Mondo
Ambasciata Usa a Gerusalemme: la svolta di Trump, una pietra tombale al cosiddetto processo di pace
L’annuncio ufficiale è atteso per oggi, 6 dicembre, ma la notizia è già di dominio pubblico ed è quella che i palestinesi, e la comunità internazionale, temevano: il presidente Usa, Donald Trump, sposterà l'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. Le reazioni palestinesi, le prime voci dei cristiani, e la preoccupazione della comunità internazionale. L'appello di Papa Francesco al termine dell'udienza generale.
(da Tel Aviv) L’annuncio ufficiale è atteso per oggi, 6 dicembre, ma la notizia è già di dominio pubblico ed è quella che i palestinesi, e la comunità internazionale, temevano: il presidente Usa, Donald Trump, sposterà l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme. A poco serve la proroga che lascerà la rappresentanza diplomatica almeno per un altro semestre a Tel Aviv.
Come è noto lo status di Gerusalemme è quello di una città contesa e la sua rilevanza per le tre grandi religioni monoteiste, Cristianesimo, Ebraismo e Islam, complica non poco i negoziati per una soluzione del conflitto israelo-palestinese. La parte orientale, che include il Muro del pianto e la Spianata delle moschee, dove si trovano la Cupola della Roccia e la moschea di al Aqsa, luoghi sacri per i musulmani, fu conquistata da Israele durante la guerra dei Sei giorni, nel giugno del 1967. Da allora la maggior parte dei Paesi membri delle Nazioni Unite non riconoscono ad Israele l’annessione di Gerusalemme Est, né riconoscono Gerusalemme come capitale. Per questo motivo la maggior parte delle ambasciate estere in Israele hanno come sede Tel Aviv.
Sarebbe stato lo stesso Trump, secondo l’agenzia palestinese Wafa, a informare della sua decisione il presidente palestinese Abu Mazen (Mahmoud Abbas) che ha ammonito il collega americano «dei pericoli di una tale decisione sul processo di pace, sulla sicurezza e la stabilità nella regione e nel mondo». Lo stesso Abu Mazen ha poi parlato al telefono con Papa Francesco – come confermato dal portavoce della Santa Sede, Greg Burke, specificando che la conversazione è avvenuta «per iniziativa di Abbas» – e il presidente russo Vladimir Putin informandolo «sulle minacce per la città di Gerusalemme».
Lo stesso Pontefice, oggi, al termine dell’udienza generale ha lanciato un appello per Gerusalemme: «Non posso tacere la mia profonda preoccupazione per la situazione che si è creata negli ultimi giorni e, nello stesso tempo, rivolgere un accorato appello affinché sia impegno di tutti rispettare lo status quo della città, in conformità con le pertinenti Risoluzioni delle Nazioni Unite. Gerusalemme è una città unica, sacra per gli ebrei, i cristiani e i musulmani, che in essa venerano i Luoghi Santi delle rispettive religioni, ed ha una vocazione speciale alla pace. Prego il Signore che tale identità sia preservata e rafforzata a beneficio della Terra Santa, del Medio Oriente e del mondo intero e che prevalgano saggezza e prudenza, per evitare di aggiungere nuovi elementi di tensione in un panorama mondiale già convulso e segnato da tanti e crudeli conflitti».
La notizia dello spostamento viene riportata dai media israeliani con diverse sfumature. Ma l’attesa è tutta per quel che dirà Trump. Il quotidiano Haaretz, sul sito riporta diversi commenti con titoli significativi: «Presidente Trump, non farci favori su Gerusalemme; Il grande perdente nella decisione ad alto rischio di Trump sull’ambasciata di Gerusalemme: Netanyahu. Era una trappola e Netanyahu non poteva fare a meno di caderci dentro. Alla fine il sangue che sarà sicuramente versato non sarà nelle mani di Trump ma di Netanyahu». E poi ancora «Trump sta portando un bagno di sangue, non la pace, a Gerusalemme». «La destra israeliana saluta la «storica» decisione di Trump, la sinistra predice il caos nella Regione» titolava ieri sera la versione on line del Jerusalem Post.
Reazioni palestinesi. Il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte degli Stati Uniti è stato condannato da tutte le fazioni palestinesi che hanno annunciato da oggi a venerdì «3 giorni di collera» per protesta: «Chiamiamo tutto il nostro popolo in Israele e nel mondo a raccogliersi nei centri delle città e di fronte alle ambasciate e consolati israeliani con l’obiettivo di portare la generale rabbia popolare». Hamas ha minacciato una nuova intifada. La decisione «sarebbe un attacco alla città da parte degli Stati Uniti». E mentre le Forze di sicurezza israeliane si preparano alla «possibile violenta» rivolta palestinese il Consolato Usa ha avvertito i cittadini americani presenti a Gerusalemme di evitare spostamenti nella Città Santa e in Cisgiordania in vista delle proteste.
Reazioni dei cristiani. L’arcivescovo Teodosio (Hanna Atallah) del Patriarcato greco-ortodosso di Gerusalemme parlando alla radio «Voice of Palestine» ha dichiarato che la decisione di Trump «è una provocazione al mondo arabo e una violazione dei diritti religiosi e nazionali del popolo palestinese che non resterà fermo. Chi ama la Palestina e Gerusalemme, chi vuole difendere i suoi luoghi santi cristiani e musulmani, deve lavorare per serrare i ranghi e stare insieme in una sola trincea». Per il reverendo Mitri Raheb, presidente dell’università cristiana Dar al-Khalima di Betlemme la svolta di Trump «è il bacio della morte al cosiddetto processo di pace. Apre – ha detto al Sir – un nuovo capitolo che nessuno sa dove condurrà. Sviluppi pericolosi potrebbero coinvolgere tutta la regione».
Comunità internazionale. Reazioni preoccupate arrivano dalla comunità internazionale. «L’Ue sostiene la ripresa di un significativo processo di pace verso la soluzione dei due Stati», ha detto l’Alto rappresentante Ue, Federica Mogherini, dopo la riunione bilaterale col segretario di Stato Usa Rex Tillerson. «Qualsiasi azione che possa minare questi sforzi deve essere assolutamente evitata – ha aggiunto Mogherini -. Deve essere trovato un modo, attraverso il negoziato, di risolvere lo status di Gerusalemme come futura capitale di entrambe gli Stati, così che le aspirazioni di entrambe le parti possano essere soddisfatte». Il presidente francese, Emmanuel Macron, in una nota, ha ricordato che la questione dello «status di Gerusalemme dovrà essere risolto nel quadro dei negoziati di pace fra israeliani e palestinesi». Posizione condivisa anche dalla Farnesina: «Non si può retrocedere dalla soluzione a due Stati». Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha avvertito il capo della Casa Bianca che l’eventuale riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele rappresenta «una linea rossa per i musulmani» e che potrebbe portare alla rottura delle relazioni diplomatiche della Turchia con Israele. Per l’Arabia Saudita la decisione degli Stati Uniti sarebbe una mossa che «irriterebbe i sentimenti dei musulmani nel mondo. I diritti dei palestinesi su Gerusalemme non possono essere cambiati». Il segretario generale della Lega araba, Ahmed Aboul Gheit, ha invitato Trump a «evitare qualsiasi iniziativa capace di mutare lo status giuridico e politico di Gerusalemme», sottolineando, dal Cairo, «la minaccia rappresentata da un tale passo per la stabilità della regione».
*inviato Sir