Lettere in redazione

Ancora sui Rom e la Lettera di San Paolo

Faccio riferimento alla lettera del signor Francesco di Sesto Fiorentino (pagina 10 del numero 46 di Toscana Oggi: Sui Rom nessuna ipocrisia, ma nemmeno razzismo). È argomento che spesso mi ha indotto a riflettere specie collegandolo alla Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi e al comportamento dello stesso San Paolo che non voleva essere a carico di coloro che lo ospitavano ma ripagava la loro ospitalità lavorando. Credo quindi di condividere quanto scritto dal signor Francesco pur essendo del parere che in particolari contingenze debba essere prestato aiuto ma senza generalizzazioni sistematiche e continuative come oggi accade. Vorrei anche dire che spesso non si usano le stesse attenzioni per i nostri concittadini e connazionali disagiati. Per quanto concerne la «tesi razzista» mi si consenta dire che chi dissente da certe posizioni mediatiche, politiche e quant’altro circa i Rom (e non solo) viene trattato con gli stessi sistemi già usati, al tempo, dagli appartenenti ad una parte politica, più o meno camaleonticamente trasformatasi negli anni, che tacciavano di «fascismo» e apostrafavano come «fascisti» coloro che divergevano dalle loro tesi e argomentazioni. Nel nostro caso, detto senza polemizzare ma per vissute esperienze e dirette constatazioni, al posto di «fascismo» si usa «razzismo» e al posto di «fascisti» si usa «razzisti».

MarcelloFirenze

La questione dei Rom tocca un nervo scoperto nel mondo cattolico. Lo testimoniano anche i numerosi interventi che arrivano in proposito e di cui in parte diamo conto in questa pagina. Questa, infatti, è già la terza lettera in materia che pubblichiamo nel giro di poche settimana. La prima, quella a cui fa riferimento il nostro lettore, si appellava a San Paolo e alla Costituzione per dire che «fin quando il rifiuto del lavoro farà parte della cultura dei Rom, nessuno deve sentirsi obbligato ad aiutarli». A quella lettera e alla risposta del sottoscritto era seguito un altro intervento a firma di una coppia di coniugi che vive un’esperienza positiva in mezzo a una comunità Rom, «sfociata in un affido familiare». Loro stessi ammettevano che non è facile difenderli, «per le cose che sappiamo di loro», ma non per questo possiamo negare che «gli zingari sono gli ultimi degli ultimi, anche perché non hanno particolari rappresentanze a difenderli». Anch’io dicevo che il problema esiste e che non è facile difenderli, ma definivo razzista, in senso etimologico (almeno credo), la tesi (non la persona) che tira in ballo una questione culturale per poter negare un aiuto o quantomeno creare una gerarchia, razziale appunto, nel decidere a chi dare quell’aiuto. Onestamente non mi riconosco in chi «più o meno camaleonticamente trasformatosi negli anni» tacciava di «fascisti» chi la pensava diversamente e ora li taccia di «razzisti». No, caro signor Marcello, questo atteggiamento non mi apparteneva e non mi appartiene.

Andrea Fagioli