Arte & Mostre
A Murlo l’epopea degli Etruschi in una mostra
Si tratta di una straordinaria documentazione sulle persone e sui luoghi, ma anche dell’evoluzione di una società. Come afferma il sindaco Fabiola Parenti nella presentazione di un volumetto stampato per l’occasione da Nuova immagine editrice (in vendita al museo), cinque lustri rappresentano “Un tempo breve di fronte a una storia millenaria, ma infinito per Murlo, perché ha segnato un cambiamento epocale. Dal 1966, cambia tutto. È l’anno che coincide con l’inizio degli scavi a Poggio Civitate, alla ricerca delle testimonianze di una civiltà – letteralmente – sepolta da tremila anni. Il merito di Ranuccio Bianchi Bandinelli e di Dario Neri è stato di aver creduto in una intuizione e del professor Kyle Meredith Phillips di averla trasformata in realtà. Da allora, gli orizzonti sono cambiati. Si è cominciato a investire su un museo, sono cresciuti la notorietà, il turismo e la ricerca è andata avanti, arrivando a indagare persino nel sangue degli abitanti, sulle tracce di un Dna correlato con quello etrusco” .
Le foto provengono dall’archivio dell’Università Amherst del Massachusetts (che ancora sta scavando l’area arhceologica) e Göran Söderberg, fotografo della prim’ora di campagne che hanno visto la conduzione di università americane in simbiosi con archeologi svedesi (persino il re Gustavo di Svezia venne in visita a Murlo, come testimoniano le immagini della mostra).
Tra questi ultimi Ingrid Edlund Berry, all’epoca giovanissima, che ha scoperto il primo esemplare del celebre “cappellone”, ovvero il gruppo di acroteri che sovrastava il tetto del palazzo di Poggio Civitate. Racconta aneddoti che sembrano riferirsi a un mondo lontanissimo: “Il professore consigliava a noi ragazze d’indossare la gonna e non i pantaloni, quando andavamo nel vicino paese di Vescovado, per non apparire eccentriche. Nel circolo, frequentato da uomini, potevamo entrare solo accompagnate dal sindaco, Maurizio Morviducci”.
Fu proprio Morviducci, intuendo le potenzialità culturali e turistiche del ritrovamento, a battersi affinché il Comune acquistasse il palazzo poi divenuto sede del museo. In un contesto, anche qui, d’altri tempi: “La luce e l’acqua – osserva ancora Ingrid – non erano ancora in tutte le case”. Ogni anno, gli scavi davano lavoro a una ventina di operai. Tra residenti e archeologi si creò un clima familiare, nacquero amicizie. Mitica la figura di Armida, un po’ la cuoca e po’ mamma, ancora ricordata con affetto. Il lato umano, il valore sociale prendono decisamente il sopravvento nelle bellissime immagini della mostra, tutta da vedere nel corso dell’evento Bluetrusco, fino al 18 settembre, lungo le vie del castello e nel museo-antiquarium di Poggio Civitate.