Vescovi Toscani

Antonelli: Pino Arpioni, preghiera, passione per la gioventù, impegno per l’ecumenismo e la pace

Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia pronunciata dal card. Ennio Antonelli, arcivescovo di Firenze, sabato 6 dicembre 2003, in Cattedrale, nella messa di esequie di Pino Arpioni.

Un saluto affettuoso ai fratelli Vescovi, ai sacerdoti, alle autorità, ai giovani e a tutti i presenti. Il numero elevato dei Vescovi, dei sacerdoti, delle autorità e dei fedeli è un segno eloquente; parla da solo del nostro amico Pino, della sua grande personalità di uomo e di cristiano.

[1]Ogni volta che ci stringiamo intorno alla Mensa dell’Eucaristia lo facciamo perché vogliamo rendere grazie. E’ il nostro grazie a Dio per le meraviglie da Lui compiute. E’ il nostro grazie al Padre per mezzo di Gesù suo Figlio che ha dato la sua vita per noi e nel quale anche noi per il dono dello Spirito Santoabbiamo la vita: vita in pienezza e senza fine. «Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore» (Sal 116,12-13).

Oggi, intorno a questa mensa, in questa eucaristia, noi vogliamo rendere grazie a Dio specialmente per la vita di Pino, che su questa terra si è chiusa tre giorni fa, ma che è sbocciata in cielo davanti a Colui che egli aveva intensamente amato e fedelmente servito, fatto conoscere e incontrare a tante persone.

E’ un momento doloroso, questo, per quanti siamo stati amici ed estimatori di Pino. La mestizia però non vela la nostra fede né la nostra sicura speranza: «la vita non è tolta, ma trasformata» e il bene fatto porta frutto per il Regno di Dio.

[2]Ognuno di noi qui presente potrebbe raccontare la sua esperienza con Pino, ciò che lo ha toccato nell’intimo in virtù di quella irradiazione spirituale che un uomo di Dio – e Pino lo era – riesce misteriosamente sempre a trasmettere, quali che siano i suoi limiti umani. Personalmente, fin dal primo incontro che ho avuto con lui, ho subito trovato una forte sintonia, anche affettiva.

Mi è sembrato di ritrovare in lui qualcosa di Giorgio La Pira, quasi avesse ereditato una parte del suo spirito, un po’ come Eliseo aveva ereditato una parte dello spirito di Elia. Lo abbiamo ascoltato nella prima lettura con la testimonianza dei giovani di Gerico: «Lo spirito di Elia si è posato su Eliseo». In modo simile, lo possiamo senz’altro dire, lo spirito di Giorgio è passato a Pino.

Certo, Giorgio La Pira e Pino Arpioni, per quanto fossero amici, erano di carattere assai diversi l’uno dall’altro. Il primo era estroverso e vivace, il secondo più riservato e schivo. Eppure nel volto e negli occhi di entrambi brillava la stessa luce. Erano entrambi uomini di Dio. Con molti valori in comune. Tre in particolare ne vorrei sottolineare oggi qui con voi: la preghiera; la passione per la gioventù; l’impegno per l’ecumenismo e per la pace.

a) Che La Pira fosse uomo di grande preghiera è noto a tutti. Le ore passate in adorazione davanti al Ss.mo Sacramento alimentavano la fiamma che sosteneva e illuminava il suo impegno quotidiano nel mondo. Fioretta Mazzei scriveva: «La Pira fu uomo di grande preghiera, diciamo pure di eccezionale preghiera; fu davvero un contemplativo, un penitente, un impetratore di grazia per sé e per gli altri. Ore di preghiera, nottate intere di preghiera, nei suoi tempi più giovani, raccoglimento di ogni mattina per tutta la vita. […] Non si immagina fino a che punto egli abbia dato importanza a questo tempo di preghiera. Di questo scrive moltissimo e parla sempre, insiste di fare altrettanto: orientare tutta la giornata intorno alla comunione, farne la preparazione e il ringraziamento; riservare al Signore il tempo migliore, il più vivo, il più attento, il più affettuoso; imparare “la dolcezza mite del Crocifisso”: sono parole sue. Il suo attaccamento per la Madonna poi è incredibile; a lei pensa moltissimo, medita e chiede di imitare la freschezza e la luminosità della sua anima – “piena di grazia” –; la sua accoglienza del mistero di Dio» (FIORETTA MAZZEI, La Pira – Cose viste e ascoltate, L.E.F. 1981, pp. 18-21).

