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«Abbattere il muro». Lettera della Caritas toscana sui Rom
Pubblichiamo il testo integrale della Lettera della Delegazione Regionale delle Caritas della Toscana alle Caritas Parrocchiali ed alle Parrocchie nel tempo di Avvento 2007, dal titolo: Abbattere il muro. La Buona Notizia dell’accoglienza di un popolo che c’interpella: I ROM.
Introduzione
La guerra dei Balcani e la recente apertura delle frontiere della Comunità Europea, con l’allargamento ad alcuni paesi dell’est, hanno determinato una nuova ondata migratoria di popolazioni nomadi, zingare, anche verso l’Italia.
Questo fenomeno ha richiamato l’attenzione dei mass-media, inducendoli a parlarne molto, ma spesso in maniera stereotipata e persino fantasiosa, con toni ostili e talvolta apertamente intolleranti.
E’ per questo motivo che come Caritas della Toscana ci siamo sentiti chiamati a scrivere questo documento, a servizio di tutte le Caritas parrocchiali della nostra Regione e delle comunità di cui esse sono espressione.
Questa riflessione, che proponiamo all’attenzione di tutti gli uomini di buona volontà, in questo tempo di grazia che è l’Avvento, non intende indicare soluzioni al problema dell’integrazione degli zingari, ma vuole promuovere un dibattito costruttivo all’interno della comunità cristiana e per riflesso in tutta la società, perché insieme possiamo leggere i segni dei tempi e indagare su come il Signore ci interroghi ancora oggi, attraverso questa realtà che provvidenzialmente ci è messa accanto e che una volta di più ci richiama all’accoglienza e al prendersi cura.
Dov’è tuo fratello? ci viene chiesto ancora oggi. E ancora oggi ci viene lasciato uno spazio sacro di libertà e creazione per poter rispondere.
La presenza degli zingari in Italia
Gli zingari fanno clamore, perché fanno paura. Eppure si tratta di una minoranza. Il numero complessivo dei Rom e Sinti (1) presenti in Italia, infatti, nonostante l’aumento dovuto alla migrazioni di nomadi rumeni a causa dell’ingresso della Romania nell’Unione Europea, è di 160.000 unità circa, di cui più della metà in un’età inferiore ai 14 anni.
Di questi, circa 70.000 (dunque oltre la metà) sono italiani e lo sono iure sanguinis fin dal 1400 (2).
Si tratta, in percentuale, appena dello 0,2% circa della popolazione italiana nel suo complesso.
E’ utile inoltre richiamare qui esplicitamente la differenza fra persone che appartengono al popolo rumeno (circa 600.000 in Italia) e quelle che appartengono al popolo Rom, fra le quali anche i Rom rumeni. Si respira una gran confusione, infatti, riguardo a questo argomento anche nel mondo politico e amministrativo, con inevitabili ripercussioni nella gestione delle specifiche situazioni, soprattutto in ordine all’accoglienza e alla inclusione sociale.
E’ bene quindi ricordare che il popolo Rom è cosa diversa da quello dei Rumeni e costituisce indiscutibilmente una minoranza nel mondo dell’immigrazione all’interno del quale, peraltro, subisce un’emarginazione anche più accentuata rispetto a quella già presente verso gli immigrati in generale.
Queste affermazioni sono oggettivamente suffragate dai dati sopra citati. Dati questi numeri, la questione Rom non può costituire né un allarme per quanto riguarda l’ordine pubblico, né un problema di ordine sociale.
Eppure gli zingari spaventano. Qual è allora il motivo di tanto clamore e di tanta paura?
Forse perché spesso al centro di notizie di cronaca, talvolta amplificate.
Forse perché meno si conosce una minoranza, più questa intimorisce.
Forse perché da parte di nessuno di noi gagè (3) c’è stato un interessamento, una reale curiosità verso l’unicità specifica di questa cultura e forse perché si tratta del caso più eclatante in cui si evidenzia la difficoltà della società odierna a dialogare con culture e approcci esistenziali diversi dai propri.
Forse anche perché da parte degli zingari stessi non c’è mai stata una diffusa organizzazione per far sentire la propria voce nella società e la loro lunga storia di persecuzioni ha determinato una sfiducia strutturale verso la società di noi gagè (4)
Più verosimilmente, non c’è un motivo unico, ma un concorrere anche irrazionale di cause di diversa natura, il cui frutto resta una generale diffidenza e un pericoloso isolamento.
Per poter accogliere questo popolo, per poter incontrare le persone, è allora necessario affacciarsi in primo luogo al loro mondo, così vicino ai nostri luoghi e così lontano dalla nostra comprensione e non fermarci alla soglia dei problemi che gli zingari portano, ma spingerci un passo dopo, a conoscere il loro nome, la loro storia.
L’identità zingara non si rivela facilmente perché è dinamica, fluttuante e veicolata da relazioni perturbate tra gli zingari e i gagé.
