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Ambiente, il «cattura CO2»

Catturare l’anidride carbonica che viene emessa dalle centrali a carbone e stoccarla sotto terra. Ecco la ricetta per dare un colpo mortale alle emissioni nocive dei fumi che, altrimenti, andrebbero dispersi nell’atmosfera. È fantascienza? No. È un progetto che è allo studio dei centri ricerca dell’Enel di Pisa e nelle aree sperimentali di Livorno e Sesta (Si). A spiegarci come nasce questo progetto è Gennaro De Michele (nella foto), ingegnere e responsabile delle politiche di ricerca e sviluppo dell’Enel, che proprio nei giorni scorsi è stato ascoltato in un’audizione presso il Consiglio regionale della Toscana con un intervento sulle tecniche di cattura e sequestro della CO2. Il Presidente della Commissione Territorio e Ambiente Erasmo D’Angelis ha definito la relazione di De Michele una «lectio magistralis» che apre prospettive interessanti per il nostro Pianeta.

De Michele, lei ha prospettato una società ad emissioni zero nel giro di 20 anni. Mentre il mondo paventa scenari catastrofici, Lei disegna un futuro di speranza. Non è troppo ottimista?

«Assolutamente no. Enel è in primo piano nella ricerca e, in base alla nostra attività, posso dire che entro il 2030 il vettore elettrico è in grado di rivoluzionare in positivo la qualità della vita».

In che modo?

«Anzitutto il nostro obiettivo è di abbattere le emissioni di anidride carbonica in atmosfera. A questo proposito è opportuno ricordare che l’anidride carbonica non è un inquinante, anzi è un gas prezioso di cui per esempio necessitano le piante per la loro crescita. Un’eccessiva produzione di CO2, però, contribuisce all’aumento dell’effetto serra e quindi al surriscaldamento del pianeta. Noi pensiamo di intervenire sulle centrali a carbone attraverso le tecniche CCS (Carbon Capture & Sequestration), ovvero le tecnologie per la cattura e il sequestro della CO2».

Ci spiega di cosa si tratta?

«Si tratta di prelevare la CO2 dopo la combustione, evitando che essa si disperda in atmosfera. Esistono tre metodologie: la prima permette di separare chimicamente la CO2 dagli altri fumi dopo la combustione del carbone, per poi comprimerla fino a renderla liquida. Questa tecnica sarà sperimentata nel 2009 in un impianto pilota a Brindisi. La seconda tecnica consiste nella separazione dell’aria in azoto e ossigeno prima della combustione, in modo da bruciare solo l’ossigeno con il carbone: in questo modo si ottengono fumi composti unicamente da CO2, pronta per essere stoccata. Infine il terzo metodo, che è il più affascinante per le opportunità che offre, prevede la gassificazione del carbone grazie alla quale è possibile ottenere non solo CO2 da stoccare sotto terra, ma anche idrogeno utilizzabile negli usi civili come l’autotrazione».

Lei ha parlato di stoccaggio della CO2. Cosa significa? Rischi per la salute? Tempi e costi?

«Nessun rischio. La CO2 può essere stoccata in sistemi naturali geologicamente stabili o nelle ex miniere di carbone o ancora negli acquiferi salini profondi. In ogni caso, come ha dimostrato l’esperimento di Sleipner nel Mare del Nord, lo stoccaggio è un’azione che non genera alcun rischio: nel sottosuolo sono presenti enormi quantità di gas naturale gran parte estratto e lì c’è posto anche per la CO2. Secondo la Road map dell’UE, a cui ci stiamo attenendo, entro il 2030 tutte le centrali a carbone dovrebbero essere attrezzate con le nuove tecnologie CCS. C’è un problema di costi, trattandosi di processi gravosi dal punto di vista economico: ma gli oneri potrebbero essere compensati per esempio dalla scomparsa della cosiddetta carbon tax, che oggi gli operatori elettrici pagano in rapporto alle emissioni di CO2».

Oltre alle tecniche per abbattere le emissioni sul fronte dei combustibili fossili, cosa ci riserva il futuro per poter sperare in una società a emissioni zero?

«Abiteremo città vivibili in ogni senso. Il tutto si baserà su una generazione distribuita con fonti di produzione diversificate: alle centrali nucleari di terza e quarta generazione a quelle a combustibili fossili ad emissioni zero si affiancherà la produzione da fonti rinnovabili: idroelettrico, eolico, solare e geotermico. Sarà possibile conservare l’energia sotto forma di idrogeno e riutilizzarla per altri usi. La casa, da luogo di consumo, diventerà sempre di più un centro di produzione nel contesto di una rete elettrica che assomiglierà al web e che permetterà agli utenti/produttori di scambiarsi l’energia elettrica nella maniera in cui oggi ci si passano i file via e-mail».

Sembra un film di fantascienza…

«E invece è una realtà non molto lontana. Certo, sarà nostro compito esportare questi saperi nei Paesi in via di sviluppo che stanno crescendo secondo modelli poco efficienti ed inquinanti. Ma credo che, al di là delle possibili resistenze, il processo sia irreversibile. Arriveremo ad un sistema energetico assimilabile ad un sistema biologico che si svilupperà in modo armonico e flessibile. Se ci riusciremo, avremo vinto tutti».

S.M.