Cultura & Società

Arpa e cetra, gli strumenti dell’Antico Testamento

di Valeria NovembriIl primo riferimento alla musica nella Bibbia si trova poco dopo il racconto della creazione: insieme alla pastorizia e all’artigianato essa riveste un ruolo di primo piano come primordiale manifestazione di civiltà. In Genesi 4,21, infatti, Iubal, uno dei discendenti di Caino, ci viene presentato come «il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto», mentre i suoi fratelli Iabal e Tubalkàin incarnano rispettivamente «il padre di quanti abitano sotto le tende accanto al bestiame» e «il fabbro, padre di quanti lavorano il rame e il ferro».

In questa prima menzione degli strumenti musicali appartenenti alla tradizione ebraica, si può facilmente notare una non casuale distinzione fra strumenti a corda (la cetra) e strumenti a fiato (il flauto). Pare che una simile suddivisione non fosse priva di significato: i primi, tra cui la lira, l’arpa e la cetra, che servivano ad accompagnare il servizio liturgico, erano gli strumenti propri dei leviti, incaricati dell’esecuzione musicale all’interno del Tempio, mentre i secondi e in particolare il corno, generalmente di ariete o di capro, mai di bue, e la tromba, realizzata in metallo prezioso, erano destinati ai sacerdoti, a causa della loro notevole componente simbolica.

Con uno strumento a fiato, infatti, lo jobel, o «tromba dell’acclamazione», si dava inizio all’anno giubilare, mentre il corno d’ariete, lo shophar, aveva accompagnato la rivelazione di Dio a Mosè sul monte Sinai (Es 19,19) e, insieme alla tromba, la hazozrah, aveva manifestato la sua potenza devastatrice in contesti di guerra. Durante la presa di Gerico da parte di Giosuè, infatti, sette sacerdoti per sette giorni suonarono questi strumenti, guidando l’esercito in marcia intorno alle mura della città; al settimo giorno, al segnale dello shophar, il popolo di Dio lanciò il grido di guerra e le mura di Gerico crollarono. Le trombe dovevano accompagnare gli olocausti e i sacrifici pacifici, così come era avvenuto al momento dell’ingresso dell’arca dell’alleanza a Gerusalemme (2 Sam 6). La consacrazione del Tempio di Salomone (2 Cr 5,12-13), invece, era stata celebrata da una vera e propria orchestra, in cui i leviti suonavano cembali, arpe e cetre all’unisono con centoventi sacerdoti muniti di trombe. È da questa lunga tradizione, legata a contesti eccezionali, a momenti di penitenza, ma anche di gioia e di incontro con Dio, che la tromba, nel libro dell’Apocalisse, potrà diventare lo strumento deputato ad annunciare la fine dei tempi e l’imminente arrivo del giorno del Signore.Per quanto riguarda il culto e la liturgia del Tempio, gli strumenti più usati erano il kinnor e il nebél, che si è soliti identificare con l’arpa e la cetra. Davide era abilissimo nel suonarli, la sua musica aveva addirittura potere terapeutico: soltanto lui riusciva ad alleviare le pene del re Saul «quando lo spirito cattivo lo investiva» (1 Sam 16,23). Davide fu il riorganizzatore della musica cultuale: a lui è attribuita gran parte dei Salmi, ma anche l’invenzione di molti nuovi strumenti musicali (Am 6,5); egli stabilì che 4000 leviti suonassero i suoi strumenti per rendere lode al Signore (1 Cr 23,5) e creò classi di cantori e suonatori addetti alla liturgia (1 Cr 15,16-24). Oltre che dagli strumenti a corda, «l’orchestra» del Tempio era composta anche da alcuni strumenti a fiato, come l’oboe doppio, e da percussioni: cembali, timpani e sistri, più volte citati nel libro di Samuele e nei Salmi.Accanto agli strumenti di carattere liturgico il popolo ebraico ne conosceva altri, «laici», usati nelle feste tradizionali, durante i matrimoni o per allietare la mietitura e la vendemmia: vari tipi di flauti, fatti di canna, osso o legno, tamburelli, sistri e timpani, particolarmente adatti ai ritmi sostenuti e allegri delle danze. Pare che questi strumenti fossero strettamente legati al mondo femminile: dopo il passaggio del mar Rosso, Maria, sorella di Mosè, guidò le danze delle donne al suono dei timpani (Es 15,20), mentre, al ritorno di Davide dalla vittoria su Golia, le donne di Israele cantarono e danzarono incontro al re Saul, accompagnandosi «con i timpani, con grida di gioia e con sistri» (1Sam 18,6). Manifestazioni di giubilo come queste dovettero apparire assolutamente fuori luogo al popolo ebraico durante la deportazione babilonese, quando le cetre furono appese ai salici (Sal 137,2), ma soprattutto dopo la distruzione del secondo Tempio nel 70 d.C., quando, in segno di lutto, tutta la musica strumentale fu proibita dai rabbini: la liturgia delle sinagoghe al tempo della diaspora fu limitata all’esecuzione vocale. Nacchere e incenso: lo strano caso di SivigliaNella Bibbia si suona, si canta e si balla. Secondo il libro dell’Esodo, dopo il prodigioso attraversamento del Mar Rosso, la profetessa Miriam, sorella di Mosè e di Aronne, formò con le donne cori di danze. Un modo per rendere grazie a Dio, come avveniva ed avviene nella maggior parte delle religioni del mondo. Nel Nuovo Testamento, invece, la danza viene associata ad un contesto negativo: chi balla è la figlia di Erodiade, in un ambiente contaminato dal peccato e la ricompensa per quella esibizione è la testa di Giovanni il Battista. La danza asssume in questo caso connotazione negativa: la sua dimensione di linguaggio del corpo, la sua evidente carica di sensualità fecero sì che essa rimanesse fuori dal rituale cristiano. Tuttavia l’apocrifo Protovangelo di Giacomo racconta che Maria, portata al Tempio a tre anni, ballò con i suoi piedini davanti all’altare e forse, se si interpreta bene un celebre passo di Giovanni Crisostomo, viene il sospetto che nella Costantinopoli del sec. V qualche traccia di un ritmico muoversi in chiesa ci fosse.

Nella splendida cattedrale di Siviglia, invece, ancora oggi avviene qualcosa di assolutamente eccezionale, per la festa del Corpus Domini e dell’Immacolata. Al suono delle nacchere, dieci ragazzini di età non superiore ai dodici anni, data che segna la fine dell’infanzia e l’inizio della maturità fisica, si scatenano in un flamenco. Sono i mitici Los Seises, perché un tempo erano sei.

Tutto inizò nel XIII secolo, quando Urbano IV, nell’istituire la solennità del Corpus Domini, raccomandò a tutti i fedeli di celebrare nella gioia la festa del Signore. A Siviglia non se lo fecero dire due volte e obbedirono con la danza che è parte integrante della civiltà andalusa. Il papa ne prese atto con qualche perplessità e permise che si continuasse la tradizione finché non si fossero consumati i costumi.

Ma i sivigliani furbi, rifacendo orli, sostituendo maniche, rinforzando bottoni, obbedirono a modo loro al pontefice: nella loro cattedrale esprimono da secoli in maniera coerente la loro letizia e la loro fede con nacchere e battito di tacchi.Elena Giannarelli

Pregare a passo di danza