Cultura & Società

Arte sacra: come accostarsi alle “Annunciazioni”

In occasione dell'Avvento e guardando al Natale ospitiamo un breve ciclo di rilettura di alcune opere d'arte sul tema. In preparazione a questo lavoro, proponiamo una necessaria riflessione sul valore didattico delle opere del passato

Annunciazione del Beato Angelico (Firenze, Convento di San Marco)

L’Avvento è un tempo di riflessione in vista della venuta del Figlio di Dio. Tempo dunque d’attesa e di speranza, oggi più che mai avvertita dal cuore e dalla mente d’ognuno per la congiuntura grave che incombe sull’umanità tutta. E appunto la concomitanza drammatica d’eventi minacciosi più che mai induce all’esercizio della speranza, ch’è da reputare addirittura distintiva della religione cristiana (oltre che fulcro dell’imminente Giubileo). L’accadimento dell’annuncio alla Vergine può fare da emblema ai sentimenti che informano i concetti peculiari dell’Avvento, giacché la fede (della speranza gemella) è la virtù che consente a Maria d’accogliere la volontà umanamente inammissibile di Dio.

Per essere episodio cruciale dell’esistenza terrena di Cristo e al contempo della redenzione dell’uomo, l’Annunciazione è sempre stata oggetto privilegiato dalla committenza artistica della Chiesa. Le sue innumerevoli rappresentazioni – quasi sempre amabili e accostanti – sono nel novero delle immagini sacre più diffuse; ma, proprio per questo, quasi mai se ne commentano le pur differenti versioni. Invece l’altezza lirica di tante Annunciazioni esigerebbe la comprensione della trama teologica su cui ciascuna di esse è fondata.

Non ci sono sugli altari delle chiese opere d’arte che non siano state eseguite per comunicare al popolo di Dio principî o misteri della fede cristiana, sicché la semplice identificazione del soggetto figurato su un altare non basta a dare conto del suo significato riposto. È facile riconoscere un’Annunciazione in una scena dove un angelo incontra una fanciulla schiva e turbata; molto meno facile è capire quale sia la trama teologica che la sottenda, per solito celata nel corredo di figure che all’episodio fanno contorno e che sovente ne serbano la chiave di lettura, il codice interpretativo.

Non è detto che tutti i dilemmi iconografici si possano sciogliere, giacché tanti sono gl’impedimenti che si frappongono alla nostra comprensione: il lungo tempo trascorso, il mutare delle culture, le diversità linguistiche. Ma le difficoltà della ricerca non possono indurre all’idea che quanto è stato figurato in un’opera abbia un valore meramente estetico. Quantunque talora possa anche essere così, nella più parte dei casi quel ch’è stato rappresentato è indizio di un disegno teologico che dev’essere ricostruito se si vuole davvero apprezzare appieno il testo figurativo che s’è scelto di leggere.

E qui nasce il problema che tutto confonde e offusca: la comprensione di un’opera d’arte nella sua pienezza interessa ancora, o quel che di essa attrae è la risonanza imposta dalla comunicazione di massa? Nei musei (ma anche nelle chiese, quando si visitino per conoscere il loro patrimonio d’arte) si va per capire, o per sbalordire al cospetto di capolavori che un’industria culturale (sempre più rozza) ha trasformato in feticci, svuotandoli della loro altissima poesia? E però all’industria culturale i feticci servono, perché sono indispensabili all’unico obiettivo – il danaro – cui al giorno d’oggi si mira in ogni impresa. Difatti chi cerchi (e sono i più) un guadagno facile e sicuro aspira al mantenimento e all’incremento dei feticci. E il feticcio è l’esatto contrario della poesia, della cultura e anche della fede.

Quando le opere recuperano la loro finalità originaria, ch’è quella di comunicare pensieri, declina il loro potere d’icone esaltate da un turismo che aspira ognora a omologare comportamenti e consumi, soffocando qualsiasi curiosità. Invece è proprio nella curiosità intellettuale, nel desiderio di conoscenze nuove, nella ribellione al conformismo, che specialmente le creazioni d’arte ritrovano il loro valore di testi (figurativi, s’intende) da leggere con lo stesso spirito e la stessa disposizione che s’impegnano nella lettura di qualsivoglia testo. Testo che sempre è per metà lingua e per metà pensiero; sicché, quando si trascuri l’una o l’altro, quella che siamo avvezzi a chiamare «bellezza» ne sortirà per forza dimidiata, se non vanificata.

Se poi – come ora – si ragioni di temi sacri, sarà ancora più agevole persuadersi di quanto in un’opera d’arte sia indispensabile la comprensione del pensiero che la sottenda, del disegno iconologico, insomma. Le tavole d’altare erano reputate dal popolo dei fedeli (e tuttora sarebbe bene lo fossero) l’espressione in figura d’episodi desunti dalle Scritture, d’agiografie esemplari, di misteri della fede e di concetti teologici anche ardui. E, quando al popolo di Dio l’interpretazione d’una pala fosse ardua, toccava al clero la sua spiegazione. In antico alle tavole d’altare – oggi distrattamente guardate alla stregua d’oggetti di mero arredo – si riconosceva soprattutto un valore didattico.

Questo lungo preambolo non s’è però fatto a caso. Era necessario, prima d’accostarci a opere d’arte in cui è figurato l’episodio dell’annuncio a Maria, fare chiarezza sull’importanza della lettura dei contenuti nei dipinti con storie sacre, giacché gli artisti incaricati d’effigiare un’Annunciazione non erano turbati dall’esecuzione delle figure di Gabriele e della Vergine, bensì dal problema, iconograficamente terribile, di dare corpo all’invisibile, essendo sostanza stessa delle Annunciazioni l’impervio mistero dell’Incarnazione.

Il breve ciclo che Toscana Oggi dedica alla rilettura d’opere d’arte connesse all’Avvento, prende avvio da un’Annunciazione – quella del giovane Leonardo – ch’è esemplare per valutare la correttezza critica dell’approccio qui proposto come ineludibile. Guardando con uno spirito nuovo l’Annunciazione vinciana ci s’avvedrà quanto la sua concezione, in apparenza chiara e lineare, esiga in realtà d’essere teologicamente indagata; dimostrando pertanto come il disvelamento della trama teologica sia imprescindibile per restituire alle opere d’arte l’interezza del loro valore. E proprio di questa tavola di Leonardo, oggi agli Uffizi a Firenze, si ragionerà nel prossimo numero.

(1- continua)