L’organizzazione non governativa internazionale Medici senza frontiere’ (Msf) ha annunciato che, dopo 24 anni di attività in Afghanistan, lascerà il Paese in conseguenza dell’uccisione, il 2 giugno scorso, di cinque suoi operatori umanitari. In un comunicato l’organismo ha spiegato che si ritira dallo Stato asiatico in ragione degli assassinii, delle minacce e dell’insicurezza. Un ulteriore motivo della ritirata è l’incapacità del governo afgano di condurre un’inchiesta credibile sui delitti del 2 giugno e anche sulle minacce di possibili futuri attacchi contro il personale di Msf. Era stato Abdul Latif Hakimi, un portavoce dei talebani, a rivendicare il massacro dei cinque addetti di Msf, accusando l’organizzazione Premio Nobel per la Pace di lavorare e fare spionaggio per conto degli statunitensi. I cinque operatori un norvegese, una belga e un olandese, tutti e tre medici, accompagnati da due collaboratori afgani erano stati attaccati mentre viaggiavano in automobile nella provincia di Badghis, nel nordovest del Paese, e in particolare nella zona montuosa di Kahair Khana, circa 500 chilometri a ovest della capitale Kabul. Le vittime erano: Helene de Beir, belga, coordinatrice dei progetti di Msf a Badghis, Willem Kwint, olandese e incaricato dei problemi logistici, Egil Tyanes, coordinatore medico di nazionalità norvegese, Fasil Ahmad, traduttore afgano e Besmillah, autista. In seguito all’agguato Msf, che da 24 anni opera in Afghanistan con 80 stranieri e 1.400 afgani, aveva deciso di sospendere temporaneamente le proprie attività in tutto il Paese. Misna