Arte & Mostre
Arte, c’è la mano del giovane Michelangelo nella «Pietà» di Marcialla
Un vero e proprio tesoro dell’arte italiana è custodito in piazza Brandi, nella chiesa di Santa Maria a Marcialla, in Valdelsa. L’affresco monumentale che raffigura la Pietà nasce da un disegno di Michelangelo Buonarroti (1475-1565). Ci sono voluti decenni, ricerche, studi ma alla fine il percorso della storia dà ragione alla saggezza e alla tradizione popolare e ricompone i tasselli di un mosaico aperto da decenni. Dalle fonti documentaristiche, dagli studi di memoria e storia locale, come quello dell’ex farmacista Elsa Masi, alle ipotesi dei grandi critici e scrittori italiani e stranieri che dalla metà del ventesimo secolo diffondono le proprie teorie sulla paternità michelangiolesca: Giovanni Papini, Robert Weiss e più recentemente James Beck, William Wallace. Michelangelo ha progettato, disegnato e probabilmente in parte realizzato una Pietà per il convento di Marcialla all’età di quindici anni.
Il dato da cui prende le mosse la ricostruzione storico-artistica è la presenza documentata di Michelangelo nel territorio valdelsano, area di confine tra Barberino Val d’Elsa e Certaldo. L’artista, adolescente, fu ospite dei frati agostiniani a Marcialla alla fine del quindicesimo secolo. E’ proprio in quegli anni, tra il 1490 e il 1495, che il giovane decise di ricambiare l’accoglienza dell’ordine religioso, che risiedeva nel luogo dove oggi è situata la chiesa di Santa Maria a Marcialla, offrendo in segno di riconoscenza il disegno e il progetto di una Pietà. Benché non ci siano elementi certi che lo testimoniano, si suppone che la permanenza in campagna di Michelangelo sia legata alla cacciata da Firenze del suo mecenate, Lorenzo il Magnifico. E’ probabile che l’artista sia stato invitato ad allontanarsi dalla città per evitare di essere coinvolto nei dissidi politici che si stavano verificando in quel periodo.
Il cartone di mano michelangiolesca, che si distingue per semplicità, limpidezza della composizione, armonia nelle forme, impianto piramidale, tonalità acquerellate, è la certezza sulla quale si costruisce l’attribuzione elaborata dallo studioso di New Orleans Robert Schoen, uno dei massimi esperti di Michelangelo di fama internazionale. E’ stato lo studioso americano a definire e confermare la paternità michelangiolesca dell’affresco che adorna il braccio destro dell’ex convento durante la visita alla chiesa di Santa Maria a Marcialla, accogliendo l’invito del sindaco Giacomo Trentanovi. L’appello era stato rivolto agli specialisti dell’arte dal primo cittadino di Barberino Val d’Elsa in occasione del G7 della Cultura.
La paternità michelangiolesca è ora sostenuta con ricerche inedite da Robert Schoen, esperto che da trent’anni si dedica allo studio di Michelangelo. Schoen nel 1984 divenne celebre per aver identificato e localizzato a New York il «Cupido» realizzato da Michelangelo nel 1497 e di cui era andata perduta la memoria per cinque secoli.
«La tradizione popolare legata alla convinzione della comunità di Marcialla di ospitare in casa propria un Michelangelo è assoluta corretta – dichiara Schoen – in questo affresco c’è l’anima di Michelangelo, la purezza di un giovane e talentuoso artista che stava affiorando nel quindicesimo secolo, la cui presenza è leggibile in tanti elementi compositivi del dipinto, soprattutto nella ricerca e nell’attenzione alla realizzazione delle parti anatomiche delle figure che costituiscono l’opera. In particolare nella sezione di destra dove è presente uno dei due ladroni che si distingue dal resto della composizione proprio per la resa anatomica».
Quanto all’iscrizione, l’acronimo rinvenuto sopra l’altare, alla base del dipinto, BMF, l’esperto americano ritiene che possa essere attribuita all’uomo di fiducia, amico di Michelangelo, Bastiano Mainardi (1466-1513), genero di Domenico Ghirlandaio, coinvolto negli anni successivi nella realizzazione del dipinto. «Il prossimo passo – aggiunge il sindaco – è l’approfondimento tecnico dell’opera che avverrà nelle prossime settimane con l’utilizzo di strumentazioni ad infrarossi. Seguiamo il percorso che ha suggerito oggi l’esperto, ci avvarremo di tecniche e metodologie, specifiche e puntuali, con l’obiettivo di esaminare l’opera dal punto di vista pittorico, abbiamo già fissato un nuovo incontro con Schoen tra il 5 e il 7 maggio in cui effettueremo una nuova valutazione attraverso l’uso di macchine fotografiche digitali che spingono ed estendono lo spettro visibile ai raggi infrarossi».
Ma c’è chi non accetta la nuova attribuzione. Cristina Acidini, ex soprintendente del Polo museale fiorentino e una delle massime esperte di Michelangelo (nel 2008 ha redatto il catalogo completo delle opere dell’artista) ritiene che il caso non sia mai stato aperto e che l’affresco sia da attribuire a Tommaso Di Stefano Lunetti, «uno dei tenati che nel Cinquecento hanno acquisito la lezione di Michelangelo».