L’unità e la coesione tra i membri della Chiesa, tra loro e i loro pastori e soprattutto tra i pastori stessi è prerogativa necessaria perché lo Spirito Santo possa ancora oggi operare per diffondere il Vangelo nel mondo. Se invece la diversità degenera in divisione, essa diventa contro-testimonianza e danneggia seriamente l’immagine e l’impegno delle Chiese per diffondere la Buona notizia. Intervenendo ieri sera alla sessione plenaria della Lambeth Conference dedicata al tema Proclamare la Buona Notizia: il vescovo e l’evangelizzazione, il card. Ivan Dias, prefetto della Congregazione per la evangelizzazione dei popoli, ha lanciato un appello all’unità. Il testo è diffuso oggi dall’agenzia Fides. Si parla molto oggi ha detto il cardinale delle malattie come l’Alzheimer e il Parkinson. Per analogia, i loro sintomi possono essere trovati anche nelle nostre comunità cristiane. Per esempio, quando viviamo in modo miope radicati nel presente passeggero, dimentichi della nostra eredità passata e delle tradizioni apostoliche, potremo soffrire di Alzheimer spirituale. E quando ci comportiamo in maniera disordinata, procedendo in modo eccentrico sul nostro cammino senza alcuna coordinazione con il capo o con gli altri membri della nostra comunità, potrebbe essere un Parkinson ecclesiale. Nel suo intervento ai vescovi anglicani riuniti per la 14ma Lambeth Conference, il card. Ivan Dias ha delineato il contesto e le sfide della evangelizzazione oggi. Tra queste ha citato il secolarismo che cerca di costruire una società senza Dio, l’indifferenza spirituale, che è insensibile ai valori trascendentali e il relativismo che è contrario alla dottrina permanente del Vangelo. Queste tendenze ha proseguito il cardinale – favoriscono la diffusione di una cultura della morte. Il card. Dias ha quindi parlato di aborto volontario (o di massacro di bambini innocenti non nati), di divorzio, che uccide il vincolo sacro del matrimonio benedetto da Dio), di ingiustizie sociali, economiche e politiche. Ed ha aggiunto: i due istituti della società umana che sono particolarmente vulnerabili a questa cultura sono la famiglia e i giovani. Di fronte ad un tale contesto ha poi detto il cardinale i cristiani non possono stare in panchina e assistere da spettatori passivi. Fedeli alla nostra chiamata ad essere sale della terra e luce del mondo dobbiamo essere attivi nel leggere i segni dei tempi. La testimonianza dei cristiani è ciò di cui il mondo oggi ha bisogno, ha sottolineato Dias aggiungendo che i nostri contemporanei credono di più ai testimoni che agli insegnanti.Mettersi in dialogo non significa imporre o abbandonare le proprie idee ma mettersi in ascolto delle ragioni dell’altro, ha detto ancora il card. Ivan Dias. Nella parte della sua relazione dedicata al dialogo interreligioso, il cardinale ha delineato lo stile di chi si apre all’altro: il dialogo ha detto – non è mai un tentativo di imporre la nostra visione sugli altri, in quanto un tale dialogo sarebbe una forma di dominio spirituale e culturale; non significa neanche che dobbiamo abbandonare le nostre convinzioni. Significa piuttosto che rimanendo fermamente in ciò che crediamo, siamo disponibili ad ascoltare con rispetto gli altri, cercando di discernere tutto ciò che è buono e santo, tutto ciò che favorisce la pace e la cooperazione.Sir