Cultura & Società
Adozioni: storia di Iosif, dalla Romania a Firenze
In un libro-verità Anna Pampaloni descrive le vicende dell'adozione in Romania di suo figlio, che adesso ha 30 anni e vive alle porte di Firenze.
Una storia come altre, forse. O forse, anzi sicuramente, no. Perché quando si parla di adozioni nessuna vicenda è come un’altra, anche se alcuni passaggi possono sembrare simili, certe difficoltà possono apparire frequenti. Ma per i protagonisti, genitori e figli adottivi, la storia che si trovano o si sono trovati a vivere è solo e sempre la loro. E allora può capitare che se ne voglia far memoria, che la si voglia in qualche modo fissare sulle pagine, prima di tutto per sé e poi magari perché potrebbe servire ad altri.
Ed è più facile se ci si chiama Anna Pampaloni e si è figlia del grande critico letterario Geno, e si ha avuto per marito – purtroppo scomparso nel 2022 – Saverio Castrucci, che ricordiamo con affetto per una sua certa frequentazione giovanile della redazione di Toscana Oggi. Ma il modo in cui Anna è arrivata a mettere nero su bianco la propria esperienza di mamma adottiva sarebbe già una storia di per sé. «Ho cominciato a scrivere il mio piccolo libro tante volte – racconta – ma mi fermavo sempre. Perché l’esperienza in Romania è stata devastante. Troppi bambini di strada, troppi bambini abbandonati troppa povertà. Per anni non sono riuscita a riguardare le foto. Poi quando è morto Saverio, mio marito per trent’anni, mi sono decisa a riprendere il racconto. Ma non avevo più la chiavetta dove avevo scritto la prima parte molti anni prima. Alla fine come per miracolo è saltata fuori. E ho corretto, tagliato, riempito. Ho riempito la nostra “storia senza storia”».
Storia a cui Anna ha dato un titolo che dice tutto, «In un giorno bellissimo». Che però è stato scelto col senno di poi, perché i dubbi e le difficoltà iniziali, così come le infinite attese, avrebbero fatto gettare la spugna a molti. Ma a lei e Saverio no: sposati nel 1992 avevano scoperto dopo qualche anno che non avrebbero potuto avere figli, per un varicocele di Saverio non scoperto da bambino. Da allora, prima di sapere chi sarebbe stato loro figlio, sono passati due anni, necessari a verificare la loro idoneità – con un percorso che giustamente mette in guardia dai rischi e suscita un bel po’ di apprensione – e anche a individuare il bambino «giusto».
Dai tre giorni iniziali a Milano ai colloqui successivi, tre con uno psicologo e altrettanti con un assistente sociale: un «percorso di guerra» – come lo definisce Anna – che metterebbe a dura prova chiunque, unito alla successiva attesa lunga e snervante che però, con il senno di poi, ha finito per rafforzare la loro convinzione. Fino al 15 aprile 1998, quando l’associazione cui si erano rivolti telefona per dar loro la lieta notizia: c’è Iosif (oggi ha trent’anni e abita alle porte di Firenze nella casa dove dove è cresciuto appena arrivato in Italia), quasi cinque anni, in un orfanotrofio sperduto della Romania ai confini con l’Ucraina. Non un bambino piccolissimo, quindi, ma uno con già un suo bel bagaglio di vissuto e quindi di traumi. Un biondino piccino ma bellissimo, con gli occhi azzurri che poi rivelerà anche una certa, sorprendente somiglianza con Saverio.
