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Adozioni: al via oggi l’Icar. L’Italia prima in Europa per accoglienza in famiglia di minori provenienti da altri Paesi, seconda nel mondo solo a Usa
“L’accoglienza in famiglia di minori in situazioni di fragilità ha nel nostro Paese una lunga e consolidata tradizione”. Lo evidenzia una nota dell’Università Cattolica, in occasione dell’avvio dei lavori della 7ª edizione edizione dell’International Conference on Adoption Research 2021, l’evento che il Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica ospita via web fino al 9 luglio.
All’evento introdotto da Rosa Rosnati, psicologa dell’adozione dell’Ateneo che ha curato l’organizzazione di Icar 7, ha portato i suoi saluti anche il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli.
In particolare, “l’adozione è un fenomeno numericamente assai consistente, tanto che l’Italia risulta oggi il primo Paese in Europa, secondo solamente agli Stati Uniti, per il numero di adozioni internazionali: dal 2001 al 2020, 52.327 minori hanno fatto ingresso nel nostro Paese attraverso questo canale (www.commissioneadozioni.it) a cui aggiungere circa 18.000 adozioni nazionali. Negli anni 2010-2012 sì è registrato il picco delle adozioni internazionali con più di 4.000 ingressi ogni anno. Di recente però si è registrato un forte calo che ha portato a una drastica riduzione sia del numero di adozioni (fenomeno che ha interessato tutti i paesi di accoglienza, aggravato poi dalle restrizioni legate alla diffusione della pandemia di Covid-19) sia del numero di coppie che si rendono disponibili all’accoglienza. Nel 2020 il numero di adozioni internazionali è stato 526”.
“Numerosi sono i fattori sociali, culturali, politici ed economici che hanno contribuito a creare un simile clima di sfiducia nei confronti dell’adozione, non da ultimo l’emergere di alcuni casi (benché residuali) di fallimento adottivo, ovvero casi di in cui i ragazzi, a seguito di gravi problemi comportamentali e relazionali (tra cui abuso di sostanze, esordi psichiatrici e comportamenti antisociali), vengono allontanati dalle famiglie e collocati in comunità con gravi costi psicologici e sociali per loro e le loro famiglie, per tutto il contesto sociale e i servizi territoriali coinvolti”, spiega la nota.
Le ricerche evidenziano, infatti, che “il contesto familiare consente ai minori che hanno vissuto una molteplicità di esperienze sfavorevoli un recupero davvero sorprendente in tutte le aree dello sviluppo, fisico, cognitivo e relazionale. Risulta sempre più evidente come l’intervento precoce sul trauma a partire dai correlati neurofisiologici connessi a tali esperienze negative amplifichi di fatto le possibilità di recupero, ma le conoscenze su questi temi sono ancora scarsamente diffuse”, conclude la nota.