Italia

Assistenza sanitaria per religiosi extra Ue: aumento a 2000

Con la legge finanziaria 203 del 30 dicembre 2023 dal 1° gennaio 2024 è stato innalzato il contributo obbligatorio per l’iscrizione al SSN da 397,34 euro anni a 2.000 euro annui per chi è entrato in Italia per motivi religiosi o di culto

L’assistenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale sta diventando un miraggio o comunque avrà un costo esagerato per migliaia di religiosi e religiose in Italia che provengono da Paesi extra Ue. In seguito alla legge finanziaria 203 del 30 dicembre 2023 dal 1° gennaio 2024 è stato innalzato il contributo obbligatorio per l’iscrizione al SSN da 397,34 euro anni a 2.000 euro annui per chi è entrato in Italia per motivi religiosi o di culto. In Italia è obbligatorio avere una copertura sanitaria, pubblica o privata. Per molti stranieri, a seconda del titolo di soggiorno, l’assistenza sanitaria è gratuita come per gli italiani. Ma la nuova normativa è una patata bollente e molto onerosa per gli istituti maschili e femminili, sempre più caratterizzati da provenienze extra-europee.  Si stanno perciò cercando vie di uscita al problema con l’aiuto del Cnec, il Centro nazionale economi di comunità. Le strade individuate finora sono diverse: interlocuzione politica con il governo, contrattazione con le agenzie di assicurazione o iscrizione alle società di mutuo soccorso per la stipula di polizze assicurative ad ampio raggio (in alternativa al SSN), trasformazione dei permessi di soggiorno per motivi religiosi in permessi per motivi di lavoro per chi già lavora in Italia. Prima di tutto sarà stilato un Vademecum con indicazioni utili per aiutare ad uscire dall’impasse e istituito un tavolo tecnico tra Cei, Usmi (Unione superiori maggiori italiane), Cism (Conferenza italiana superiori maggiori), Cnec e tutte le realtà che vorranno aderire, per interloquire con il governo italiano e trovare una soluzione soddisfacente per tutti.

Garantire il diritto alla salute a tutti i religiosi. “Il nostro obiettivo è supportare gli istituti per garantire il diritto alla salute a tutti i religiosi, offrendo le varie alternative possibili”, ha detto suor Marilena Argentieri, presidente Cnec, durante un incontro on line organizzato insieme a Usmi e Cism, con quasi 500 partecipanti.  “Non vogliamo chiedere esoneri o particolari privilegi – ha precisato – anche perché il problema non riguarda solo i religiosi e le religiose ma anche tante famiglie immigrate”.  “Le nostre comunità sono sempre più internazionali – ha affermato suor Micaela Monetti, presidente Usmi -. Va assicurato il diritto alla salute e il diritto alla migrazione. È importante agire uniti per una concertazione con il legislatore”. “Stiamo cercando di avere chiarezza e trovare vie possibili – ha puntualizzato padre Luigi Gaetani, presidente Cism –. Non per avere agevolazioni ma per il giusto riconoscimento del lavoro sociale dei religiosi e delle religiose in Italia, nella trasparenza e nella legalità”.

Cosa è cambiato. Secondo la normativa, fondata sul decreto legislativo 286/1998, hanno diritto all’iscrizione obbligatoria gratuita al SSN tutti gli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia che lavorano o sono iscritti alle liste di collocamento, coloro che sono qui per motivi familiari, per richiesta di asilo, protezione sussidiaria, casi speciali, protezione speciale, cure mediche, attesa adozione, affidamento o hanno fatto richiesta per l’ottenimento della cittadinanza italiana. Per tutti gli altri residenti stranieri che hanno un permesso di soggiorno per motivazioni diverse – tra cui quello per motivo di religione e/o culto – era già prevista dalla legge 286/98 l’iscrizione volontaria al SSN. Gli istituti religiosi versavano 387 euro l’anno per ogni consorella o confratello extracomunitario

(dal 1° gennaio 2024 con la modifica all’articolo 49, comma 4, il contributo minimo è stato aumentato “a euro 2000 annui”),

mentre i residenti stranieri per motivi di studio 149,77 euro e le persone alla pari 219,49 euro. Anche il contributo annuo per questi ultimi due tipi di permessi è salito a cifre che variano da 700 a 1200 euro annui.

Gli accordi bilaterali. Alcune eccezioni riguardano alcuni Paesi che hanno accordi bilaterali con l’Italia di reciprocità nell’assistenza sanitaria, ma sono pochi: Argentina, Australia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Brasile, Montenegro, Capo Verde (momentaneamente sospeso), Principato di Monaco, Città del Vaticano e Santa Sede, Repubblica di San Marino, Serbia e Tunisia. “I cittadini di questi Paesi – ha spiegato l’avvocato Domenico Francesco Donati in un lungo intervento che ha toccato i vari aspetti normativi e tecnici – hanno l’assistenza sanitaria garantita per le urgenze, compresa la maternità, e in base al formulario rilasciato dal suo Paese di residenza per l’assistenza sanitaria all’estero. I costi sono a carico del Paese di residenza”. L’Italia ha poi stipulato accordi di cooperazione in ambito sanitario con una cinquantina di Paesi, ma non necessariamente prevedono l’assistenza sanitaria.

L’alternativa sarebbe la stipula di polizze sanitarie assicurative o l’iscrizione a società di mutuo soccorso. “Ma nessun accordo o nessuna polizza privata potrà mai garantire tutte le prestazioni assicurate dal Servizio sanitario nazionale”, ha precisato Donati. Ad esempio come si fa per avere le ricette dei farmaci se non si ha diritto al medico di base?

La conversione dei permessi di soggiorno. Altra strada percorribile, che alcuni istituti stanno già praticando, è la conversione dei permessi di soggiorno per motivi religiosi in permessi per motivi di lavoro, visto che tante suore lavorano ad esempio negli ospedali o nelle scuole. In ogni caso, puntualizza l’avvocato, “le cure mediche nei Pronto soccorso sono garantite a chiunque, anche senza essere iscritti al SSN. Il problema però si pone dopo, se si entra nel regime ordinario: chi paga? A quel punto serve la polizza assicurativa”.

Una Italia sanitaria a più velocità. Molti religiosi si stanno già confrontando concretamente con la tematica e hanno evidenziato tanti problemi pratici e burocratici: alcune ASL non sono nemmeno informate dell’aumento, altre non hanno i moduli necessari per l’espletamento della pratica e stanno facendo pagare il vecchio contributo (salvo poi richiedere in seguito l’integrazione). Tipico di una Italia delle regioni a diverse velocità in materia di qualità dell’assistenza sanitaria.