Vita Chiesa

Assunta, card. Betori: Difendere l’identità dell’uomo minacciata dall’immanentismo

E’ partito dalla citazione di uno «dei più grandi pensatori ebrei del secolo scorso, Abraham Joshua Heschel», il cardinale Giuseppe Betori nell’omelia pronunciata in Cattedrale, a Firenze, nella Solennità dell’Assunzione di Maria al cielo. Per Heschel, ha osservato l’Arcivescovo, «l’ebraismo è una religione del tempo che mira alla santificazione del tempo», e la celebrazione del sabato è il dono di Dio che ci permette di lasciare alle spalle «la profanità e il chiasso del commercio, il giogo della fatica» e ci ricorda che «il mondo non è tutto e che “la nostra anima appartiene a Qualcun Altro”». E’ l’esatto contrario – ha sottolineato Betori – dell’«umanesimo immanentista» che «pensa di dover negare Dio per affermare l’uomo e ci vuole proiettati sul mondo, trascinati dal desiderio delle cose, dalla sete di dominio e dalla bramosia del possesso. Il tempo, per l’uomo che si vuole moderno, è diventato una dimensione dello spazio». «E questo – ha proseguito – accosta, non a caso, la nostra cultura alle antiche religioni naturalistiche, ai politeismi che non conoscono la presenza della divinità nella storia, ma la confinano nel “non tempo” del mito. E l’uomo tecnocratico si riscopre non meno politeista e non meno schiavo di questo mondo privo di dèi».

Celebrare la solennità dell’Assunta è ricordare che il corpo di Maria «è un pezzo di terra che si fa cielo senza perdere nulla della sua appartenenza alla nostra umanità. Ma questo – ha aggiunto l’Arcivescovo – significa per noi qualificare in modo nuovo il nostro stare nel mondo.

I cristiani, infatti, non stanno «in questo mondo, come i passeggeri di un’astronave che si accingono ad abbandonarla per approdare in un pianeta sconosciuto, il cielo, bensì come cittadini responsabili, a cui è affidato il compito di indirizzare l’umanità e l’intera creazione nel progetto di Dio, verso di lui, che è la pienezza del tempo». Per questo, ha proseguito Betori, «hanno il dovere di difendere le radici profonde delle realtà umane, quando esse sono minacciate, collocati in prima fila a custodirne consistenza e integrità. Le cose della terra ci stanno a cuore non meno delle cose del cielo, dal momento che da quel cielo esse hanno origine, lì sono destinate, e in quell’orizzonte vanno quindi comprese».

Per l’arcivescovo di Firenze si tratta «di difendere l’identità dell’uomo: nella dignità e inviolabilità della vita; nella sua prima relazione sociale che è la famiglia fondata sul vincolo di coppia di un uomo e di una donna; nelle libertà originarie, vale a dire quelle della coscienza, della religione e dell’educazione». Un «rinnovato umanesimo» di cui «sentiamo oggi particolare bisogno, costretti come siamo – ha concluso – a misurarci con i limiti di una civiltà che, espungendo Dio dai suoi orizzonti, ha perduto ogni riferimento assoluto che solo

potrebbe liberarci dal conflitto dei reciproci egoismi, personali, sociali, nelle relazioni tra i popoli».