Cultura & Società
Arte sacra: le “Annunciazioni” e lo Spirito Santo
Una riflessione sulla "Annunciazione" di Andrea del Sarto. La pala d'altare, eseguita nel 1512, è posta nella Galleria Palatina a Firenze
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Se di un’opera d’arte s’intende decifrare la trama sottesa, l’occhio non potrà fermarsi a quanto venga in essa rappresentato, ma dovrà anche considerare quanto, al contrario, non vi sia raffigurato. Ragionando, la scorsa settimana, dell’Annunciazione di Leonardo si sono ravvisate immagini che reclamavano un’interpretazione (la montagna e il mare) e se ne sono congetturate le fonti scritturali e teologiche. Non s’è detto però di un’assenza, che invece nella vicenda dell’annuncio a Maria, tramandata soltanto dall’evangelista Luca, esige d’essere giustificata. Manca infatti nella scena concepita da Leonardo e dal teologo che lo assisteva la manifestazione sensibile dello Spirito Santo, che Gabriele esplicitamente annuncia alla Vergine: «Lo Spirito Santo scenderà su di te» (Lc 1, 35). Non c’è infatti nella tavola vinciana la “colomba”, usualmente chiamata nei dipinti a dar corpo allo Spirito. Del quale però si potrà sospettare un’originale figurazione, desunta di nuovo dalle parole di san Bernardo, cui s’è fatto frequente ricorso nel testo della domenica passata: «In quel giorno i monti hanno stillato dolcezza, […] quando dall’alto dei cieli stillava la rugiada e le nubi piovevano il giusto e la terra si apriva, germogliando con letizia il Salvatore».
Parole che si leggono nello stesso brano in cui Bernardo delinea quell’immagine del «monte dei monti» che l’altra volta s’è rivelata risolutiva per comprendere il valore simbolico del paesaggio vinciano. La descrizione che Bernardo dà dell’azione dello Spirito Santo nel momento dell’annuncio di Gabriele è liricamente evocativa d’una veridica fecondazione. Gli esiti della rugiada che stilla dal cielo e fa germogliare la terra – figura poetica dell’Incarnazione – si potranno scorgere nel giardino di Leonardo, dove un «divino austro» (come lo chiama Bernardo) sembra aver mulinato sbattendone l’erbe, spesse come salvia e roride per via di quella «rugiada» e di quella tenue pioggia che i «cieli» e le «nubi» dolcemente hanno stillato nel giorno dell’Annunciazione: la rugiada scese sull’erbe come fece lo Spirito fecondante nel grembo della Vergine.
Leonardo nella sua tavola con l’annuncio a Maria non traduce dunque in figura lo Spirito, che per sua natura è ineffabile e invisibile, ma sceglie di rappresentarne gli effetti. La maggior parte degli artisti però, rifacendosi alla narrazione del battesimo di Cristo così come si legge nei quattro evangelisti, dipinge lo Spirito Santo sotto forma di colomba: creatura semplice, candida e casta, iconograficamente consona – commentano gli esegeti biblici – allo Spirito Santo.
Per parlare di questa rappresentazione si ricorrerà a un’Annunciazione ch’è fra i lavori spiritualmente più alti e teologicamente più colti di Andrea del Sarto, maestro indiscusso di pittori spregiudicati come Pontormo e Rosso, ma anche dei maggiori artisti della Controriforma fiorentina. La pala d’altare – che fu eseguita nel 1512 per la chiesa agostiniana di San Gallo e che oggi è posta nella Galleria Palatina di Firenze – ha un’impaginazione così articolata da reclamare un’analisi ancora più puntuale di quella che sempre dovrebbe venire naturale al cospetto di un’opera d’arte. Sul proscenio si svolge l’azione principale: Maria, giovane pudìca, lievemente si ritrae al sopravvenire dell’angelo, che la saluta levitando sui vapori bassi d’una piccola nube. Dall’alto, a destra, scende in volo con ali spiegate la colomba, appunto. Fra un attimo il Verbo s’incarnerà. La scena dell’annuncio è la stessa di sempre, ma solo un occhio disinteressato non s’avvedrà che Gabriele stavolta non è venuto da solo, ma con due compagni. E sarà parimenti difficile non accorgersi del retrostante palazzo monumentale, sulla cui scalea siede un corpo nudo e dal cui fornice si traguarda una porta entro antiche mura romane. Il fornice ritagliato contro il cielo e la porta antica andranno letti come simboli d’attributi di Maria (ianua coeli), e lo stesso vale per le rose e il libro ai piedi del leggio (rosa mystica e sedes sapientiae). Ma qual è il ruolo del nudo sulla scalea? Nudo in cui talora è stata riconosciuta Betsabea (che David osserverebbe dalla terrazza del suo palazzo), talaltra Susanna (coi «vecchioni» che sempre dalla terrazza la guarderebbero). Verrà però di chiedersi se in quel nudo, peraltro atteggiato in una posa da Ares Ludovisi, non sia invece maschile.
Ipotesi che troverebbe conforto nella lettera di san Paolo ai Romani, dove Adamo è «figura di colui che doveva venire» (Rm 5, 14). E il monaco agostiniano chiamato ad affiancare Andrea del Sarto nell’impostazione teologica dell’Annunciazione avrà fatto ricorso a un’omelia d’Agostino sulla prima lettera di Paolo ai Corinzi: «se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1 Cor 15, 21-22). Cristo – che ora Maria accoglie in sé – è dunque il «nuovo Adamo»; sicché nel nudo della pala, col viso rivolto a Maria, sarà da scorgere proprio Adamo. Un Adamo velato, perché ha già trasgredito. Andrea – s’è detto – dipinge Gabriele con due compagni angelici: Gabriele reca l’annuncio e i due angeli stanno in adorazione di quell’istante iniziale dell’Incarnazione. Di nuovo, per capire, si dovrà ricorrere ad Agostino, secondo cui sono due gli uffici degli angeli: essere latori della volontà di Dio ed essere contemplatori della sua gloria. E così li figura Andrea.
Resterebbe infine da chiarire chi siano i personaggi sulla terrazza; i quali sembrano instaurare una relazione con gli angeli sul primo piano. In quelle figure in alto si potrebbero allora scorgere l’effigi di coloro che nell’Antico Testamento predissero la venuta del Salvatore. Isaia in primis; con la profezia del concepimento da parte d’una vergine. D’altronde è proprio Agostino a insegnare che Dio per i suoi messaggi si serve dei profeti e degli angeli. Ed è sempre Agostino a dire in un’omelia che «anche il profeta fu chiamato angelo» (Agg 1, 13).
(3 – continua)