuori dalla sua portata. L’inferno con la sua fossa aperta e infuocata era vicino. Da tempo, infatti, aveva calpestato tutte le promesse e le regole della cavalleria e si era trasformato in un soldato duro e impenitente che uccideva senza rimorsi il prossimo, saccheggiava e commetteva ogni sorta di violenza. Pieno di santo timore, gettò il suo elmo, la spada e l’armatura e si mise in cammino verso la grotta di un santo eremita. “Padre vorrei ricevere il perdono di tutte le mie colpe, perché ho un grande timore per la salvezza della mia anima. Farò qualsiasi penitenza. Io non temo niente!». «Molto bene, figlio mio», rispose l’eremita. «Fa’ solo una cosa: vai a riempire questo bicchiere d’acqua e poi riportamelo». «È una penitenza da bambini!» Urlò il cavaliere stringendo i pugni d’ira.
Prese il bicchiere e ringhiando se ne andò verso il fiume. Immerse il bicchiere nell’acqua, ma il bicchiere rifiutò di riempirsi. «Si tratta di un incantesimo magico» ruggì il penitente. «Ma ora andiamo a vedere». Si incamminò verso una sorgente, ma il bicchiere rimase ostinatamente vuoto. Furibondo si precipitò verso il pozzo del villaggio. Fatica perduta! Un anno dopo il vecchio eremita vide arrivare un povero uomo con i piedi sanguinanti e un bicchiere vuoto nelle sue mani. «Padre mio», disse il cavaliere (era veramente lui) con la voce bassa e rattristata, «Ho percorso tutti i fiumi e tutte le sorgenti del regno. Non ho potuto riempire questo bicchiere. Ora so che i miei peccati non saranno mai perdonati. Sono condannato per l’eternità. Ah, i miei peccati, i miei peccati sono così pesanti. Troppo tardi mi sono pentito». Le lacrime scorrevano sul suo viso scavato. Una piccola lacrima scivolando sulla lunga barba del cavaliere cadde nel bicchiere. All’improvviso il bicchiere si riempì fino al bordo dell’acqua più pura, fresca e buona che si fosse mai vista.