Toscana
«Annozero», vescovi sotto accusa
Chi la sera di giovedì 20 maggio, sintonizzato su RaiDue, è riuscito a resistere ai primi 18 minuti (ripeto: 18 minuti) di «Annozero» in cui il tribuno Michele Santoro ha parlato di se stesso, avrà poi avuto modo, nelle altre 2 ore e passa, di assistere ad una trasmissione sui casi di pedofilia tra il clero cattolico meno sparata del temuto, se non fosse stato per la parte finale, quella toscana, con le reiterate accuse a mons. Maniago (già oggetto di un precedente «Annozero») e soprattutto con le immagini della «fuga» di tre vescovi. Televisivamente, infatti, quei tre momenti più di altri hanno segnato la trasmissione, offrendo un’immagine negativa a più di 4 milioni di telespettatori.
L’«aggressione» armati di microfono e telecamera è il presunto nuovo modo di fare giornalismo, mediato da programmi stile «Le Iene» che di giornalistico hanno ben poco. Eppure, vigliacco quanto si vuole, è un metodo con il quale dovranno imparare a fare i conti anche i vescovi e i loro zelanti collaboratori, siano essi diaconi o robusti ministranti.
La televisione è così: la si può usare in modo strumentale, con comunicazioni più o meno inavvertite.
Basta nulla, anche solo un’inquadratura, un’espressione sbagliata. Non è giusto, ma è così.
Chi lo conosce non può che esser rimasto stupito. Padre Rodolfo Cetoloni, da un decennio vescovo di Montepulciano, non è certo una persona che evita il confronto. O che si nasconde. Da francescano autentico qual è, ama guardare in faccia le persone, affrontarle con un sorriso, fermarsi a discorrere con loro. Eppure ad «Annozero» è passato per un vescovo «sfuggente», che davanti alla troupe appostata all’ingresso del vescovado di Montepulciano, sfreccia via alla guida della sua auto.
«Sarebbe stato forse meglio fermarsi e riaffermare quanto avevo già comunicato, ma lo stato d’animo in quel momento era abbastanza teso e il modo di aspettarmi al varco, non mi era piaciuto», ammette oggi, preoccupato «che questo fatto e il modo distorto in cui è stato narrato, abbia messo in difficoltà la fede in Dio di qualcuno e la sua relazione con la Chiesa».
Lo raggiungiamo al telefono mentre con mons. Luciano Giovannetti sta andando all’aeroporto per raggiungere Amman. Un viaggio di lavoro per la Fondazione Giovanni Paolo II che da tempo si occupa di progetti di cooperazione con la Terra Santa. E con lui ripercorriamo le tappe di una vicenda che la trasmissione di Santoro ha messo accanto a quella fiorentina dell’ex parroco Lelio Cantini o a quelle altrettanto gravi avvenute negli Usa. Un accostamento del tutto improprio e capzioso. Perché è vero che don V. B. aveva alle spalle una vicenda giudiziaria negli Stati Uniti, ma di poco conto e dalla quale era uscito senza una sentenza di colpevolezza avendo sottoscritto un accordo di «nolo contendere» (rinuncia alla difesa) che comportava per lui solo un anno di «prova» senza incarichi di supervisione su minori.
È il 2007 quando il vescovo di Cuddapah, contatta padre Rodolfo. Gli parla di un sacerdote che deve terminare i suoi studi a Roma. «Mi informò racconta mons. Cetoloni che si trovava in India e che aveva avuto delle questioni giudiziarie negli Stati Uniti. Mi assicurava della sua innocenza, mi proponeva di accoglierlo perché potesse terminare i suoi studi trovando un servizio di collaborazione pastorale in Diocesi». Del resto don V. era in possesso di un atto ufficiale del 4 aprile 2007 in cui la Corte della Florida riconosceva come adempiuto positivamente il periodo di prova e chiusa ogni pendenza.
Cetoloni accetta. Lo accoglie, lo tiene con sè qualche mese e poi lo nomina viceparroco a Sarteano. Il tutto «alla luce del sole». E a Sarteano il giovane prete si fa apprezzare. Nessuna voce su di lui. Come implicitamente dimostra anche il servizio di «Annozero». A metà aprile scoppia il caso. Una troupe della trasmissione di Santoro è a Sarteano per contestare direttamente a don V. B. il «precedente» americano. La mattina del 15 il caso è sulla stampa e l’agenzia Ansa di Firenze chiama il vescovo per una dichiarazione che mons. Cetoloni rilascia subito dopo. Ma, nonostante i chiarimenti, scatta la «caccia» al sacerdote indiano, sia a Sarteano, che un po’ per tutta la Diocesi. «Non avvezzo a questo modo un po’ aggressivo di inseguire le notizie, spiega padre Rodolfo rispondo consegnando un esaustivo comunicato stampa e chiedo che ci si rifaccia ad esso, non avendo altro da comunicare. Vengono da me don V.B. e il parroco don Fabrizio Ilari. Confermo il comunicato e l’invito di rimandare ad esso. Informo la Congregazione per la Dottrina della Fede e mi metto in contatto con il vescovo di Cuddapah». Al telefono il vescovo indiano «consiglia di chiedere al sacerdote di rientrare in India». Una soluzione che trova d’accordo anche don V. B., spaventato da tutto quel clamore. Ancora una volta, a colloquio con mons. Cetoloni il giovane sacerdote indiano «si proclama innocente e addolorato per quanto si è creato proprio nei confronti di chi lo aveva accolto e della gente per la quale aveva lavorato con dedizione». Lascia l’Italia il 16 aprile, il giorno dell’«agguato» televisivo al vescovo.
«Quella stessa mattina racconta mons. Cetoloni era già programmato il Consiglio presbiterale, al quale mi dovevo necessariamente recare. È proprio quando sono uscito in macchina dal cortile dell’episcopio, per andare a presiedere la riunione programmata, che la troupe di Annozero ha ripreso la mia auto seguendola per qualche metro». Su quello che segue nel servizio ovvero sulle parole «in libertà» di un diacono presentato come suo segretario l’imbarazzo del vescovo è palpabile. Si limita a dire che sono parole «confuse e totalmente non condivise, legate alla responsabilità personale di chi le ha pronunciate».
«Credo in una informazione questo il suo commento finale che non nasconda in alcun modo la verità, ma anche che sappia cercarla senza fermarsi ad affermazioni o a letture parziali di un fatto. Mai nessuna intenzione di nascondere, ma sempre affermare ciò che è vero, sicuro e documentato, prima di tutto nella più profonda e forte solidarietà al dolore di chi è vittima, ponendosi anche il problema di chi viene posto sotto accusa, ma non è dichiarato colpevole».