In una lettera indirizzata a Pino nel 1969 per i partecipanti del turno Giovani a La Vela, Giorgio La Pira scriveva: «Caro Pino, quando si parla di grazia, di preghiera, di vita interiore, di devozione alla Madonna, di purità e così via, non si parla di cose passate: si parla delle cose essenziali degli uomini in generale e dei giovani in modo speciale. […] Siamo fatti per salire la scala interiore che ci conduce a Dio: ecco il “mistero” della persona umana: quello di ieri, quello di oggi e ancora più di domani!» (da Prospettive, nn. 5/6 Luglio-Agosto 1969, pp. 4-6).

Attraverso Pino questa forte spiritualità è passata all’Opera per la gioventù “Giorgio La Pira”. In quella che potremmo considerare una sorta di carta d’identità dell’Opera – l’editoriale “Ripensando La Vela”, apparso sul numero 12 di Prospettive (Settembre-Ottobre 1970, pp. 1-4) – si legge: «Oggi un discorso sull’importanza e sulla validità del mondo interiore della persona, di quella che è la vita di grazia e di rapporto con Dio nella preghiera, è ritenuto sorpassato, indegno anzi […] dell’uomo del duemila tutto proteso all’edificazione di un mondo in cui si presume di fare a meno di Dio, in cui l’importante, al massimo, è risolvere il problema della guerra, della fame, dell’ingiustizia. Il discorso su Dio, sulla fede, sulla grazia e sulla preghiera non si fa, anzi si ha paura di farlo perché si teme di non essere “moderni”, di non camminare con i tempi. […] Noi invece riteniamo di massima e di primaria importanza un discorso di questo tipo perché crediamo che Dio e l’uomo sono due realtà che non si possono separare. […] Sono la preghiera e l’incontro con Dio che ci plasmano uomini sempre nuovi, pronti ad adempiere la volontà di Dio, che è sempre il bene di tutti gli uomini. E’ nella preghiera che moriamo al nostro orgoglio e al nostro egoismo e rinasciamo, e risorgiamo a vita nuova».

Non ci stupisce allora che anche Pino fosse un uomo di grande preghiera. Lo leggevi nei suoi occhi limpidi, nel suo volto luminoso e in pace. Egli viveva immerso in molteplici attività e relazioni, ma tutto partiva dal rapporto con Dio e ad esso ritornava. E’ stato, fino all’ultimo, fedele alla preghiera ed alla liturgia delle ore. Quando non ha potuto farlo da sé perché non poteva più leggere o parlare, si faceva recitare l’ufficio da chi aveva accanto.

Nell’ultima sua degenza in ospedale ho avuto con lui due incontri particolarmente intensi. Il primo è avvenuto il 6 novembre scorso. Mi ha voluto confidare il suo stato d’animo. Io l’ho ascoltato con commossa attenzione e, appena ritornato a casa, ho voluto mettere per iscritto quello che mi aveva detto, il più fedelmente possibile. Vale la pena riascoltare insieme oggi la sua testimonianza. «Questa mattina» – diceva – «ho avuto una prova spirituale dura. Ho sperimentato la desolazione di Gesu: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato. Ma la Madonna è stata vicina a me come a Gesù, accanto alla sua croce. Così ho potuto superare la prova, riaffermando la mia fiducia e obbedienza verso Dio. Dopo mi è venuta una grande gioia». E davvero la gioia gli si leggeva sul volto. Quindi ha aggiunto che un’esperienza simile l’aveva fatta da giovane, quando, dopo diciotto giorni di massacrante viaggio in treno, era giunto esausto al campo di concentramento in Germania. Anche allora aveva avuto la percezione di una speciale protezione della Madonna sulla sua vita: una singolare esperienza spirituale da cui aveva ricevuto conforto e coraggio per affrontare gli orrori della prigionia. «Così» – concludeva – «in tutta la mia vita fino a oggi mi sono sentito sotto lo sguardo materno di Maria».

Lunedì scorso sono tornato alla clinica medica di Careggi a fargli visita. Non riusciva a parlare. Ma capiva benissimo. Accompagnava le preghiere muovendo le labbra con un filo di voce. Quando gli ho chiesto «Prega per me, quando sarai in Paradiso» ha fatto cenno di sì e quando gli ho detto «Arrivederci in Paradiso» ha risposto con un luminoso sorriso.

