Quella domenica di primavera doveva essere una giornata di svago. Una delle prime nella vita di Igbhal Masih. Invece alcuni colpi di fucile lo raggiunsero alla spalle spegnendo le speranze e i sogni di quel bambino pakistano diventato il simbolo della ribellione allo sfruttamento del lavoro minorile. Da quel 15 aprile 1995 sono passati undici anni e in molti Paesi sono ancora tanti i bambini che vengono costretti a lavorare in fabbriche-prigione. Per non dimenticare i tanti piccoli-schiavi che ci sono nel mondo, l’istituto comprensivo di Bientina e Buti è intitolato proprio al piccolo Igbhal. Ed è in questo istituto, frequentato quotidianamente da 400 ragazzi, che nelle scuole medie insegna religione Luciano Martini (nella foto). Sposato, padre di due figli, Luciano Martini ha iniziato a insegnare 18 anni fa, subito dopo la laurea, e in questo periodo ha prestato servizio nelle scuole di ogni ordine e grado. Adolescenti e giovani, cresciuti a videogiochi e televisione, ma sempre più disposti a confrontarsi anche con le domande di fondo dell’esistenza. E l’ora di religione, forse meglio di altre materie, si presta ad affrontare certi argomenti. «Così può capitare – dice il professor Martini – che alcuni alunni che hanno deciso di non avvalersi chiedano ugualmente di rimanere in classe per seguire le lezioni. E quando questo avviene, nascono degli incontri molto costruttivi e significativi». Quando le è capitato l’ultima volta? «Poche settimane fa con un alunno che frequenta la terza, musulmano. Un ragazzo molto vivace ed intelligente. Erano da poco state pubblicate le vignette su Maometto e con lui abbiamo affrontato l’argomento. Con molta pacatezza ci ha spiegato perché le considerava offensive, ma con altrettanta onestà ha riconosciuto che le reazioni di rivolta innescate in molti Paesi musulmani erano eccessive. Quel giorno – racconta ancora il professor Martini – tutti i ragazzi della classe hanno partecipato alla discussione e sicuramente si è trattata di un’occasione di crescita». Tra gli alunni del professor Martini non ci sono soltanto musulmani od ortodossi, ma anche alcuni giovani Testimoni di Geova. Che rapporto si instaura con loro? «Ovviamente decidono di non avvalersi dell’ora di religione, ma anche con loro mi è capitato di entrare in rapporto. Lo scorso anno un ragazzo, sempre della terza, pur non avvalendosi, in più occasioni ha chiesto di restare in classe durante le mie lezioni. E in alcuni casi abbiamo dato vita ad un vivace dibattito mettendo a confronto testi della nostra Bibbia con quelli della loro traduzione». Esperienze importanti di dialogo. Ma come sviluppa normalmente il suo insegnamento? «Il mio intento – risponde il professor Martini – è quello di far capire la religione, stimolare un approfondimento critico, perché spesso i ragazzi l’hanno appresa in modo automatico. Un approccio scientifico per aiutare quanti credono ad avere una fede più critica e più forte. E nello stesso tempo insegnare il rispetto nei confronti di quanti professano altre religioni». E nel far questo il professor Martini oltre che alla lettura dei testi sacri o dei documenti della Chiesa, ai avvale anche di altri strumenti. «Con gli alunni delle prime ad esempio – prosegue – vediamo ogni anno un film su Madre Teresa di Calcutta, per affrontare il tema del prossimo e del dono di sé. Mentre con i ragazzi delle seconde affrontando la storia della Chiesa medievale vediamo Il nome della rosa e Francesco di Liliana Cavani. Un aiuto importante arriva anche dall’informatica: attraverso alcuni cd multimediali parliamo ad esempio della Sindone». Insomma l’ora di religione sempre più si presenta come un insegnamento per la vita. «L’unico problema – conclude il professor Martini – è che forse un’ora alla settimana non basta».