«Padre, fratello, amico di tutti. Ha annunciato con la fede e col suo sorriso la bellezza di Dio e della vocazione francescana». E’ il santino semplice che circola di mano in mano a Firenze, nella chiesa di San Salvatore al Monte. Sono passate appena 36 ore dalla morte di padre Fiorenzo Locatelli. E «Fiore» è già lì, al centro della navata. Pronto al momento del congedo. Il primo. Poche ore dopo il più intenso, tra i boschi della Verna. Lì dove avresti voglia di sorridere, perché sai che lui avrebbe voluto così. E dove invece resti serio perché se piangi piangi su te stesso, che hai perso in un colpo solo un padre ed un amico. Lui, padre Fiorenzo. Se lo è portato via un infarto, forse causato dallo sforzo di un viaggio dall’altra parte del mondo, per salutare in Bolivia i suoi confratelli in terra di missione. O lo sforzo di tornare e, senza un attimo di riposo, riprendere il suo apostolato, asciutto e, almeno lui, sempre sorridente. Sessantanove anni li aveva compiuti il 14 febbraio: per San Valentino, da vero innamorato della vita. Nato a San Piero in Bagno, in provincia di Forlì, terzo di quattro fratelli. A 18 anni aveva già il saio addosso come novizio alla Verna e non lo avrebbe più abbandonato. La professione solenne a 25 anni a Fiesole, il sacerdozio a 27. E l’inizio della pastorale. Viceparroco ad Arezzo, nel 1966, nella chiesa di Saione. Poi per 14 anni parroco a Piombino, fra il ’71 e l’85, nel quartiere più povero della città. Poi al Convento di Fiesole, fra l’85 e il ’91, con l’ufficio di guardiano. Infine l’arrivo alla Verna. Era il 1991: ci sarebbe rimasto 15 anni, prima come vicario e poi come guardiano (12 anni). Quindici anni che i suoi frati, mentre lo accompagnano al piccolo cimitero appena dietro il Refettorio del Pellegrino, rivivono passo dopo passo Ogni angolo del selciato sembra parlare di lui. Perché era il frate dell’accoglienza, delle braccia perennemente aperte, a chi gli chiedeva aiuto e a chi aveva paura di farlo. Ma era anche il frate dei lavori. Impegnato prima a salvare il convento, dalla frana che lo minacciava. Poi ad ampliarne gli ambienti. E a recuperarne i tesori. Come il museo, inaugurato nel 2002. Lì dove i capolavori dell’arte convivono con i capolavori della fede: il fuoco comune, un’enorme cappa al posto del soffitto e intorno le panche che accoglievano i frati. I lumini a olio che illuminavano le nicchie, e guidavano i frati di notte per i corridoi del santuario. E quella sorta di campanacci che servivano per svegliare i frati: e che lui si divertiva ad azionare, per spaventare e divertire i visitatori. Era il frate del ponte verso la Cecenia. E verso la Lituania e la Collina delle Croci. Era il frate del saio di San Francesco, riportato con emozione nel cuore della Basilica. Lì, dove ora i suoi frati li salutano. Da tutta la Toscana. Perché dal maggio del 2006 padre Fiorenzo era la loro guida, il Ministro Provinciale di tutti i frati minori. Qualcuno sorridente, perché la fede lo assiste. Tutti pensierosi, feriti, forse tramortiti. Stretti l’uno all’altro, come nei momenti più difficili. Dentro la Basilica, tra i canti solenni che Fiorenzo ormai non guiderà più. E poi fuori, nel percorso a piedi fino al cimitero tra gli alberi.Alberto Pierini