Vita Chiesa

A sessant’anni dalla “Pacem in terris”, l’enciclica di papa Giovanni che spiegava al mondo che la guerra è impossibile

Giovanni XXIII promulgò la Pacem in Terris nel 1963

L’enciclica e, poche settimane dopo, la commozione per morte del papa (che ne aveva deciso la stesura anche se affetto da un cancro non più curabile) dette voce alle aspirazioni di pace dei popoli del mondo intero e contribuì a dare impulso alle trattative per l’accordo sulla parziale messa al bando degli esperimenti militari nucleari che sarebbe stato siglato nell’ottobre del 1963.

Non è possibile rievocare questi avvenimenti senza riflettere, con amarezza e apprensione, alle cronache dei nostri giorni. Non solo la guerra russo-ucraina, ma la logica che l’ha prodotta e che ne esce rafforzata. Al Forum sulla sicurezza e la difesa europea che si è tenuto a Bruxelles il 20 e il 21 marzo scorsi, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell ha dichiarato, senza giri di parole, che la riposta dell’Unione Europea “all’indebolimento del multilateralismo e al ritorno della politica di potenza in tutto il mondo” è partecipare, con i fondi del bilancio comunitario, a questa stessa politica di potenza. D’altra parte, è il ragionamento di Borrell, la rottura del “tabù” di finanziare i rifornimenti di armi di un Paese in guerra determinatasi con il sostegno all’Ucraina, è saltata all’occhio anche ai partner del continente africano, che “chiedono sempre di più un supporto, anche di attrezzature letali“. Di qui l’intenzione di rifornire, al più presto, di armi il Niger e la Somalia. Il contenimento delle presenza russa e cinese nel continente africano passa, così, anche per la cessione di armi in contesti destrutturati da decenni di guerre civili.

Siamo davanti all’ennesima conferma (sfrontata) di quella che papa Francesco chiama la terza guerra mondiale a pezzi, combattuta in varie aree del mondo con la rinuncia allo strumento della diplomazia e della negoziazione.

Sebbene la scelta di utilizzare i fondi dell’Unione nella cessione di armi a paesi in guerra sia nuova, certamente essa è in linea di continuità con le scelte di molti paesi membri. Politiche che si sono dimostrate incapaci di risolvere le crisi che si proponevano (almeno ufficialmente) di affrontare e che sono state, invece, foriere di crisi umanitarie devastanti. La contrapposizione delle politiche di potenza in Libia, ad esempio, ha generato una situazione di stallo oramai più che decennale, con gravi ripercussioni nella stabilità del Mediterraneo, la perpetrazione di crimini contro l’umanità nella più assoluta impunità e con la complicità di accordi internazionali in cui la vita umana è fatta merce di scambio. Contesti così destrutturati, tra l’altro, non sono in grado di garantire le condizioni per favorire la stabilità dei commerci, rendono anche difficile la programmazione di piani energetici.

E’ stridente il contrasto fra le speranze condivise di una umanità assetata di pace che Giovanni XXIII seppe esprimere, rilanciare e orientare e l’apatia con cui vengono recepite dall’opinione  scelte di tale portata. Le innumerevoli guerre degli ultimi 30 anni sembrano aver fiaccato le speranze e le energie per la pace, ne fanno le spese, anche da noi, soprattutto le giovani e giovanissime generazioni che vivono in solitudine le ansie profonde per le possibili escalation nucleari, per l’inerzia che la situazione internazionale accresce nei confronti delle sfide del Nuovo Regime Climatico, per l’impotenza nei confronti di così tanta sofferenza umana.

L’occasione della celebrazione dei 60 anni della Pacem in terris non può allora che essere monito al passaggio del testimone della Speranza! Cioè l’impegno senza riserve a rilanciare la cultura della pace e della nonviolenza.

L’enciclica di Giovanni XXIII, rivolta non solo ai cattolici ma a tutti gli uomini di buona volontà, dopo una breve introduzione in cui, tra le altre cose reclama la creazione urgente di una Comunità mondiale per far fronte alle esigenze del bene comune universale, è articolata in cinque parti: la prima concerne i rapporti tra gli esseri umani, fondati sul rispetto della dignità della persona, quindi sui diritti-doveri espressi (sia pure in maniera non definitiva e imperfetta) dalla carta dei diritti universali delle Nazioni Unite. La seconda tratta dei rapporti tra le singole persone e i poteri pubblici. La terza è dedicata ai rapporti internazionali, che devono essere improntati (specularmente ai rapporti interumani) alla verità alla giustizia, alla solidarietà fattiva. La quarta parte è dedicata ai rapporti delle singole persone e delle comunità politiche con la comunità mondiale: il papa mostrava così l’interdipendenza dei popoli e delle nazioni, denunciava l’inadeguatezza dell’attuale organizzazione della comunità internazionale per assicurare il bene comune universale. La quinta parte è dedicata al ruolo dei cattolici per la costruzione della pace nel mondo, essi erano invitati a rompere ogni steccato e a collaborare con chiunque avesse a cuore il bene della pace.

Il papa mostrava che la convivenza pacifica fra i popoli e fra gli uomini è possibile in forza di un ordine mondiale fondato su valori universali quali la verità, la giustizia, la libertà e l’amore, su un ‘nuovo’ Diritto internazionale che prende origine, appunto, dalla Carta delle Nazioni Unite e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.

Tale ordine corrisponde ai desideri più intimi dell’uomo, desideri rivoluzionari che denunciano il sistema patriarcale su cui si fonda la “volontà di potenza” e liberano le aspirazioni di gioia, di libertà, di autenticità senza dar respiro alle quali l’esistenza umana rimane prigioniera delle paure.

La “volontà di potenza” così come richiamata da Borrell esprime una visione dell’umanità e delle condizioni di vita sul pianeta diametralmente opposta a quella espressa dalla Pacem in terris.  Essa è certamente eredità di secoli, agisce nelle dinamiche geo-politiche e sarebbe ingenuo ignorarne la forza, ma è totalmente incapace di garantire pace e sicurezza e sarebbe un terribile errore adeguarvisi rinunciando alla diplomazia, al dialogo, al diritto. Folle (alienum est a ratione, diceva appunto Giovanni XXIII) continuare a ritenere la guerra, nell’era nucleare, quale mezzo di soluzione delle controversie. La possibilità della catastrofe nucleare da una parte e l’inconcludenza di tutte le guerre “convenzionali” combattute negli ultimi 30 anni (nessuna delle quali ha sortito gli obiettivi che le giustificano) stanno lì a dimostrarlo inconfutabilmente.

La pace resta alla portata delle donne e degli uomini del nostro tempo e delle loro lotte, perché corrisponde – questo il cuore della Pacem in terris – alla verità profonda della persona umana che riconosce nell’altro e nell’altra colui e colei la cui vita – proprio come la sua – ha un valore infinito.