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Alla «prima» da presidente, Napolitano supera la prova

di Umberto SantarelliIl messaggio col quale Giorgio Napolitano ha inaugurato dinanzi al Parlamento il suo settennato di Presidente della Repubblica è stato (giustamente) molto attento a mettere in luce le ragioni profonde che fanno della società italiana uno Stato, e che potrebbero appannarsi se venissero sommerse sotto la coltre opaca degli scontri d’interesse o delle cadute di stile d’una classe politica non sempre all’altezza dei propri esigentissimi doveri istituzionali. L’operazione, per quanto difficile, non è affatto impossibile, perché il Presidente è «convinto che la politica possa recuperare il suo posto fondamentale e insostituibile nella vita del paese e nella coscienza dei cittadini […] quanto più rifugga da esasperazioni e immeschinimenti che ne indeboliscono fatalmente la forza di attrazione e persuasione, e quanto più esprima moralità e cultura». Per far questo, però, è indispensabile «costruire basi comuni di memoria e identità condivisa come fattore vitale di continuità». […] «Ma non si può dare memoria e identità condivisa se non si ripercorre e si ricompone in spirito di verità la storia della nostra Repubblica nata sessant’anni fa come culmine della tormentata esperienza dello Stato unitario».È il grande problema col quale ogni società civile si trova a far quotidianamente i suoi conti: quello di non dimenticare mai i fatti costituenti che stanno alla base del suo esistere e ne definiscono i valori di riferimento. Che sono quelli e non altri; e dei quali può esser anche necessario e perfino doveroso non ignorare «zone d’ombra, eccessi e aberrazioni», ma che restano il patrimonio genetico, in virtù del quale uno Stato esiste e riesce a darsi un coerente sistema di regole ordinanti. Questo non significa affatto per noi che tutto debba restar per sempre «ingessato», ma impone di non dimenticare «quei principî fondamentali che scolpirono nei primi articoli della Carta costituzionale il volto della Repubblica. Principî, valori, indirizzi che, scritti ieri, sono aperti a raccogliere oggi nuove realtà e nuove istanze» senza però esser contraddetti né dimenticati. Questo non significa certo negarsi all’attenzione a quanto di nuovo la storia può far emergere: «un risoluto ancoraggio ai lineamenti essenziali della Costituzione del 1948 non può essere scambiato per puro conservatorismo».

Non sono mancati, nel messaggio presidenziale, i riferimenti ai rapporti internazionali. All’Unione europea, la cui nascita fu voluta dall’Italia in modo forte e convinto (col contributo di uomini tra loro così diversi come Croce ed Einaudi, De Gasperi e Spinelli), e alla quale il Presidente giustamente augura che sappia presto darsi un assetto «di autentica rilevanza costituzionale». Non meno deciso è stato il ricordo dei gravissimi problemi connessi alla «minaccia del terrorismo di matrice fondamentalista islamica» che «va affrontata senza esitazioni e ambiguità» ma anche «senza mai offrire a questo insidioso nemico il vantaggio di una nostra qualsiasi concessione alla logica dello scrontro di civiltà» che significasse «una nostra rinuncia al principio e al metodo del dialogo tra storie, culture e religioni diverse». In questo contesto si radica «l’omaggio riverente e commosso a tutti i nostri caduti, che hanno rappresentato il prezzo così doloroso di missioni all’estero assolte con dedizione e onore».

A lettura finita vien fatto di pensare che s’è aperto un settennato certamente non facile; ma non sembra affatto temerario credere che, malgrado certi passaggi di non facilissima lettura per i non addetti ai lavori, alla fine è stata scelta una persona che saprà muoversi con grande libertà e che conosce bene i suoi doveri ed è deciso a rispettarli fino in fondo senza farsi condizionare da nulla e da nessuno. E questo non è certo poco.Auguri, Signor presidente.

Il testo integrale del Discorso di insediamento di Napolitano

Napolitano votato da una parte ma presidente di tutti