Toscana
Alpi Apuane, il Parco rilancia la sua scommessa
La scommessa del Parco, in fondo, è tutta qui, e la si gioca in un territorio da sempre segnato dall’impatto ambientale dell’estrazione del marmo. Certo di passi ne sono stati fatti dagli anni Ottanta, al tempo della legge istitutiva della Regione (1985), quando imperversavano le polemiche tra associazioni ambientalistiche e cavatori. Allora il Parco veniva visto come una minaccia al tradizionale lavoro apuano: oggi invece si comincia a guardare con interesse alle opportunità alternative che può favorire in campo economico e occupazionale nei confronti di un settore, come quello lapideo, non esente da segnali di crisi.
Certo che di cammino da fare ce n’è ancora tanto. Ne è ben consapevole Luigi Grassi, presidente «storico» del Parco, che alla fine dello scorso aprile ha passato il testimone a Giuseppe Nardini. Lo incontriamo a Levigliani, paese di cavatori ai piedi dell’Antro del Corchia, la grande grotta attrezzata da tre anni per le visite turistiche. «Quando venivo qui nel ’91 o ’92 ricorda ero protetto dai carabinieri; nel ’99 mi hanno dato una targa-ricordo». In pochi anni tanti atteggiamenti sono cambiati, come del resto è cambiato lo stesso Parco passando prima da coordinamento a consorzio, poi da consorzio a ente. Tre fasi che hanno visto Grassi come «traghettatore».
«All’inizio ricorda tutto il Parco era nella mia borsa, erano quattro fogli». La svolta vera e propria si è avuta solo con l’istituzione dell’ente prevista dalla legge regionale 65 del 1997. Eppure a Luigi Grassi è rimasto un cruccio: «Non essere riuscito a far approvare il Piano del Parco per via di un contenzioso con le Province sulla gestione delle aree contigue, tra cui rientrano anche quelle di cava». Ora il nodo sembra risolto, e la speranza è che si arrivi in breve all’approvazione definitiva da parte della Regione. Altra questione finora irrisolta, quella del personale e più in generale delle esigenze economiche dell’ente. «Pur avendo nota l’ex presidente una superficie ben più grande rispetto agli altri due parchi regionali, quello delle Apuane sconta ancora il fatto di essere l’ultimo nato e può contare solo su cinque guardiaparco. Per questo c’è bisogno che la Regione approvi il nostro piano per le dotazioni che prevede di raddoppiarne il numero».
Non sono pochi, comunque, i risultati raggiunti e i progetti avviati. Tra i primi non solo l’Antro del Corchia, ma anche la riapertura delle grotte di Equi Terme, il recupero della valle di Orto di Donna (dove sono stati realizzati un nuovo rifugio e una sentieristica per disabili) e della Fortezza di Montalfonso a Castelnuovo Garfagnana. «Il tempo della semina non è ancora finito conclude Grassi e quello della raccolta non è ancora venuto, ma i primi frutti si cominciano a vedere».
A continuare a seminare sta ora al nuovo presidente Giuseppe Nardini, da noi incontrato a Pruno di Stazzema assieme al direttore Antonio Bartelletti. Starà a loro portare avanti i nuovi progetti, come il recupero dell’area marmifera di Tre Fiumi, un percorso attrezzato con un ponte tibetano alle sottostanti marmitte dei giganti, la valorizzazione delle vecchie miniere di ferro di Trimpello, presso la Grotta del Vento, la realizzazione di un centro a Careggine per la stagionatura dei formaggi e l’agriturismo e, più in generale, il rilancio dei prodotti tipici e di un’agricoltura di qualità. Altri interventi di recupero riguarderanno Isolasanta con la sua chiesa, quella di San Luigi sopra Fabbriche di Vallico, il rifugio Città di Massa al Pian della Fioba, un’altra struttura alla Gabellaccia sopra Carrara. Riguardo alla valorizzazione dell’archeologia industriale marmifera, si attende ancora la firma del ministro Matteoli inspiegabilmente rinviata sull’istituzione di un «parco archeologico» di livello nazionale che però sarà gestito dallo stesso Parco delle Apuane, per evitare doppioni. «Vogliamo puntare afferma Nardini sulla fruizione del Parco garantendo la conservazione, il che vuol dire contribuire a creare le condizioni economiche perché questo avvenga». E anche, sottolinea Bartelletti, contribuire gestire la crisi del marmo puntando sulle coltivazioni di qualità e non sulla logica, tuttora dominante, del «piazzale pieno».