Cultura & Società

Arturo Paoli, cent’anni di passione per l’altro

Fratel Arturo nasce il 30 novembre del 1912, nel centro della Città di Lucca, quella Città che porterà sempre nel cuore nel suo lungo e straordinario pellegrinare per il mondo e nella quale, dal 2006 è tornato. È ed proprio dal rapporto con questa Città che si forma il suo carattere ed il suo spirito: l’arte, le strade, l’architettura, le «cento chiese», la configurazione – con le Mura – che sembra garantire isolamento e protezione, la religiosità diffusa, la cultura, il ritmo della vita lucchese – misurato e attento – imprimono alla sua vita un carattere indelebile; così come l’amore per la libertà, emblema della Città stessa di Lucca, e la profonda ricerca intellettuale e spirituale lo avviano alla conoscenza delle principali correnti del pensiero innovatore del primo Novecento; ma è soprattutto con la gente, di ogni ceto e condizione sociale, che Arturo si apre alla avventura della vita e della storia. Una vita ed una storia che fin dall’infanzia si misurano con l’altro, fanno di lui un uomo carico di una sensibilità e di uno sguardo che non lo lasceranno mai più, capaci di vedere il profondo «chi è» della persona che è di fronte a lui.

Ripercorrere la vita di fratel Arturo Paoli è rivivere in pieno la vicenda del ’900, sia per quanto riguarda lo sviluppo della società, sia per il cammino e la vita della Chiesa. Sul risvolto di copertina di una sua recente pubblicazione, «La Pazienza del Nulla» sta scritto: «Arturo Paoli compirà 100 anni il prossimo novembre. Sacerdote, Giusto tra le Nazioni per aver contribuito a salvare centinaia di ebrei durante la seconda guerra mondiale, dirigente della Gioventù di Azione Cattolica, cappellano sulle navi dei migranti italiani in Argentina, Piccolo fratello di Charles de Foucauld. Dopo il noviziato nel deserto algerino, viene inviato in Sudamerica, dove vivrà per quarantacinque anni. Un testimone di Dio, un maestro di vita». È la sintesi di una vita che vale la pena di conoscere nei suoi tratti essenziali per afferrarne, se così si può dire, il segreto e, soprattutto, il misterioso «filo rosso» che ha tenuto insieme esperienze diverse ed anche contrastanti, lo ha esposto alla solitudine del deserto e alla ribalta della scena mondiale, alla solidarietà con i più poveri e al confronto con chi detiene il «potere del mondo», alla fedeltà alla Chiesa e alla forza di criticarla per chiederle il meglio.

«Cento anni di moltitudine… cento anni di sollecitudine…» sono tra i titoli ben azzeccati che importanti riviste nazionali hanno dedicato a fratel Arturo per il suo compleanno. Ma la vivacità e la forza di quest’uomo attingono ad altro. C’è un appuntamento, quotidiano, necessario, vitale, che – per quello che posso raccogliere – è la forza e l’ispirazione di fratel Arturo e che gli permette, anche a cento anni – e forse proprio perché a cento anni – di esprimere una straordinaria vitalità e creatività: è la fedeltà al Signore Gesù, il «Modello Unico» del suo maestro Charles de Foucauld, l’Amico – come lo chiama lui – il rivelatore dell’Amore del Padre. Un appuntamento che ogni giorno, prima del sorgere del sole, ancora nel buio della notte, lo avvolge della tenerezza e della sicurezza di Dio, gli riempie il cuore, il respiro e lo sguardo della gioia di Dio. Ci si può anche scandalizzare nel pensare questo ma credo che, oltre i problemi e i dolori, le sofferenze e i drammi che fratel Arturo ha conosciuto e vissuto, egli sia stato e sia un uomo della gioia, che vive questa condizione come dono ricevuto e come una necessità da condividere e consegnare. E che gli permette di gridare che si può e si deve «amorizzare il mondo» e gli fa cantare l’inno della vita.

ipensando ai suoi luoghi, nel suo lungo itinerario di vita mi pare di riconoscere due passioni che l’attraversano e gli danno significato. Sono due sentimenti che si intrecciano profondamente sostenendo validamente il suo operare.Voglio ricordare anzitutto la sua passione per l’altro; in primo luogo per i giovani, visti dapprima come coscienza critica di un modo di agire e poi, come destinatari di un messaggio per la rinascita della società.

I giovani dei suoi scritti non sono che il segno di una folla di giovani, anagrafici e non, che ha incontrato, ha amato, ha indirizzato verso la liberazione totale che «assume la sua pienezza in Cristo Liberatore». E ci ricorda, a noi e loro, qualcosa che a volte dimentichiamo. Infatti fratel Arturo è consapevole che «riscoprire con loro e per loro la qualità altamente umana e umanizzante della novità cristiana, attestata e rilanciata dalla Scrittura, è compito irrinunciabile della Chiesa. È questo il pane che può soddisfare la fame e la ricerca di senso dei giovani». Ed ecco l’altro polo della sua vita: Dio e il desiderio dell’incontro con Lui. Dio: conosciuto nella fanciullezza, accolto nella maturità, silenzioso e oscuro per lungo tempo. Spesso ci ha detto che «Dio per diversi mesi si è nascosto. Pensavo che insistendo, battendo alla porta, Lui aprisse. E invece quella porta l’apre quando vuole lui. Ed è questo che ho scoperto: non siamo noi che amiamo Dio, ma è Dio che ama noi». È questo Dio che, attraverso il Vangelo, gli ha fatto comprendere che «quando l’amore ferito diventa amore per gli altri, il peso della vita scompare». Proprio da questa esperienza di Dio nascono le sue scelte a favore degli ultimi e dei perseguitati perché noi «non potremo mai essere felici vivendo nella nostra solitudine… esiste un solo cammino, quello che ci ha indicato Gesù: è quello di accorgerti nella tua vita, dell’altro che ha bisogno di te, dell’altro che, magari senza parlare, guardandoti, con il suo volto, implora il tuo aiuto».

Nella quiete della collina di san Martino in Vignale dove vive, accolto con affetto dalla sua chiesa di Lucca e in compagnia degli amici e di chi gli vuole bene, fratel Arturo, lucchese cittadino del mondo, continua «a svegliare l’aurora» e a ricordarci che si può e si deve «amorizzare» questo tempo!