Mercoledì scorso è morto appena conclusa la preghiera del mattino che aveva voluto fosse recitata da chi lo assisteva: ha atteso il segno della croce ed è spirato. Poi, come aveva chiesto, il Te Deum, inno di lode e di ringraziamento, recitato dai circostanti, lo ha accompagnato davanti a Dio.

b) La seconda caratteristica che Pino Arpioni aveva in comune con Giorgio La Pira era la passione educativa per i giovani.

Nei primi anni Settanta il Professore venne a dimorare a Casa Gioventù e rientrando dal suo studio soleva salutare i “ragazzi di Pino” con un «Cose grandi, ragazzi!». Sui giovani riponeva una immensa fiducia, vedeva in loro la primavera della storia, le rondini che annunciano l’arrivo della primavera.

La passione educativa per i giovani di Pino Arpioni si è sviluppata in piena sintonia con quella di Giorgio La Pira. In una delle rarissime interviste concesse in quasi cinquant’anni di attività (Toscanaoggi, 16 giugno 1996, p. 15), Pino descriveva come dall’esperienza del campo di concentramento fosse maturata in lui «l’idea che la formazione dei giovani deve tener conto di questi due aspetti: l’aspetto religioso e quello sociale. La possibilità che ho avuto in seguito di lavorare a stretto contatto con il prof. La Pira mi ha aiutato maggiormente a capire queste cose; La Pira diceva sempre che un cristiano deve tenere in una mano la Bibbia e nell’altra il giornale: qui è la sintesi della giusta formazione dell’uomo». A partire da questa intuizione, Pino ha portato avanti la sua azione educativa intorno ai tre centri dell’Opera – la Vela, il Cimone, la Casa Alpina in Val d’Aosta – adeguando continuamente gli strumenti alle mutevoli situazioni ed esigenze dei giovani, ma lasciando immutati gli orientamenti di fondo. Teneva bene a mente il motto di Giorgio La Pira “Avanti ma fermi”: avanti rispetto alla situazione presente, ma fermi e fedeli rispetto a Cristo, alla Chiesa e ai valori fondamentali. Nell’editoriale “Ripensando La Vela”, del 1970, troviamo scritto: «Un secondo valore caratterizza il nostro sforzo educativo e formativo dei giovani: l’amore alla Chiesa. […] La Chiesa è il prolungamento di Cristo nel tempo e nello spazio. Pertanto porsi al di fuori della Chiesa significa rifiutare ciò che Cristo ha voluto fosse segno visibile e autorevole del nostro incontro con Lui per trasfonderci […] i Suoi tesori di grazia e di vita eterna». […] «Infine cerchiamo di puntualizzare agli occhi dei giovani di oggi un altro valore importante, segno della dignità e della maturità della persona: la solidarietà umana. [……] Bisogna rendersi conto che la vita è un impegno serio a servizio degli altri. Nessuno vive per se stesso, nessuno muore per se stesso, ma tutti siamo nel mondo corresponsabili dell’avvenire dell’umanità. […] La nostra vuole essere un’opera di sensibilizzazione e di presa di coscienza affinché i giovani, oggi in gran parte passivi e assenti dalla vita politica e sociale, si sentano impegnati a partecipare attivamente. [……] A noi non preme tanto che i giovani entrino a far parte di questo o di quel partito, di questo o quel sindacato come di altre organizzazioni, quanto che essi si muovano su quelle che ritengono le linee e le direttive più opportune e più idonee al loro caso e alla loro situazione particolare».

Pino ha donato la sua vita ai giovani. Egli che aveva perso suo padre in tenera età è diventato padre per molti. Ha formato uomini veri e cristiani veri. Tra essi sono sbocciate numerose vocazioni al ministero sacerdotale e all’impegno civile e politico. Ai giovani ha pensato fino all’ultimo giorno e ha promesso di essere loro vicino anche dopo la morte. Ha assicurato: «Ora vi seguirò da lassù».

c) Un terzo e ultimo valore vorrei richiamare fra quelli che accomunano Giorgio La Pira e Pino Arpioni: l’essere operatori di pace e di unità, in ambito religioso, culturale e politico. L’opera di La Pira in questo campo si snoda nel corso di molti anni, costellata di iniziative clamorose e concrete che non sto qui a ricordare. Alla base di tutto stava una visione grandiosa del mondo e della storia, illuminata dalla risurrezione di Cristo e protesa verso un futuro di pace.

