Pisa

Andar per le sette chiese

Di Graziella Teta

Tra i riti della Settimana Santa, la tradizione religiosa tramanda l’antica usanza della «visita alle sette chiese» (chiamata anche «visita ai sepolcri»). Dopo la messa vespertina «in coena Domini» del Giovedì Santo, che dà solenne inizio al triduo pasquale della passione, morte e risurrezione di Gesù, la sera – fino alla mezzanotte – i fedeli sono invitati a soffermarsi presso l’altare della reposizione, in adorazione dell’Eucaristia, a memoria della sua istituzione nell’Ultima Cena. Nelle chiese, gli altari si presentano addobbati con i simboli eucaristici del pane e del vino, e con fiori, spighe di grano, rami d’ulivo.Anticamente, questi altari erano chiamati «sepolcri», a rappresentare impropriamente la tomba di Cristo, e nel periodo barocco l’usanza della visita ai sepolcri era già ben radicata nel popolo. Circa vent’anni fa, la Congregazione per il Culto divino in tema di «preparazione e celebrazione delle feste pasquali» ha stabilito che il tabernacolo in cui è custodito il Corpo di Cristo non deve avere la forma di sepolcro e deve essere evitato l’uso di chiamarlo in tal modo. E spiega anche che la cappella – o altare – della reposizione è allestita non per rappresentare la sepoltura del Signore, ma per custodire il Pane Eucaristico per la comunione distribuita il venerdì Santo.Nel Sud Italia resiste ancora oggi il termine «andare a fare i sepolcri», intendendo il visitare in varie chiese il sepolcro-altare addobbato, che è in realtà l’esposizione eucaristica con le ostie consacrate. Mentre nel centro e nord Italia prevale il termine «visita alle sette chiese». Ovunque, l’usanza è che ogni fedele ne visiti sette (quanti sono i dolori della Madonna) o almeno cinque (le piaghe di Cristo).Anche nella nostra diocesi la tradizione è viva e partecipata, soprattutto dai giovani. Conferma don Carlo Campinotti, parroco di Santo Stefano extra moenia: «Quest’anno circa 120 fedeli, molte famiglie con bambini, hanno preso parte alla “visita alle sette chiese” annunciata dal foglio parrocchiale, e preparata dal gruppo giovani, con una traccia per le preghiere e i canti distribuita a tutti i partecipanti. Una serata prolungata di veglia, dalle 21 fin quasi a mezzanotte, in corteo tra il Duomo, la Chiesa dei Cavalieri, San Frediano, San Francesco, San Michele in Borgo, S. Giuseppe, San Torpè». Spesso «incrociando» altri gruppi di altre parrocchie, dice monsignor Luigi Gabbriellini, parroco di Santa Maria Madre della Chiesa/Santa Marta in unità pastorale con Ghezzano. «Quest’anno le meditazioni – e l’allestimento delle nostre chiese, dove è centrale l’Eucarestia – erano incentrate su “Io sono la vita, voi siete i tralci – abbiamo bisogno (di)vino”: vino quale dono ed espressione di vita. Un percorso iniziato dallo scorso ottobre, attraversando Quaresima, Settimana Santa e Pasqua, che prosegue il 18 aprile con le comunioni dei bambini: una bottiglietta di vino, simbolo dell’Eucarestia, come bomboniera». Il giro delle chiese, aggiunge don Luigi, «è un’esperienza vissuta in comunione, come comunità in cammino che prega, ascolta e medita. E, in occasione dell’anno sacerdotale, abbiamo scelto pensieri e preghiere di preti, perseguitati e martiri, come don Primo Mazzolari (cui è dedicato il piazzale della chiesa, nel 50° anniversario della sua morte), don Tonino Bello e don Pino Puglisi».Tra i fedeli affezionati alla tradizione, si annovera Salvatore Filomena, 50 anni, informatico di Ghezzano; con la moglie Marilù è impegnato della parrocchia Sacra Famiglia di Pisanova, in unità pastorale con S. Michele degli Scalzi. Racconta: «I giovani delle due parrocchie, dopo la messa vespertina, hanno mangiato insieme il pane benedetto, e poi la sera hanno visitato le chiese con suor Cinzia. Io e mia figlia Marta, di dieci anni, siamo usciti dopo cena (mentre la moglie badava alla figlia più piccola) per il “nostro giro”, tra Colignola, Ghezzano, S. Maria Madre della Chiesa, S. Michele e Sacra Famiglia. Non ho voluto far mancare a mia figlia di vivere quest’esperienza; lei era ben consapevole che non si trattava di fare una passeggiata, ma di un momento di riflessione e preghiera. Ed è già un bel ricordo: lei assorta, con gli occhi sgranati davanti agli altari addobbati con pane, vino, uva, luci e bicchieri di coccio dell’ultima cena. Marta ha notato che uno non era illuminato: quello è di Giuda! Ha esclamato». Anche per Giampiero Becherini, 37 anni, tabaccaio, la «visita delle sette chiese» è un appuntamento imperdibile: «Sono originario di Colignola, dove frequento la parrocchia con mia moglie Rosita, catechista. Quest’anno don Francesco Fabrizio ha lasciato libertà di organizzarsi, così con i nostri due figli, di 8 e 3 anni, abbiamo partecipato alla messa vespertina di don Alberto Marchesi a Caprona, che ha preparato belle meditazioni per la “visita”, partita dalla pieve di S. Giulia, tutti insieme con la cena al sacco. Con il bimbo piccolo non abbiamo potuto seguirla tutta, ma abbiamo ugualmente fatto un bel giro, con soste di preghiera, in raccoglimento davanti agli altari addobbati, bellissimi, con musica diffusa, da S. Salvatore in Uliveto (con la tavola dell’ultima cena) a S. Maria in Don Bosco (con tini e damigiane e una grande pigna dipinta, sovrastata dalla pisside) alla Sacra Famiglia (pane e grano), da Zambra (con la chiesa aperta tutta la notte) a Ghezzano. Un breve tempo tutto per noi, con la famiglia riunita, dimenticando i rumori del mondo. Sono ricordi che si portano dentro, per sempre».