Passano ancora i mesi, si arriva a ottobre e i due coniugi vengono chiamati per recarsi una prima volta a Satu-mare, il paese dove si trova Iosif. Non è un viaggio banale soprattutto per Anna, che non manca di ricordare la sua paura degli aerei, esorcizzata – nonostante la sua laicità, contrapposta alla fede del marito – con santini di padre Pio, verso cui nutre una fiducia assoluta. Con loro ci sono altri due genitori, con già due figli naturali e una bambina adottiva da conoscere. Tappa a Bucarest e poi l’avventura di un viaggio in un treno a gasolio riscaldato con stufette a carbone che si rivela – non solo per lei – più angoscioso dell’aereo. Poi finalmente l’arrivo, la conoscenza di Iosif in mezzo agli altri bambini cui pure hanno portato doni, quasi per mitigare la loro attesa dell’unico dono che serve loro davvero, quello di una famiglia. Il loro figlio adottivo è bellissimo, ma gli altri volti stringono il cuore. Per non parlare dei bambini di strada di Bucarest, che il cuore invece lo spezzano, come lascia capire Anna descrivendo poi brevemente una realtà drammatica e insopportabile.
Ma loro sono lì per Iosif, è tutto quello che possono fare, e il primo passo è una breve convivenza di tre giorni, inizialmente assieme anche all’altra famiglia poi da soli perché sembrava la scelta più opportuna. Il biondino non si rivela certo un tipo facile: a parte la pipì a letto, ha bisogno di fare «il birbone, il senza-regole, il provocatore», come scrive Anna spiegano anche il perché: «Ne ha avuto bisogno per tanto tempo per misurare le nostre capacità di resistenza. Più resisti più non mi abbandonerai, più resisti più io capirò che mi vuoi bene davvero, che io entrerò a far parte della tua vita e tu non mi lascerai di nuovo». Non è stato facile, per la fatica e per la paura di sbagliare, unita al desiderio di essere perfetti. Ma, aggiunge, «non esistono genitori perfetti e figli perfetti. Ce l’abbiamo fatta a capirlo grazie a Sergio, prezioso amico e psichiatra dell’età evolutiva. Ci siamo rivolti tante volte a lui. Ce l’abbiamo fatta ma chissà quanti errori abbiamo commesso. Quante volte lo abbiamo sgridato senza capirlo, e quante volte abbiamo lasciato correre e non era il caso. Poi abbiamo dimenticato la perfezione, e abbiamo cominciato a fare i genitori. Allora ha funzionato davvero».
Il ritorno in Italia è preceduto da un ulteriore «interrogatorio», stavolta di fronte a giudici rumeni, ovviamente con l’aiuto di un interprete. Ma avviene senza Iosif, perché la legge di quello Stato non permette di portare via subito il bambino. E per lui, che voleva partire subito, è un’ulteriore sensazione, anzi certezza di abbandono, come confesserà tanto tempo dopo.
Per il viaggio di andata da soli e ritorno con Iosif occorre attendere ancora fino ai primi di dicembre. L’avventura assieme può cominciare, tra gioie e difficoltà. Per Anna ci sarà anche la sensazione iniziale di non essere accettata, al contrario di Saverio. Ci sarà la vita di un bambino che, superata la fase dei capricci, si rivela intelligente e sensibile poi diventa ragazzo e uomo. Ci saranno ancora timori e tante emozioni, che la mamma adottiva descrive in modo magistrale. Ci sarà il momento in cui Iosif decide di andare a vivere da solo, assieme alla sua compagna, e ci sarà distacco da Saverio, portato via troppo presto da un tumore.
Ricordi che si accavallano e si dipanano, intervallati da impressioni e considerazioni che colpiscono. «Ho scritto questo racconto, tutto vero, senza invenzioni a effetto – conclude Anna – perché volevo testimoniare la fatica che comporta adottare un figlio. E questa è una storia di fatica e di successo. Perché non sempre le adozioni finiscono male. È duro prendere con sé un bambino che non ti conosce, non sa chi sei, non parla la tua lingua, si trova catapultato in un mondo che non conosce, sradicato dall’ orfanotrofio che era l’unica realtà che conosceva. Io questo ho capito. Che bisogna mettersi dalla parte del bambino. Sempre. Ed è così che Iosif è diventato il mio capolavoro. Imperfetto, e io la sua mamma. Imperfetta».
Il libro di Anna Pampaloni, che s’intitola “In un giorno bellissimo” (Mauro Pagliai editore, pagine 96, euro, 8), viene presentato martedì 5 marzo alle 18 al caffè letterario Il Conventino a Firenze.