Cultura & Società
Apocalypsis, un oratorio fra musica e fede
Alla voce «Apocalisse» troviamo invece due opere musicali, una di Gian Carlo Menotti del 1951, che è in forma di poema sinfonico e che al titolo Apocalisse fa seguire il sottotitolo «impressione poetica»: un lavoro ispirato all’Apocalisse di San Giovanni e a altre versioni apocrife (Apocalisse di Baruch e Libro di Enoch, principalmente), diviso in tre parti, «Improperia», «La Città Celeste» e «Gli angeli militanti». L’altro, del 1939-1941, è un oratorio fantastico in un prologo e tre parti di Jean Francaix dal titolo Apocalypse selon Saint-Jean.
Il Prologo è costituito da «Titolo e carattere del libro» e «Saluto di Giovanni alle 7 Chiese». La Parte prima è costituita da «Visione di Gesù Cristo glorioso», «Comando a Giovanni di scrivere», «Lettera alle 7 Chiese Moniti e promesse (Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatìra, Sardi, Filadelfia, Laodicea)». La Parte seconda è la più imponente dell’oratorio con i suoi sedici capitoli, racchiusi in quattro sezioni: «Visioni simboliche e lotte della Chiesa», «Visioni intermedie», «Visione preparatoria», «I 7 segni». La Parte terza tratta infine del «Trionfo di Cristo e della Chiesa», cui segue infine un Epilogo che chiude l’ampio lavoro. L’oratorio, che comprende il testo integrale latino di Giovanni, è scritto in occasione del diciannovesimo centenario della «redazione finale del testo stesso, individuata negli anni 95-96 (Alfred Läpple)».
Molte sono le cose che colpiscono di questo oratorio Apocalypsis (l’ultimo scritto da Menichetti dopo L’Epifania del Signore 1947-1986, Il figlio della vedova di Naim Risuscitato 1950, Giovanni Battista 1952-1992, La guarigione del cieco nato 1991, San Giacomo 1994, editi da Bongiovanni, Multipromo, Carrara): innanzi tutto l’intero testo di Giovanni, musicato integralmente per la prima volta. Un lavoro di proporzioni dunque epiche, che con una modestia ragguardevole Menichetti comunica di depositare in Archivio solo perché ai posteri ne rimanga memoria: è a questo compito che rispondiamo volentieri con questa nota. Ma Menichetti spera naturalmente in una sua possibile esecuzione, e a tal fine prescrive in partitura anche gli abiti che gli esecutori dovranno indossare, così come ricorda che gli squilli delle «7 trombe» dovranno essere affidati a 4 cornette, per differenziarle dalle trombe d’orchestra.
È evidente che Menichetti scriva oratori come atto di fede, cercando di tradurre nella sua lingua, la musica, la sua personale e intima preghiera. E siccome «la Rivelazione offre un testo prevalentemente narrativo-descrittivo», il compositore esprime la scorrevolezza del canto con un «parlar-cantando», anche se lascia qualche spiraglio lirico-drammatico di tanto in tanto. Egli non riconosce alla musica qualità «esegetiche»: per comprenderla è dunque fondamentale che a priori si legga e si assimili il testo con uno «sguardo di Fede». Tale è il suo intento programmatico nel «narrare in canto» l’Apocalisse. Non bisogna dunque aspettarsi nessun sensazionalismo apocalittico (come quelli, per intenderci, che riempivano la descrizione dell’Apocalypsis cum figura di Thomas Mann): è la parola che deve dominare su tutto. Il canto e le forme strumentali sono suggerite dalle parole, e anche l’orchestra si fonda con esse. Queste almeno le proposizioni dell’autore.
Un oratorio che sarebbe per tanti motivi davvero bello poter ascoltare, proprio per l’unione di aspetti molteplici che nell’insieme costituiscono un monumento musicale a cui solo una esecuzione può dare conto. Un oratorio, questo Apocalypsis, da leggere come atto di fede o come espressione dell’arte musicale del Novecento? A questa domanda lasciamo volentieri che sia il tempo, sovrano e prìncipe, a rispondere a noi e all’Autore di questo lavoro, a cui va il nostro plauso e la nostra gratitudine, e l’augurio di una auspicabile esecuzione.