Toscana
Alla toscana il primato del «vivere bene»
Sta crescendo in Toscana una domanda di qualità nei diversi ambiti di vita (da una residenzialità più a misura d’uomo a consumi alimentari sicuri e che facciano riscoprire sapori antichi, da un’attenzione alla cura del corpo sino alla ricerca del benessere psicofisico) che richiama un edonismo della qualità ed una ricerca del vivere bene che sono espressioni di un individualismo evoluto, maturo, responsabile, post-consumista». Lo sostengono i ricercatori del Censis, che per il secondo anno consecutivo hanno realizzato un «Rapporto sulla situazione sociale della Toscana» commissionato dalla Giunta regionale.
Anche l’economia toscana, secondo il Censis, è sana e l’occupazione ha tenuto, malgrado le difficoltà di chi ha vissuto una fase di incertezza (9,9%) che sono state tuttavia compensate dai risultati positivi di quanti hanno trovato lavoro (3,8%), di chi è cresciuto professionalmente (12,3%), o di chi, e sono la stragrande maggioranza (74%), ha visto pressoché immutata la sua situazione rispetto all’anno precedente.
Anche i redditi familiari sono rimasti sostanzialmente invariati (nel 65,7% delle famiglie), mentre c’è stato decisamente più dinamismo nei comportamenti di consumo, e in particolare in quelli di base, aumentati, rispetto al 2001, nel 34,6% delle famiglie.
«Insomma, anche a livello micro, il sistema ha retto, continuando a proiettare la maggioranza dei toscani in un clima di fiduciosa attesa verso il proprio futuro», tuttavia, avverte il Censis, «è come se trapelasse da questa atmosfera di ponderato ottimismo una sorta d’appagamento collettivo che può rallentare le spinte più innovative del sistema. Ad esempio, si registra una progressiva diminuzione della propensione al rischio e all’innovazione e, contrariamente al trend nazionale, in Toscana negli ultimi cinque anni sono diminuite complessivamente l’incidenza sul Pil sia della spesa per R&S delle imprese pubbliche e private, sia degli investimenti fissi. Inoltre, l’impresa toscana sta lasciando in buona parte irrisolte alcune delle più evidenti criticità di sistema quali il nanismo imprenditoriale e la conseguente sottocapitalizzazione dell’apparato produttivo che rischia di ripercuotersi negativamente sulle capacità di attrazione di risorse finanziarie dell’intero sistema».
Un’ultima considerazione riguarda il fatto che i toscani sarebbero «i più europeisti d’Italia»: per il 77,5% di loro, secondo la ricerca del Censis, stare in Europa conta «molto o abbastanza», e questo livello di consenso non era mai stato riscontrato nelle altre regioni italiane. L’importanza di stare in Europa è condivisa in modo particolare dai giovani (79,2%) e dai laureati (81,1%), mentre sul piano provinciale è particolarmente condivisa dai cittadini di Grosseto (84,9%), Prato (83,3%) e Siena (78,2%).
«Sono questi spiega il Censis i dati dell’accelerato mutamento delle forme familiari in Toscana». Infatti, le coppie con figli sono diminuite del 2,4% di contro al -0,9% a livello nazionale, le famiglie allargate del -0,3% mentre sono rimaste stabili nei valori nazionali, i nuclei monogenitoriali hanno avuto un aumento percentuale del +2,8% mentre a livello nazionale il valore corrispondente è stato dell’0,7%.
«A questi dati va anche aggiunta l’intensa dinamica di crescita dell’instabilità familiare con il +14,4% di separazioni per il periodo 1997-2000 ed il + 28,7% di divorzi nello stesso periodo. È chiaro a giudizio dei ricercatori che questi processi sono cruciali per il tessuto sociale della regione proprio per il ruolo centrale che la famiglia ha esercitato e continua ad esercitare. In particolare, essa rappresenta il perno della rete relazionale e di quel sistema della responsabilità sociale diffusa che è il vero tessuto connettivo ed il fondamento del nuovo modello di coesione sociale. Se sul piano economico la famiglia ha trovato risposte adeguate, è soprattutto la relazione genitori-figli a mostrare fibrillazioni importanti, sulle quali occorre grande attenzione. In particolare vanno segnalati la crisi della figura paterna e, in specifico, l’estrema difficoltà maschile di interpretare il ruolo di genitore nel mutato contesto socioculturale; la percepita solitudine della famiglia che, in un contesto di ridefinizione poststatuale delle funzioni sociali, si sente troppo spesso sola e priva delle energie necessarie a tenere l’urto dei mutamenti e la competizione crescente di altri fori educativi».
