Italia

Afghanistan fuori controllo

“Sgomento e angoscia” tra i volontari della cooperazione italiana in Afghanistan, “soprattutto perché era un sequestro annunciato, viste le minacce dei giorni scorsi agli stranieri. Ma finché le condizioni lo permetteranno resteremo qui”. Al telefono da Kabul è MARIO RAGAZZI, operatore della Caritas italiana da un anno in Afghanistan, che racconta al Sir lo stato d’animo dei cooperanti alla notizia del sequestro, il 16 maggio, di Clementina Cantoni, volontaria italiana dell’organizzazione “Care international”, da tre anni a Kabul per lavorare ad un progetto in aiuto a 10.000 vedove, subito scese in piazza per chiederne il rilascio. Anche l’Associazione Ong italiane ha espresso piena solidarietà a “Care International”, confermando la volontà di restare nel Paese. Sono 5 le ong appartenenti all’Associazione attive in Afghanistan – Aispo, Alisei, Caritas Italiana, Coopi e Intersos – con 26 operatori, fra cui 19 italiani. Nel 2004 sono stati uccisi 24 operatori umanitari, dopo i 15 del 2003.

Come ha reagito il mondo della cooperazione a questa notizia?

“Ho incontrata Clementina solo una volta a casa di amici, non ho avuto la fortuna di conoscerla bene ma mi dicono che è una persona eccezionale. Lo sgomento e l’angoscia sono forti. Ma soprattutto siamo sgomenti perché era un sequestro annunciato. C’era stato già un tentativo precedente di rapire tre persone che lavoravano per la Banca mondiale, a 100 metri di distanza dal luogo in cui è stata rapita Clementina. Spero che non le facciano niente e la rilascino il prima possibile, come nel novembre scorso, quando rapirono i tre operatori elettorali delle Nazioni Unite e prevalse una soluzione politica e diplomatica. Speriamo succeda lo stesso anche ora”.

Sembra che i rapitori di Clementina siano criminali comuni. Che ne pensa?

“Sicuramente è in corso un’azione di tipo politico che combina tutte le forme di lotta per scalzare questo governo. Ma non so se il rapimento è legato ad un quadro più generale per fare pressione sul governo o è davvero una questione di bande criminali che vogliono scambiare la rapita italiana con il capo in prigione”

Non avete paura?

“Noi siamo qui per fare il nostro lavoro, cerchiamo di farlo nel modo migliore possibile, finché le condizioni lo permetteranno. Se le condizioni non ci permettessero di lavorare andremo a casa. Per adesso restiamo qui”.

In Afghanistan quindi la situazione è tutt’altro che sotto controllo…

“Qui la guerra non è mai finita. Dal 2002 c’è la missione Isaf sotto mandato Onu, formata dai contingenti dei paesi Nato, a cui partecipano anche circa 900 italiani. Ma il resto delle forze internazionali sono sotto comando statunitense ed hanno mandato di guerra contro i talebani di Al Qaeda: sono chiamate forze di coalizione anche se per il 95% sono americane. Sono 20.000 militari, quattro volte di più delle truppe di pace. La situazione sicuramente non è tranquilla, ma molto preoccupante. I passi in avanti sono stati numerosi ma Washington aveva bisogno di un successo immediato, e l’Afghanistan è stato presentato come un successo superiore a quello effettivo. Adesso i nodi stanno vedendo al pettine”.

Anche Kabul non è tranquilla?

“Fino ad un anno fa Kabul godeva di una situazione relativamente migliore rispetto al resto del Paese, dove l’attività di guerra continua tutt’oggi. La novità dell’ultimo anno è che anche Kabul è tornata ad essere un posto poco sicuro. E’ aumentata la criminalità comune, le rapine, gli omicidi, i rapimenti di stranieri. Sono aumentate le minacce con bombardamenti, lanci di razzi, come l’agosto scorso contro una società di sicurezza di mercenari americani, mentre una settimana fa in una zona di mercato una bomba ha ucciso due persone. Non è come l’Iraq ma c’è un aumento notevole di questi incidenti”.

Qual è il sentire comune della popolazione nei confronti delle truppe Usa?

“A Kabul le cose vanno relativamente bene rispetto al resto del Paese. Ma nella zona est dell’Afghanistan un collega mi diceva che lo scontento e il risentimento nei confronti di una presenza americana sempre più visibile sta montando in modo palpabile. Nelle ultime settimane la questione delle basi permanenti americane ha fatto da detonatore, facendo suonare i campanelli d’allarme e indebolendo di fatto il presidente Karzaï di fronte a buona parte della popolazione, che lo considera eccessivamente succube di Washington”.

Cosa fa la Caritas italiana in Afghanistan?

“Abbiamo un ufficio molto piccolo con collaboratori locali, per tenere basse le spese amministrative. Collaboriamo con organizzazioni governative afgane, tra cui l’associazione nazionale dei sordomuti. Diamo finanziamenti e portiamo avanti la formazione degli staff. Oltre ai progetti per i disabili, il grosso del budget va in due distretti molto isolati, tra i più poveri del Paese e tra i più colpiti dalla carestia. Stiamo finanziando un programma di sicurezza alimentare, orti sperimentali, vivai di piante da frutta, costruzione di strade e scuole”. a cura di Patrizia Caiffa

Afghanistan, la volontaria italiana nelle mani di una banda criminale