Sulla strada tracciata da Giorgio La Pira si è mosso Pino Arpioni e con lui l’Opera per la Gioventù.

Nel novembre 1979 con il viaggio a Londra, guidato dal Card. Giovanni Benelli, si aprirono i rapporti con la Chiesa anglicana: per alcuni anni vi furono scambi di giovani e incontri ecumenici con anglicani a La Vela. Poi nel 1984, nel 25° anniversario del primo viaggio a Mosca di La Pira, il primo pellegrinaggio in Russia, dove inaspettatamente si aprì un ampio credito verso l’Opera, che ha permesso di ripetere ogni anno l’esperienza e di far venire in Italia sia seminaristi del Patriarcato Ortodosso, che studenti dell’Istituto delle relazioni internazionali (i futuri diplomatici) con i loro insegnanti.

Il legame, che si era sviluppato intensissimo ai tempi della perestrojka, è proseguito anche dopo la “caduta” di Gorbaciov, dimostrando quanto avesse davvero seminato La Pira su questo fronte.

Infine dobbiamo ricordare ancora i rapporti con i giovani greco-ortodossi, anch’essi spesso presenti a La Vela, e con i giovani cattolici del Portogallo (la nazione dove si trova Fatima, altra “arcata” di quel ponte di preghiera e di pace che La Pira voleva costruire tra Oriente e Occidente).

A Pino è mancato soltanto l’ultimo recente pellegrinaggio in Terra Santa, da lui pensato e voluto – ne parlavamo quest’estate alla Vela. Quest’ultimo viaggio in Terra Santa è stato, per certi aspetti, il testamento di Pino. Ne parlava, allo stesso tempo, come il compimento e come il principio di qualcosa. Era il compimento della prospettiva lapiriana dello “spes contra spem”: tutti i viaggi dell’Opera, a Mosca ed in Russia, poi a Fatima, ora in Terra Santa, si fondavano sulle “ipotesi di lavoro” del professore. Si trattava ora di ripercorrere, fondando il cammino sulla preghiera, il sentiero più difficile, il cammino di unità della triplice famiglia di Abramo. La pace di Gerusalemme non era “una pace”, era “la pace”. I giovani dovevano allora andare a Gerusalemme a compiere, come avrebbe detto La Pira, “un atto di fede, e perciò storico e politico”: nel Suo disegno provvidenziale ci avrebbe poi pensato il Signore a far maturare il seme gettato. Nell’ottica della fede anche il gesto più umile avrebbe potuto, nei modi e nei tempi voluti dal Signore, scardinare tutto.

I giovani dell’Opera dovevano andare per agganciare il loro cammino di fede al Cristo Crocifisso e Risorto. E lo dovevano fare in questo momento della storia dell’Opera, in cui la barca dell’Opera “doveva” prepararsi a procedere anche senza il timoniere che l’aveva creata.

La sofferenza di questi quarantacinque giorni di ospedale Pino l’ha offerta esplicitamente per la riuscita del pellegrinaggio e per i giovani dell’Opera. Più di una volta ha detto: «Soffro, ma sono sereno, perché offro tutto questo al Signore, per il bene vostro».

E a tutti coloro che andavano a trovarlo ha indirizzato un solo invito: «Continuate!».

[3]«Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio. […] Agli occhi degli stolti parve che morissero; […] ma essi sono nella pace. [……] Nel giorno del loro giudizio risplenderanno» (Sap 3,1.2.3.7). Giorgio La Pira … Pino Arpioni … splendono come fiaccole al cospetto di Dio. Splendono di quella luce che la grazia del Signore ha acceso fin dal giorno del loro battesimo e che neppure il soffio della morte ha potuto spegnere. Questa luce non l’hanno messa sotto il moggio, ma sul candelabro, perché facesse luce a tutti quelli della casa. Sono stati “sale della terra” e “luce del mondo”, secondo la consegna di Gesù ai discepoli nel testo del Vangelo che è stato proclamato.

Con la testimonianza della loro vita provocano anche noi ad accogliere con generosità e coraggio l’appello di Gesù, che abbiamo ascoltato: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,16). Così sia. Amen.

Pino Arpioni, un maestro di vita per generazioni di Toscani