Opinioni & Commenti
Anno della fede, un percorso aperto verso il futuro
Nell’intento di Benedetto XVI era centrale il richiamo al primato della fede, in un mondo dominato dal sincretismo religioso, dove gli stessi cattolici a volte sembrano aver smarrito il rigore di un’adesione senza riserve e senza compromessi alla Parola rivelata. In questa società che ha registrato un potente ritorno del «sacro», nelle sue forme più svariate, proprio tale adesione, paradossalmente, è stata indebolita. E troppo spesso la «dittatura del relativismo», che papa Ratzinger non si è stancato di denunziare, ha finito, nei confini stessi della Chiesa, per svuotare il senso dell’essere credenti, riducendo il contenuto della fede a una «lista della spesa», compilata secondo opinioni del tutto soggettive e individuali.
Da questo punto di vista, la chiusura dell’Anno della fede non può e non deve essere considerata il superamento dell’esigenza di fondo da cui esso ha tratto origine e della tematica che ne è stata il centro. Aprirsi al nuovo – accogliendo l’invito del Concilio – , dare spazio al dialogo con il mondo secolarizzato e con le altre religioni, non può significare in alcun modo una minore fedeltà a quel patrimonio di verità per cui tanti martiri hanno versato il loro sangue. E resta attualissimo l’invito che Benedetto ha inteso rivolgere a tutti, ma soprattutto ai cristiani, a non confondere i frutti della vita spirituale – impegno caritativo, responsabilità sociale, correttezza etica – con quella che ne è la radice e l’essenza, cioè appunto la fede teologale. È questa che distingue il discepolo di Cristo dal filantropo, dal moralista, dalla persona onesta, ma anche dall’uomo «religioso» che si apre al Mistero senza dargli però un preciso contenuto.
E qui entra in gioco la continuità, pur nella differenza, tra Benedetto XVI, che ha voluto questo Anno della fede, e il suo successore, chiamato a chiuderlo (almeno formalmente), che esorta incessantemente i cristiani a uscire dal recinto delle loro celebrazioni e delle loro formule abituali, per portare l’annuncio del Vangelo alle periferie più estreme dell’esistenza. Un invito pressante, supportato dalla vigorosa testimonianza di papa Francesco, che ci costringe a non considerare concluso l’Anno della fede dopo il 24 novembre e a continuare a vederlo, al di là delle celebrazioni ufficiali, come un percorso aperto verso il futuro e un’occasione sempre rinnovata di vivere l’esodo di Pentecoste da cui è nata la Chiesa.