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Asia Bibi in Canada. Acs: «È la fine di un incubo»
Asia Bibi, la contadina di religione cristiana condannata a morte nel 2010 in Pakistan e assolta dopo un incubo durato otto anni, è arrivata in Canada. Il commento di Aiuto alla Chiesa che soffre e di Amnesty international.
«La fine di un incubo»: così Alfredo Mantovano ed Alessandro Monteduro, rispettivamente presidente e direttore di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) Italia, commentano la notizia dell’arrivo in Canada di Asia Bibi. In un comunicato stampa Acs «si stringe intorno alla famiglia di Asia Bibi, innanzitutto alle due figlie, Eisham ed Eisha, con le quali in questi mesi lunghi e difficili non abbiamo mai smesso di parlare. Abbiamo ascoltato il loro dolore e visto maturare la loro frustrazione per l’impossibilità di riabbracciare la madre, sebbene fosse stata assolta il 31 ottobre scorso».
Pur non essendo mai stato raccontato, Asia Bibi, rivela Acs, «aveva lasciato il Pakistan già il 26 febbraio scorso e viveva sotto protezione in un Paese straniero assieme al marito Ashiq. La donna è giunta in Canada ieri, ma ancora non ha potuto riabbracciare le proprie figlie». Sono passati quasi 10 anni da quando nel giugno 2009 la donna cristiana è stata arrestata per aver insultato il profeta Maometto. «Accuse false, come nel 95% dei casi di blasfemia a carico dei cristiani in Pakistan, ma che le sono costate 9 anni e mezzo di carcere, di cui 8 nel braccio della morte» sottolinea Acs.
«Quando l’8 febbraio scorso abbiamo incontrato a Lahore l’avvocato di Asia, Saif ul-Malook – raccontano Mantovano e Monteduro – ci ha descritto le terribili condizioni in cui la donna ha trascorso la sua prigionia, disegnando perfino la cella in cui Asia viveva». Una cella di otto metri quadrati in cui la madre cristiana trascorreva 23 ore al giorno, avendo soltanto mezz’ora di uscita la mattina e mezz’ora il pomeriggio. Era guardata a vista e di fatto parlava ogni tanto solo con la sua guardia. «Ma nonostante ciò ha conservato una fede fortissima, che non ha mai rinnegato a costo della sua libertà e ponendo a rischio la sua vita. Negli ultimi mesi, l’unico conforto era per lei il rosario che le era stato donato dal Santo Padre nel febbraio 2018, durante la toccante udienza con il marito e la figlia di Asia alla quale ha partecipato anche Acs».
Il caso di Asia Bibi, ribadisce Acs, «testimonia l’importanza della pressione esercitata dalla comunità internazionale. Se il mondo non si fosse interessato a lei – affermano Mantovano e Monteduro – ora sarebbe probabilmente ancora in carcere, o forse sarebbe stata addirittura uccisa». Ecco perché, sostiene Acs, «è importante mantenere alta l’attenzione sulla persecuzione cristiana. Di Asia Bibi purtroppo ce ne sono tante. In Pakistan al momento vi sono 25 cristiani in carcere per blasfemia. Mentre in tutto il mondo vi sono 300 milioni di cristiani che vivono in terre di persecuzione. Dal lieto fine della vicenda di Asia dobbiamo apprendere un’importante lezione. Se leviamo la nostra voce, se non restiamo indifferenti, possiamo vincere. Anche contro la persecuzione anticristiana».
«È un grande sollievo sapere che Asia Bibi e la sua famiglia sono in salvo. Non avrebbe mai dovuto essere arrestata, tanto meno essere condannata a morte. Il fatto che abbia subito minacce di morte persino dopo essere stata assolta ha reso la sua vicenda ancora più ingiusta», ha dichiarato Omar Waraich, vicedirettore di Amnesty International per l’Asia meridionale. «Il caso di Asia Bibi è l’esempio di quanto siano pericolose le leggi sulla blasfemia in Pakistan e dimostra quanto sia urgentemente necessario abolirle», ha aggiunto Waraich: «Queste norme sono generiche, vaghe e coercitive. Sono usate in modo sproporzionato per colpire le minoranze religiose e per accusare falsamente persone per mera vendetta privata».