Manca un riferimento certo ad un territorio ancestrale dove essi avrebbero radici ed anche la loro cultura è stata trasmessa in modo labile, soprattutto oralmente. Non si ha notizia certa della loro erranza e i censimenti della storia li hanno difficilmente descritti. E’ difficile individuare un’unità etnica complessiva e relativamente uniforme per descrivere gli zingari: si tratta di Sinti, Rom, e tra loro ci sono slavi, kosovari, rumeni. Si possono però individuare alcune caratteristiche comuni che connotano la mentalità e l’atteggiamento esistenziale:
Questa non equivale necessariamente a una reale mobilità, ma origina da una civiltà nomade che ha strutturato la mentalità degli zingari, la loro visione del mondo e si traduce in un atteggiamento esistenziale di precarietà nei confronti della vita. Proprio questa vita in bilico, in margine, li rende restii verso tutti i progetti comunemente intesi e rende difficile ogni approccio progettuale che non si conservi sufficientemente elastico.
Il timore di essere assorbiti e di perdere la propria identità.
Esso si traduce in una resistenza all’assimilazione, ma anche, in un certo senso, all’integrazione.
La lunga storia di emarginazione e di persecuzione ha determinato poi una sfiducia verso gli altri con la conseguente tendenza a chiudersi in se stessi nella consapevolezza di poter contare soltanto sulle proprie forze per poter sopravvivere in una società ostile (5).
Il senso della famiglia.
La famiglia zingara è un centro vitale in cui la coscienza e la memoria collettiva plasmano il giovane. Questo può contribuire a comprendere come la nostra scuola venga vista dagli zingari solo come un luogo dove imparare a leggere e scrivere, ma non come un’agenzia con una sua valenza educativa, visto che il modello educativo di riferimento non considera minimamente la peculiarità della loro cultura.
Quando si parla di famiglia, bisogna poi ricordare che si tratta di una famiglia allargata, costituita da una rete di molteplici famiglie imparentate, che porta ad un atteggiamento di grande solidarietà e di ospitalità, specialmente verso i membri della propria etnia (6). In base a ciò si può già intuire il rifiuto che viene opposto a tutti quegli interventi della società che hanno come conseguenza lo smembramento di questo nucleo vitale.
Il grande rilievo della dimensione religiosa.
Il rapporto con Dio è dato infatti per scontato e si traduce in una relazione affettiva e immediata con l’Onnipotente che cura e protegge la vita familiare, specialmente nelle situazioni dolorose e inquietanti dell’esistenza (7).
Il XX secolo ha provocato anche in queste popolazioni molti cambiamenti. I più importanti sono senza dubbio:
– La tendenza alla sedentarizzazione e il conseguente maggior contatto con il mondo dei gagé. L’aumentata durata delle loro soste ha anche permesso ai figli di frequentare di più la scuola, visto che i genitori hanno compreso l’evolversi del mondo e sofferto l’inferiorità di essere analfabeti.
– Un miglioramento delle condizioni femminili, anche se in questo senso, c’è ancora un cammino da fare.
– La trasformazione tecnico industriale della società dei gagé ha lasciato poco spazio economico ai mestieri tradizionali, ormai obsoleti (allevamento equini, lavorazione dei metalli, piccolo artigianato, musica e spettacoli viaggianti). Gli zingari hanno dunque dovuto abbandonare questi mestieri e cercare mezzi di sussistenza in attività di scarso profitto (es. raccolta di ferrovecchio, vendita piantine o biancheria porta a porta) o anche in quelle al limite della legalità ed oltre.
– La secolarizzazione a cui a lungo hanno resistito sta iniziando ad intaccare la loro religiosità.
Abbiamo provato sin qui a tracciare sommariamente un quadro della realtà dei nomadi.
Nella loro diversità e peculiarità essi ci interpellano almeno a due livelli:
a) Dopo sei secoli (8) di vicinanza e convivenza nel medesimo ambito geografico, questo popolo ci è ancora sconosciuto.
Ci sono state ed esistono tuttora delle esperienze positive nella convivenza con i popoli zingari, ma non abbiamo ancora trovato un vera strada per l’incontro.
Parliamo spesso per stereotipi e abbiamo difficoltà a chiamare per nome queste persone, interrogarci sinceramente sulle loro storie di ricchezza e di povertà.
Che questo Avvento possa interrogare anche noi, le nostre Caritas, le nostre comunità, sullo stile di incontro che scegliamo, anche con gli zingari: quanto ci fermiamo alle loro richieste insistenti al limite del fastidio, a volte, e quanto invece non ci apriamo alla voglia di spingerci verso i confini del loro mondo per iniziare a conoscere le chiavi con cui gli zingari leggono gli eventi, la storia e le relazioni interne ed esterne.
Giovanni Paolo II nella Redemptoris Missio ci suggerisce come lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi(RM58).
Il primo obiettivo da sottolineare non è dunque la mera assistenza, ma il reale incontro con questo popolo, in un ascolto attento, cadenzato sulla loro vita, sulle loro categorie più che sulla nostra esperienza anche per discernere il modo più adatto di prendersi cura di loro. Infatti, la sfiducia ingenerata negli zingari verso tutti i gagé da una lunga storia di soprusi e torti subiti ha radicato un forte sospetto di fronte all’iniziativa di chiunque cerchi di penetrare nel loro mondo.