Con riferimento alla prima fenomenologia i dati indicano che il 57,4% dei toscani, contro il 49,1% degli italiani, è d’accordo con l’affermazione che i padri sono spesso assenti e tendono a delegare l’educazione dei figli alle madri. Nel 14% delle coppie con figli i mariti si occupano in modo prevalente dell’educazione dei figli e nel 15% degli aspetti più operativi, della loro assistenza.
«È evidente spiega ancora il Censis la ridotta integrazione dei mariti all’interno delle dinamiche educative e quotidiane della prole, in linea con la percezione diffusa di svilimento della figura paterna, di sua sostanziale assenza rispetto agli eventi che vedono protagonisti i figli. La distanza sostanziale tra padri e figli emerge dai dati relativi al punto di vista degli adolescenti che, nell’indicare i principali modelli di riferimento segnalano solo nell’1,3% dei casi il padre, percentuale ancora più bassa del residuale 5,1% rilevato a livello nazionale. Ed alla esplicita richiesta di indicare se il padre è un modello da seguire o meno solo l’11% degli adolescenti toscani lo ritiene tale, di contro al 23,3% emerso nelle altre regioni. È chiaro che lo svilimento del padre rinvia anche a smottamenti sul lato della figura materna che sembra oscillare nelle famiglie toscane tra una presenza incombente (il 14,7% degli adolescenti toscani la definisce tale di contro all’8,5% di quelli delle altre regioni) ed una riduzione del suo potere securizzante (oltre il 43% dei genitori toscani condivide l’idea che le madri siano sempre meno protettive e securizzanti)».
Da segnalare anche che oltre il 31% dei genitori toscani di contro al 19,4% nelle altre regioni ritiene che sia più difficile fare il genitore rispetto al passato soprattutto perché gli impegni di vario tipo lasciano poco tempo per occuparsi dei figli. Ed il 21,1% degli intervistati, con una punta del 31% tra i 30-44enni, non riesce a dedicare ai figli il tempo che vorrebbe.
Molto diffusa è la percezione della solitudine del soggetto famiglia e le difficoltà crescenti che incontra dinanzi alla forza dirompente di altri soggetti, a cominciare da quelli mediatici. Infatti, il 67,3% dei toscani (il 69,9% degli italiani) ritiene che la famiglia sia troppo sola nei momenti di bisogno ed il 62,8% (di contro al 50% degli italiani) è convinta che la famiglia non riesca a proporre modelli alternativi a quelli proposti dai media.
Sarà il lavoro (un tempo da queste parti si diceva che quando si fanno soltanto otto ore al giorno è segno di crisi…) così legato alla stessa identità personale e sociale a stressare? D’altronde la città coincide con il più grande distretto industriale della regione (e uno dei più grandi d’Europa). Eppure i pratesi, in linea generale, hanno sempre pensato di vivere in una città ancora a dimensione d’uomo, vivace e dinamica ma non snervante più delle altre. «Ho l’impressione prova a spiegare monsignor Lorenzo Lenzi, sacerdote diocesano e psicologo, studioso dei fenomeni sociali che semplicemente i pratesi siano più realisti degli altri toscani. D’altronde è nel nostro carattere».
A conferma di questa impressione don Lenzi porta alcuni significativi dati della ricerca Censis: soltanto il 53,1% sottolinea la vivibilità tra le qualità della zona di residenza, ma il 15,6% cita la crescita e la vitalità economica (il dato più alto di tutta la regione, doppio rispetto a Firenze o Siena), l’11,5% parla di servizi pubblici (percentuale seconda soltanto al capoluogo; ad Arezzo soltanto l’1,5%), il 6,3% la solidarietà e il senso di responsabilità verso la comunità (secondo dopo Pisa). Proprio riguardo ai comportamenti etici Prato presenta indicatori tra i più alti della regione.
«È interessante confrontare questi dati sottolinea Lenzi perché ne emerge un quadro a mio avviso contraddittorio: sorprende perché queste ultime caratteristiche dovrebbero essere indici del viver bene nel Comune; prendiamo per esempio il dato aretino: il 68% parla della qualità della vita, ma solo l’1,5% cita i servizi pubblici: visto che erano possibili più scelte, temo che si tratti di risposte con scarso senso della realtà».
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