Arezzo Wave lascia Arezzo. Il festival rock che ha legato il suo nome alla città se ne va: con tutta probabilità a Firenze. Lo ha deciso il patron della manifestazione, Valenti, con un tempismo perfetto. Proprio mentre la rassegna di musica era finita nell’occhio del ciclone per un servizio trasmesso dal programma di Italia1 «Le Iene» sul commercio a cielo aperto e il consumo di stupefacenti nel campeggio di Arezzo Wave, si è riusciti a spostare l’attenzione dalla questione droga al «dramma (quasi) collettivo» del trasloco dell’evento.E così da un festival ad alto volume si è passati al festival dei silenzi. Silenzio sulla tendopoli dei giovani ospiti che anno dopo anno si è trasformata in un porto franco. Silenzio sul ruolo degli organizzatori che si sono scaricati di dosso ogni responsabilità legata a tutto ciò che esula dai concerti. Silenzio sull’impegno altalenante delle istituzioni che continuano a parlare di appuntamento culturale e che si preoccupano sulla stampa della destinazione dei finanziamenti legati al festival lasciando ai margini ciò che, invece, salta agli occhi e dovrebbe interrogare un’intera città. E’ il vuoto esistenziale che emerge nei giovani ospiti del festival. Un vuoto che è figlio del disorientamento e che viene riempito da tutto e dal contrario di tutto facendo perdere di valore persino alla vita che viene annientata con miscele di droghe e alcol fra le tende di un accampamento senza controlli. Ecco il volto oscuro di Arezzo Wave che ci dovrebbe stare a cuore: quello della ricerca confusa di senso in mezzo alla massa e non quello del business o dei grandi numeri.Epperò va anche detto che è errato pensare che, se il festival cambia sede, Arezzo vedrà risolto il problema del campeggio prigioniero della droga. Sarebbe come accettare la logica del «non-si-vede-allora-non-esiste». Certo, la tendopoli non ci sarà, ma tutto il suo carico di disagi e illegalità si trasferirà altrove. E la città non se ne sarà liberata. Anzi, avrà rinunciato (come ha fatto in questi anni) a tendere una mano a chi fra i sacchi a pelo si rifugiava negli stupefacenti