Non basta quindi presentarsi con l’amore e la buona volontà per proclamare la Buona Novella dell’accoglienza e della liberazione.
Il superamento di questo iniziale atteggiamento può solo provenire da dimostrazioni concrete di solidarietà, anche attraverso una condivisione di vita. Ogni dimostrazione e ogni atto di reciproco perdono consolidano poi la fiducia e la solidarietà, favorendo l’instaurazione di rapporti positivi trazingari e gagè (9).
b) La presenza degli zingari è sempre più vista come un problema da rimuovere, quasi una maledizione inevitabile, come drammaticamente testimoniano i casi di intolleranza, le vere e
proprie campagne denigratorie in alcuni casi contro cittadini a tutti gli effetti italiani, che vivono in questi luoghi anche da 30 anni.
In questo clima di non accettazione può anche capitare che, purtroppo, il malumore delle persone sia strumentalizzato anche per fini politici e si inserisca in contrapposizioni tra fazioni opposte.
In questa situazione, resta facile a tutti poter perpetrare ingiustizie, non riconoscendo agli zingari nessun diritto e dignità.
Che questo Avvento ci interroghi su quale ruolo possa e debba giocare la Chiesa, nel suo essere comunità, e ogni cristiano, nella sua personale responsabilità: se si sceglie il rifiuto, la contrapposizione, il silenzio, la vicinanza, la condivisione.
In uno spirito di comunione ecclesiale con le altre realtà che lavorano con i nomadi e con le altre espressioni della chiesa presenti sul territorio, prima tra tutte con i membri dell’UNPRES (Ufficio Nazionale Pastorale Rom e Sinti della Cei), auspicando su questo tema una possibile collaborazione anche con le altre chiese sorelle e comunità ecclesiali presenti sul territorio, perché, da questo ci riconosceranno, dall’amore reciproco e dalla capacità di rendere comunione le diversità, intendiamo proporre le riflessioni che seguono.
Il compito da intraprendere, affinché gli zingari, particolarmente vulnerabili, si considerino e siano accettati come membri a pieno titolo della famiglia umana è perciò grande e urgente (10).
Il solo stile di incontro e di accoglienza che il cristiano conosce è quello che salva le unicità e le valorizza. Vanno così decisamente respinti i tentativi di assimilazione, vale a dire quelli conducenti all’annientamento della cultura zingara, dissolvendola in quella della maggioranza. Lo
zingaro inserito nella società dei gagé dovrà continuare ad essere se stesso, a preservare cioè la propria identità (11).
La questione dei diritti dei popoli zingari non esime dal considerare le necessità dell’affermazione e del rispetto dei doveri, per questo riteniamo fondamentale realizzare con Rom e Sinti un vero e proprio patto sociale.
Una difesa indiscriminata di tutti gli aspetti della cultura zingara, senza le dovute distinzioni e i relativi giudizi evangelici, non giova. Purificazione, comunque non significa svuotamento, ma pure una certa integrazione con la cultura circostante: si tratta di un processo interculturale (12).
Alla luce delle indicazioni che ci vengono donate dalla Chiesa e richiamati dall’attualità che ci invita a rispondere, crediamo fortemente che sia giunto il tempo, non solo come Caritas, ma come comunità cristiane tutte, di iniziare a prendersi cura del popolo nomade, di viverne la presenza come un segno, di avvicinarsi a questa realtà itinerante con rispetto, con un punto di vista sapiente, che ci riporti all’origine del nostro essere Popolo di Dio, nell’atteggiamento biblico di porci in ricerca, in cammino con loro.
Mettere in rete le esperienze maturate con gli zingari, tentarne di nuove, convertire il cuore alla disponibilità verso un incontro reale e libero da preconcetti può essere un cammino di accoglienza piccola, ma radicale in questo Avvento.
L’unità della famiglia umana si manifesta a partire dal riconoscimento della dignità e della libertà di ogni persona, qualunque ne sia l’etnia, il paese d’origine e la religione.
La persona, ogni singola persona, è incommensurabilmente preziosa e Cristo ha offerto la sua vita per ciascuno, nell’irripetibilità di chi siamo.
L’annuncio della Risurrezione suggella la morte dell’odio e la morte di ogni morte. Tramite la Risurrezione, Egli ha diffuso il suo Santo Spirito, Spirito di verità e di amore, Spirito di libertà e di pace, che ci riconcilia con l’avversario, ci strappa dall’indifferenza, facendoci prima di tutto membri della famiglia umana.
La Buona Novella dell’amore per l’altro, dell’accoglienza, che Cristo ha incarnato e proclamato, orienta noi cristiani all’amore senza condizioni per ogni essere umano e ci converte ad occupare con lui il posto del servitore per tutti.
perché l’aria azzurra diventi una casa.
NOTE