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Attacco in Congo, il nunzio Balestrero: “Piango l’amico Attanasio”

Il nunzio prega affinché il sacrificio di Attanasio e Iacovacci “aiuti a tenere accesi i fari della comunità internazionale su questa Regione, dove la morte e il dolore, purtroppo, restano di casa”

“Piango con un dolore immenso l’amico ambasciatore Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci, il carabiniere che lo accompagnava. L’ambasciatore mi aveva invitato ad accompagnarlo in questa missione, ma in questi giorni si tiene a Kinshasa un’importante riunione della Conferenza episcopale, alla quale devo partecipare”. Mons. Ettore Balestrero, da due anni nunzio apostolico nella Repubblica Democratica del Congo, ha avuto modo di conoscere da vicino l’ambasciatore Attanasio e ha risposto alle nostre domande dopo una “giornata terribile” in segno di gratitudine nei confronti di tutti quelli che, come Attanasio e Iacovacci, “rischiano ogni giorno la vita”. Davanti alla tragedia, questo è il tempo della preghiera. “Porgo le mie più sentite condoglianze ai familiari e ai genitori di entrambi, in particolare ai genitori dell’ambasciatore, che avevo conosciuto l’anno scorso, proprio in questa stagione, quando si recarono a visitare loro figlio. Quando sarà possibile, si è già pensato di riunire, qui a Kinshasa, coloro che hanno conosciuto ed apprezzato l’ambasciatore e il carabiniere, per un momento di preghiera. L’ambasciatore – spiega Balestrero – si era fatto conoscere e amare in questo immenso Paese. Promuoveva l’immagine dell’Italia e tante opere di solidarietà. Insieme a Vittorio ha testimoniato la generosità e la sollecitudine dei nostri compatrioti all’estero”.

L’attacco è la punta dell’iceberg di una situazione di instabilità?

L’attacco è avvenuto in una zona estremamente “calda”, dove sono presenti molteplici gruppi armati. In quella stessa zona, e in quelle non lontane, da anni si registrano attacchi, sequestri, omicidi, furti, episodi efferati di ogni genere di violenza. La popolazione è stanca, anzi stremata. Per questo, mentre piango gli amici, simbolicamente uccisi mentre partecipavano proprio ad un’azione umanitaria, prego il Signore che raccolga il loro sacrificio e che esso aiuti a tenere “accesi i fari” della comunità internazionale su questa Regione, dove la morte e il dolore, purtroppo, restano “di casa”.

Si possono già individuare delle responsabilità politiche?Non credo si possano già individuare i responsabili dell’attacco, anche se certamente è necessario identificarli e perseguirli con determinazione. In ogni caso, questa tragedia è un appello a non “abituarsi” e a non rassegnarsi al male e al dolore, che purtroppo sembrano ancora regnare nella zona orientale della Repubblica Democratica del Congo. Ci invita pure a ringraziare per i continui aiuti umanitari che la comunità internazionale e varie istanze prestano da decenni. Soprattutto, questa tragedia ci ricorda quelle centinaia di vite umane, che sono state sacrificate proprio mentre prestavano altri soccorsi umanitari, indispensabili per la sopravvivenza della popolazione e per uscire dal vicolo cieco dell’odio e del conflitto. Qual è il ruolo della Chiesa nel tentativo di pacificazione della società?La Chiesa è il “Buon Samaritano” di queste popolazioni. Gestisce moltissimi ospedali, assicura l’istruzione, continua a donare speranza e a levare la propria voce in difesa di tutti gli abitanti. Non più di un mese fa, una delegazione di vescovi congolesi ha effettuato una missione pastorale proprio all’est del Congo, per pregare con quelle popolazioni, per ascoltarle e comprendere ciò che più le assilla in questo momento, ma anche per visitare e per conoscere di prima mano tante situazioni di immensa vulnerabilità. Sono centinaia i sacerdoti, le religiose e i missionari che vivono nell’est del Congo, che si sacrificano quotidianamente e che rischiano la vita. Alcuni sono stati sequestrati e uccisi.