Italia

Anche la Russia si scopre vulnerabile

di Pier Antonio Graziani

Non aveva più, da tempo, i riflettori puntati addosso sicché sembrava, semplicemente, che la questione cecena non esistesse più. L’opinione pubblica internazionale, se qualche volta se ne doveva ricordare, lo faceva, anche nella parte più avvertita, con distratta indifferenza, come capitava ascoltando i bollettini di guerra che annunciavano «attività di pattuglia», per dire che dal fronte, magari si continuava a morire ma novità grosse non ce n’erano. Bene o meno bene che fosse stato, si pensava che Putin avesse sistemato la faccenda.

Quella cecena è tuttavia una di quelle guerre progressivamente dimenticate che si sono avvitate su se stesse senza che la cosa abbia mosso l’interesse delle organizzazioni internazionali, a cominciare dall’Onu che, per muoversi, ha bisogno si muovano all’unisono i grandi del Consiglio di Sicurezza.

La Cecenia aveva avuto fino a Putin il primo piano poiché colpiva un grande Paese nel momento in cui, fallita l’Urss, tornava, ridimensionato, ad essere la Russia. Piena di acciacchi, sì, ma pur sempre la Russia. Gli acciacchi furono subito evidenti non solo per il disastro economico e sociale che la fine del comunismo mostrava ma anche per la fuga centripeta di molte repubbliche che avevano fatto parte obtorto collo dell’Urss. Fra queste, in prima fila, c’era la Cecenia ma per la Cecenia Mosca, comunista o postcomunista, non mostrava davvero di essere condiscendente. E fu la guerra. Una guerra che si riallacciava a un lungo calvario che aveva visto la Cecenia soccombere dopo più di mezzo secolo (dalla fine del ‘700 a quasi metà dell’800) all’invasione russa. Russi e ceceni non sono mai andati d’accordo. Stalin sospettò sinanche, e forse non aveva da questo punto di vista tutti i torti, che i ceceni avessero civettato con i tedeschi invasori e li deportò in massa verso l’Asia. Poi Krusciov fece ammenda ma non fece, né poteva farlo, più di tanto. E non più di tanto si sono ostinati a fare anche i postcomunisti, con qualche ragione. Almeno due: la Cecenia è in posizione strategica per quanto riguarda le vie del petrolio, l’indipendenza cecena si potrebbe tirar dietro quel miscuglio di etnie di cui è composto il Caucaso.

Problema russo per eccellenza, dunque. Ma c’è il terrorismo, ed è un terrorismo che non fa sconti neppure ad ostaggi bambini. Ed il terrorismo alimenta, non solo nella Russia di Putin, ma anche in quasi tutto il Nord del mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, la convinzione che esista un unico fondamentalismo diffuso a macchia d’olio, quello islamico; che si sia addirittura a due passi dallo scontro di civiltà ipotizzato a tavolino da un politologo che va per la maggiore.

C’è da chiedersi, a questo punto, se sia più pericoloso il terrorismo, ora ceceno, ora di Bin Laden e compagnia brutta, o evocare, come si fa dagli Stati Uniti alla Russia, il pericolo islamico. A forza di evocarlo, dimenticando al contempo che la questione cecena nasce da una nazionalità che si sente oppressa, che il Medio Oriente ribollirà fin tanto che il problema Israele-Palestina non sarà risolto con la costituzione di due stati egualmente sovrani, sin quando si caricherà addosso anche a Saddam Hussein, che è un laico a capo di un partito laico, il Baath, l’etichetta di fondamentalista islamico, non solo non si verrà a capo di questa o quella questione ma il fantasma evocato del fandamentalismo islamico potrà prendere corpo nelle questioni irrisolte. Nate non dal fattore religioso, ma dalla fusione di questi con problemi di giustizia, di indipendenza, di sovranità nazionali.

Non è passato molto tempo dall’ingresso della Russia nel salotto buono del Patto Atlantico, quando da Washington a Mosca si pensava di aver costruito nel Nord del mondo una comune invincibile fortezza, e siamo ai fatti di Mosca, laddove accanto al terrorismo è venuta in luce anche l’impreparazione ad affrontarne le manifestazioni. La speranza è che possa tornare in campo la politica sui binari dell’intelligenza e della giustizia.

Un’autentica carneficinaI diversi giorni dal blitz dei reparti speciali non è ancora noto il numero effettivo di morti. A blitz avvenuto le autorità avevano parlato solo di 32 terroristi uccisi. Ma col passare delle ore il bilancio ha assunto le dimensioni di una vera carneficina. Ben 650, ovvero la quasi totalità degli ostaggi liberati sono stati ricoverati negli ospedali, di cui 150 in condizioni gravi, intossicati dal gas pompato nel teatro. Una cinquantina i terroristi uccisi.

L’azione del commando ceceno era iniziata alle 19,55 di mercoledì 23 ottobre con l’irruzione nel teatro Dubrovka, alla periferia di Mosca, dove è in scena un musical – «Nord-Ost» di grande successo. Alle 20,40 un centinaio tra bambini e musulmani vengono rilasciati e alcuni attori riescono a fuggire. I terroristi chiedono che le truppe russe pongano fine alla guerra in Cecenia e minacciano di far saltare il teatro se le loro richieste non verranno accolte. Le donne, quasi tutte vedove di combattenti ceceni uccisi dai russi, hanno cinture imbottite di tritolo. Nel pomeriggio di giovedì 24 la tv Al Jazira mostra un video dei componenti il commando ceceno, fra cui cinque donne velate. Giovedì e venerdì passano in un clima di crescente nervosismo. Più volte si rincorrono voci, poi rivelatesi infondate, della imminente liberazione degli ostaggi stranieri.

Venerdì sera, una settantina di parenti degli ostaggi manifestano sulla Piazza Rossa in favore della pace in Cecenia, sembra su richiesta dei sequestrati. Putin si dice pronto a «qualsiasi contatto» per «salvare la vita» agli ostaggi.

Nella notte tra venerdì e sabato si sentono alcune forti esplosioni. Le autorità annunciano che i terroristi hanno cominciato a giustiziare i primi ostaggi. Attorno alle 5 scatta il blitz. Reparti speciali russi pompano un misterioso gas nei sotterranei del teatro e da alcuni fori praticati nei muri. Poi viene fatta esplodere una parete e le teste di cuoio entrano uccidendo i terroristi, trovati quasi tutti addormentati dal gas. Alle 7,14 le autorità annunciano che il teatro è sotto il controllo dei militari russi.