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A Kiev neonati da utero in affitto “parcheggiati” in hotel, Marina Casini: “Tristezza e amarezza”
Decine di neonati “parcheggiati” in un hotel a Kiev, frutto di maternità surrogata e in attesa dei genitori-acquirenti che non li possono “ritirare” a causa del lockdown imposto dal Covid-19. Di “nuova schiavitù” e “commercio di esseri umani” che “calpestano la dignità della persona” parla la presidente del Movimento per la vita Marina Casini
Una pratica disumana e degradante che sfigura la dignità della donna calpestando quel misterioso legame che dal primo istante si crea tra una madre e la creatura che giorno per giorno le cresce in grembo; una pratica aberrante che annulla la dignità e i diritti del bambino riducendolo a oggetto di scambio.
Nei giorni scorsi hanno fatto il giro del mondo le immagini di diverse decine di bimbi – e ogni giorno se ne aggiungono altri – nati da maternità surrogata in Ucraina grazie alla BioTexCom, clinica specializzata nella medicina riproduttiva e nella sostituzione mitocondriale, “parcheggiati” nelle loro culle in un hotel di Kiev perché a causa del lockdown imposto dal Covid-19 i loro “committenti”, residenti in altri Paesi, non possono “ritirarli”. Come una merce qualsiasi, stoccata in magazzino in attesa di arrivare a destinazione.
In Italia la maternità surrogata è vietata esplicitamente dalla legge 40/2004 sulla procreazione medicalmente assistita, ma molte coppie aggirano il divieto trasferendosi per il tempo necessario nei Paesi in cui è ammessa. Oltre che in Italia, la maternità surrogata è vietata in Spagna, Francia, Germania, Danimarca, Irlanda, Ungheria, Grecia, Olanda. Nel Regno unito questa è legale, ma limitata ai cittadini britannici e consentita solo a titolo gratuito (maternità surrogata altruistica). Ad avere le leggi in materia più permissive d’Europa sono Ucraina e Russia che consentono di pagare una “madre surrogata” per il suo servizio. Un pacchetto tutto compreso che può costare, si legge sul sito della clinica BioTexCom, dai 39mila euro se è “standard”, fino a 65mila se è “Vip”. E alle donne vanno le briciole, di solito l’1 o il 2 %. E sono le più povere e svantaggiate, spesso analfabete – come accade anche in Cambogia e in India -, ad essere le prime vittime di questa moderna forma di schiavitù. Negli ultimi anni alcune agenzie hanno attivato una sezione dedicata specificatamente alle coppie omosessuali maschili.
“Vedendo queste immagini ho provato tristezza e tanta amarezza pensando a quello che c’è dietro: sfruttamento, miseria, pretesa di possesso, commercio di esseri umani, cosificazione della vita umana sin dal suo venire all’esistenza, progettazione dei figli come beni di consumo da fabbricare su ordinazione per coppie etero o omosessuali che li commissionano”, dice al Sir Marina Casini, presidente nazionale del Movimento per la vita.
Con la vita nascente è in gioco tutta la vita. Del resto, sia Papa Benedetto XVI sia Papa Francesco, lo hanno ribadito: “Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono”. Nel caso di Kiev, non c’è atteggiamento di accoglienza, ma di prepotenza. Un caso eclatante, ma queste logiche sono implicite ogni volta che sull’inizio della vita umana si rivendicano soppressioni e manipolazioni; basti pensare all’aborto preteso addirittura come diritto fondamentale e alle varie forme di distruzione degli esseri umani appena concepiti (pillole del giorno dopo e dei cinque giorni dopo, sperimentazione, diagnosi genetica pre-impianto…). Il vero antidoto è partire dal chiaro, fermo e forte riconoscimento del concepito come “uno di noi”.
Il legame madre-figlio durante la gestazione è forte, intenso, ricco di scambi e non è un caso che più voltesi siamo aperte vicende giudiziarie riguardanti i rapporti tra committenti e “madre surrogata” perché i sentimenti materni suscitati dalla gestazione avevano determinato nella donna partoriente la decisione di violare gli accordi e non consegnare il figlio, oppure il rifiuto di abortire in caso di feto “non perfetto”. Un caso emblematico e commovente è stato quello di Pattaramon Chambua, giovane donna thailandese, sposata e madre di due bambini, che si era rifiutata di abortire il bimbo in grembo perché affetto dalla “sindrome di Down” come invece prevedeva il contratto con la facoltosa coppia australiana committente.
La donna ha tenuto il figlio, Gammy, e quando per questo ha ricevuto a Parigi il premio “Uno no noi” da parte della federazione europea “One of us”, ha detto: “Ogni individuo ha diritto alla vita. Sono arrivata a questa convinzione attraverso le esperienze che ho vissuto con Gammy. Si tratta di un bambino che ha bisogno di amore, come tutti gli esseri umani. È socievole, gentile e amato da tutti.Voglio dire alle famiglie in attesa di un bambino con trisomia 21 che avranno una perla tra le perle, un dono che vi farà vedere le cose in modo diverso e vi farà conoscere l’amore con la A maiuscola”.